Due film per il 25 aprile

Giuliano Montaldo

STEFANO CASARINO
Giuliano Montaldo a Mondovì, 23.04.2015.
Oggi, 25 aprile 2015, al figlio tredicenne che gli chiede perché da molte finestre sia appesa la bandiera, visto che non ci sono né i Mondiali né gli Europei, il padre risponde che è per la Festa della Liberazione: ancora qualche parola su cosa sia stata, per tentare di spiegare un po’ meglio al poco interessato figliolo, e poi si torna a parlare di calcio, dei sorteggi per i quarti di finale di Champions, argomento molto più attuale ed intrigante…
Inutile indignarsi, gridare allo scandalo: la memoria dimentica, se non viene esercitata. Vale per i singoli e vale per i popoli.
Ci vuole anzitutto la volontà, l’intenzione di ricordare.
Per questo è stato molto importante avere con noi, al Teatro Baretti di Mondovì, due giorni fa il regista Giuliano Montaldo.
Il pretesto, nobilissimo, è stato quello di fargli presentare la mattina un suo capolavoro e la sera un film di Carlo Lizzani, in cui ha recitato.
Due film senza dubbio importanti, un modo intelligente ed interessante di ricordare la lotta partigiana.
Ma, almeno a parere di chi scrive, ciò che è stato ancora più importante è ascoltare Montaldo, dialogare con lui: per questo personalmente lo ringrazio. Di cuore.

locandina quattro
La mattina del 23 aprile la Sezione di Mondovì dell’A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) ha invitato gli studenti delle Scuole Superiori Monregalesi ad assistere alla proiezione di L’Agnese va a morire, preceduta dalla presentazione del suo regista, introdotto ed intervistato dal Prof. Bruno Baudissone.
Chi era tra il pubblico è rimasto affascinato dalla spontanea semplicità con cui Montaldo ha risposto a tutte le domande: come segnalato con positivo stupore dal Presidente dell’ANPI, egli non ha esitato – nonostante l’età non più giovanissima (85 anni!) – a venire a Mondovì («se c’è da parlare della Resistenza, io vado!»).
Ha raccontato, nell’assoluto silenzio partecipe della gremita sala, di come avesse sempre incontrato infinite difficoltà nel trovare finanziamenti per i propri film («giravo col cappello in mano»), del periodo medio di “gestazione” di ciascuno di loro (tre anni), del fatto che di crisi del cinema italiano già si parlava nel 1950!
Venendo più specificamente al film che si proiettava, ha condiviso tutte le sue perplessità circa l’attrice a cui affidare il ruolo della protagonista: ritenute poco adatte la Lollobrigida e la Loren, la scelta alla fine cadde sull’attrice svedese Ingrid Thulin. Inizialmente, Montaldo non ne era affatto convinto: fu l’attrice stessa a volere quella parte, presentandosi a lui senza trucco, scarmigliata, con gli zoccoli ai piedi ed esibendo le sue grandi mani, dicendogli che da ragazza andava col padre a pescare salmone e percorreva grandi distanze con la bicicletta.
Si sentiva Agnese: e così fu.
Molto giustamente il Prof. Baudissone ha rimarcato l’importanza della colonna sonora del film: non si è persa l’occasione per ricordare lo straordinario Maestro Ennio Morricone, grande amico  di Montaldo.
Il regista non è poi rimasto a vedere il film: «non rivedo mai i miei film, io so come vanno a finire!».
Uscito nel 1976 (dunque quasi quarant’anni fa!), L’Agnese va a morire è tratto dall’omonimo romanzo di Renata Viganò, edito nel 1949, tradotto in moltissime lingue e vincitore del Premio Viareggio di quello stesso anno.
Il cast del film è impressionante: tutti attori italiani – tranne la già ricordata e straordinaria protagonista – del calibro di Stefano Satta Flores, Michele Placido, Flavio Bucci, Massimo Girotti, Eleonora Giorgi, Johnny Dorelli e Ninetto Davoli.
Ambientata nelle Valli di Comacchio, è una storia semplice di gente semplice, di una donna di mezz’età che si vede portare via in un rastrellamento il proprio marito malato e che quasi per caso si trova a prendere il suo posto, ad entrare nella Resistenza, a diventare staffetta partigiana.
Indimenticabili le scene di Agnese-Thulin che va in bici, anche sulla neve, col suo carico pericolosissimo di informazioni o di armi; indimenticabili alcuni momenti particolari, che qui non sarebbe giusto ricordare per non privare chi non ha ancora visto il film del piacere della scoperta personale; ma la fine, anche se lo si è già visto più volte, non cessa di sorprendere.
Di commuovere. Ma, soprattutto, di far arrabbiare.
Partigiani non eroi, ma gente come noi.
Agnese, Mamma Agnese, è una figura senza tempo, di intensa umanità, pronta a reagire di fronte al sopruso, all’ingiustizia gratuita. La regia di Montaldo segue tutte le vicende con sofferta compartecipazione.

