GIORGIO PALLARO
L’ho incontrata quel giorno a mezzogiorno, che correva all’inizio del viale.
Alina. Fino a quel giorno non sapevo neanche il suo nome, era solo un viso familiare.
Io, che corro un po’ dove capita, ogni tanto andavo da quelle parti.
L’ho vista alcune volte e sempre in quell’orario, immaginavo che fosse il suo unico orario libero, col marito al lavoro e i figli ancora a scuola.
Quel giorno l’ho vista correre con impegno, seria e determinata, ma nell’espressione si intravvedeva un indefinibile sorriso.
Si gustava la sua corsa, mi piaceva pensare, ma lei forse aveva un altro motivo.
A me capita di trovare nella corsa la gratificazione che non mi danno le persone.
Ci si illude che condividere delle passioni significhi anche provare le stesse sensazioni.
Ho saputo della sua scomparsa da un notiziario locale, l’ho riconosciuta dalla sua foto.
È stato allora che ho conosciuto il suo nome. Ho saputo cose della sua famiglia e particolari della sua vita. Banalità di un esistenza normale.
Ho cominciato a ricostruire l’identità di Alina. Un’identità diversa da quella che mi ero immaginato per una persona sconosciuta con un viso familiare.
Secondo i notiziari e i giornali era un mistero dove fosse finita. Si facevano le solite ipotesi.
Sono riaffiorati dei particolari nella mia memoria. Negli ultimi sei mesi, in quel viale l’avevo incontrata quattro o cinque volte. In un’occasione la vidi da lontano, avvicinata da un uomo. Li vidi discutere. Io stavo andando in un’altra direzione, ero lontano e lui era mezzo girato, non vidi bene la sua faccia. Ma riuscii a vedere che l’espressione di lei sembrava sorpresa.
Mi venne anche in mente che circa un mese dopo, ritornando da quelle parti, la vidi correre con un uomo che sembrava familiare, somigliava a quello del litigio, ora sembravano in sintonia, lei serena mentre lui le parlava e passando accanto a loro lo sentii che diceva “Ti meriti la tua parte…”
Non ho sentito altro, ma quelle parole mi tornano in mente chiare e incomprensibili.
All’affiorare di questo ricordo mi venne una curiosità, riguardai un giornale in cui c’erano alcune sue foto, in una era con marito e figli. L’uomo che avevo visto correre con lei non era suo marito.
Ho imparato che quando corri sempre sul solito percorso, e sempre allo stesso ritmo, anche se ti senti sicuro e protetto dall’abitudine, a un certo punto arriva la noia. Se non vuoi smettere quell’attività, devi cambiare strada o velocità oppure obbiettivo. Certo la vita è più complicata.
Si può avere una banale vita normale che dà serenità e sicurezza, finché non diventa senza scopo.
Quel giorno a mezzogiorno la vidi per l’ultima volta.
Qualunque scelta lei avesse fatto era stata una sua decisione, andava bene per lei.
Ma avrà fatto una scelta?
Un mese dopo hanno trovato il corpo nel fiume, la corrente l’aveva portato lontano.
Hanno detto che pareva sorridere.
Indossava le scarpe da corsa.
(Foto di Bruna Bonino)
Questo pezzo fa parte dell’Officina Narrativa del laboratorio di scrittura creativa ISPIRAZIONE e COSTRUZIONE, tenuto presso l’Associazione Culturale La Meridiana Tempo di Mondovì.