L’incredibile storia del profeta Mansur

9Cap  IX

Nona puntata - La lunga lama della memoria

FRANCESCO PICCO

Viktor anche da frate armeno continuava a chiamarsi Viktor. Padre Hovan gli aveva spiegato come scrivere il proprio nome in alfabeto armeno. In altri termini, gli aveva insegnato come scrivere sei distinti scarabocchi. Poi, domanda su domanda, poco per volta Viktor si era accorto di avere imparato ben più di sei ghirigori senza senso. Erano passati nove mesi dalla sua metamorfosi e ormai era venuto al mondo un nuovo Viktor che sapeva parlare armeno – e scriverlo – almeno quanto un vero frate (armeno) muto. Muto e forse un po’ ritardato, come Viktor aveva deciso di mostrarsi con la silenziosa approvazione di padre Hovan.

Trascorrevano insieme moltissimo tempo. La maggior parte di questo lungo tempo la passavano in compagnia di altri monaci. Lì Viktor era proprio muto e anche (bisogna pur dirlo) palesemente scemo. Di una scemità bambinesca, però, una scemenza simpatica che lo aveva reso la mascotte del convento. L’unico che sembrava rimproverarlo un po’ meno affettuosamente e benevolmente degli altri religiosi era – neanche a dirlo – padre Hovan. Ogni giorno qualche anziano frate si dispiaceva di quei rimproveri: in fondo, pensavano e spesso dicevano ad alta voce, il povero confratello Viktor non è che un ragazzo sfortunato. Non è giusto maltrattarlo così. Tanto più che accetta sempre ogni forma di richiamo e punizione con cristiana obbediente rassegnazione.

Alcuni dei frati, i più smaliziati e invidiosi, pensavano invece altro: il vecchio Hovan, come padre taumaturgo, sa certamente su frate Viktor cose che gli altri ignorano e per questo lo rimprovera così severamente. A qualcuno non era sfuggita nemmeno la straordinaria somiglianza fra il frate e il giovane servo della gleba terribilmente indemoniato che si era presentato al convento un po’ di tempo prima. Molti dicevano che era lui, altri sussurravano: è suo fratello, fattosi frate per ringraziare Dio e il padre taumaturgo dell’avvenuta guarigione. Padre Hovan non confermava né smentiva queste chiacchiere da pregatoio, che comunque nessuno faceva a voce alta e in modo chiaro davanti a lui. Davanti a Viktor, però, nessuno si poneva problemi: e così gli squadernavano davanti, come fosse stato un cane, tutti i sospetti e le chiacchiere e le compassioni suscitate dalla sua presenza. Tanto sembrava che lui non capisse: sempre, in ogni circostanza, si limitava a sorridere umile. E un po’ scemo. Come un bambino, insomma.

Come molti bambini, però, Viktor capiva eccome. Trascorsi i nove mesi della sua nuova gestazione, si rese conto di capire proprio tutto: nulla più della lingua armena gli era ormai davvero estraneo. Eppure, con padre Hovan, la lingua che parlava era un’altra: il piemontese. Ma lui non parlava con nessuno, se non con padre Hovan. Perciò ormai Viktor, frate armeno cattolico in terra di Russia, non parlava se non in lingua piemontese.

Curiosamente, tutto questo lo rendeva lontanissimo dalla sua infanzia e dalla sua giovinezza. L’uso quotidiano della lingua dei padri non lo riavvicinava al suo passato, tutt’altro: lo immergeva invece nella vita di padre Hovan, come un bambino di pochi giorni che il prete immerge nell’acqua del fonte battesimale. E quando lo tira su, non è più il bambino di prima. E cosa si può dire della vita di padre Hovan, se non paragonarla all’acqua benedetta? Eppure, la fonte da cui era sgorgata non era certo la fonte santa della piscina di Siloe…

(Continua)

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Illustrazione di Franco Blandino