Locandina due
La sera, sempre al Teatro Baretti, veniva proiettato Achtung!Banditi!, primo film di Carlo Lizzani del 1951: Montaldo lì recitava il ruolo del commissario Lorenzo.
Anche in quest’occasione, prima della proiezione, egli ha colloquiato col pubblico: le riflessioni, questa volta, prendendo spunto da quel vecchio film in bianco e nero, hanno spaziato sulle odierne problematiche della cultura.
Ricordando il suo carissimo amico Lizzani, suicidatisi due anni fa, indimenticato regista di film quali Cronache di poveri amanti (1954: anche qui Montaldo recitò come attore), Il processo di Verona (1963), Mussolini ultimo atto (1974) e Fontamara (1980), Montaldo ha raccontato di tutte le difficoltà incontrate per la realizzazione di Achtung! Banditi!: sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per lo spettacolo era in quegli anni Giulio Andreotti, decisamente avverso al neorealismo e a tutti i film che dessero dell’Italia un’immagine troppo dimessa, “egemonizzati”, a suo dire, dalla sinistra.
Senza finanziamenti statali, il film venne realizzato grazie ad una sottoscrizione di “azioni” da 500 lire, da parte della Cooperativa Spettatori Produttori Cinematografici: Montaldo non ha perso occasione per sfatare il luogo comune dei Genovesi (e dei liguri in generale “dal braccino corto”), rimarcando che senza quel gesto di generosità il film non sarebbe mai stato girato.
Comunque, la Cooperativa ebbe vita breve: finanziò ancora Cronache di poveri amanti, che ebbe un notevole successo,  e poi si sciolse: a ricordo di quell’avventura, è recentemente uscito il libro curato da Eligio Imarisio, Come uccidere un’idea, Le Mani Ed. 2011.
Ieri la censura democristiana, e oggi?
Domina un’esibita insensibilità nei confronti della cultura – qualche ministro di non troppo tempo fa ebbe modo di dire che la cultura non si mangia! –, per i decisori politici vi sono sempre altre priorità e altre urgenze: “cultura” è parola, secondo Montaldo, da pronunciare oggi sottovoce, un po’ temendo e un po’ vergognandosi!
Nell’accommiatarsi da noi, salutato da un applauso che aveva il valore di un caldo abbraccio, Montaldo ci ha lasciato una lezione di straordinaria dignità intellettuale ed umana, l’immagine viva e vera di un “resistente”. Grazie, Maestro!
Achtung! Banditi! è un film importante: magari non bello, e un po’ estraneo al nostro gusto odierno, ma importante.
Del cast vanno almeno ricordati una giovanissima Gina Lollobrigida, il bravissimo Andrea Checchi e Lamberto Maggiorani, ch’era stato il protagonista di Ladri di biciclette, il capolavoro del neorealismo italiano, del 1948, regia di Vittorio De Sica.
Girato tra Campomorone e Pontedecimo, nei dintorni di Genova, il film non è narrativamente coeso, procede in modo segmentato, non ha una vera conclusione.
Tutto ruota attorno ad una fabbrica, diretta da un ingegnere che affronterà la morte per impiccagione piuttosto che collaborare coi nazifascisti, e alle vicende dei partigiani, che la propaganda nazista bolla come “banditi” ma che invece la gente aiuta, anche quando avrebbe molto più da guadagnare a tradirli.
Anche qui, una Resistenza fatta da operai, certo, ma anche da borghesi. E non solo i partigiani, ma anche gli alpini, inizialmente disorientati e poi risoluti a schierarsi contro gli invasori tedeschi.
Un certo  – a parer mio, eccessivo – revisionismo storico di oggi tenta di riaccreditare la tesi dei “banditi” per i partigiani: non tutti tra loro sono stati eroi senza macchia e senza paura (ma esiste davvero, storicamente, questa categoria?), vi furono molte azioni spietate, crimini indotti da rivalse personali, meschine vendette, abusi di potere, arbitri, sopraffazioni…
Tutto, indubbiamente, vero: ma si era in guerra, dettaglio non trascurabile!
Coloro che in Italia avrebbero dovuto gestire il potere, organizzare, dare le direttive erano vergognosamente scappati, lasciando esercito e popolo alla mercé dei Tedeschi.
Chi era sui monti non sapeva neppure se e quanto poteva contare sull’aiuto degli alleati: in tutti i due i film proiettati, si è ricordato il Proclama Alexander. Il generale inglese Harold Alexander, comandante di tutte le forze alleate presenti in Italia, il 13 novembre 1944 fece proclamare per radio l’ordine a tutti i partigiani di cessare le operazioni su larga scala, limitandosi ad approfittare solo delle occasioni favorevoli per attaccare i nemici. Direttiva ambigua, non fu davvero eseguita, altrimenti avrebbe significato lo smantellamento della Resistenza!
In quella guerra, infine, si fronteggiarono senza tregua oppressori ed oppressi, senza possibilità di accordi e mediazioni mentre si sparava. Sarebbe bene non dimenticare che i “vinti”, almeno quelle volte, non potevano e non possono assurgere al rango di “vittime innocenti”: a meno di non rovesciare, stupidamente o criminalmente, le parti oppure di non saper discernere.
Senza annacquare tutto nell’indistinzione etica e politica, vale la pena riflettere (e soprattutto, invitare i giovani a riflettere) che se oggi possiamo criticare liberamente la Resistenza, discutere di alcune sue brutte pagine, condannarne alcuni eccessi è perché la Resistenza ha vinto.
Avessero vinto gli altri, sarebbe stato possibile “revisionare” la loro condotta e la loro storia?