Microracconti

EPV0026

GUIA RISARI

I pescatori

Vivevano su quel lembo di terra desolata da sette primavere e davanti a loro avevano ancora chissà quanti anni. C’era chi diceva dieci, cento, chi l’eternità. Mangiavano alghe e pescavano anime. Il compito era stato assegnato loro dal destino che aveva fatto sì che la prima volta che avevano gettato l’amo nelle acque di quel mare cristallino abboccasse la sostanza spirituale di un uomo. Non era pesante, anzi era insolitamente leggera e colorata. L’uomo era morto un secolo prima e dal suo decesso non aveva più parlato con nessuno. Passò tutto il pomeriggio a raccontare la sua storia, quel che aveva visto, amato e perduto. E loro lo ascoltarono. Da quel giorno, pescarono centinaia di anime. Ognuna aveva una forma e un aspetto distinti e un irresistibile bisogno di ricordare le vicende che avevano costituito quel grumo di avvenimenti casuali o accuratamente calcolati che si chiama vita. Una donna era stata venduta da piccola a uno zio che l’aveva trasformata nella puttana del paese. Ma lei insisteva che tutti i suoi clienti l’avevano amata, un’illusione che i pescatori di anime non vollero distruggere. Un uomo aveva combattuto mille battaglie ed era poi morto per mano del suo stesso re, invidioso dei suoi successi. Dopo trecento anni, tremava ancora per la rabbia. Un fratello e una sorella erano stati divorati da un branco di lupi e i loro resti, ricoperti di muschio e primule, erano diventati parte della foresta. Una madre aveva partorito tredici figlie e poi era morta, dando alla luce un maschio. Un vecchio, che poteva prevedere il futuro, era stato accusato di stregoneria e bruciato. I pescatori consolavano le anime irrequiete e incoraggiavano quelle rassegnate. La vita, per fortuna, era una sola.

EPV0008

Il poeta

Poteva sembrare un paradosso che, proprio in un paesino dove il tasso di analfabetismo raggiungeva cifre elevatissime, si tenesse in così grande considerazione un poeta. Lo si salutava, lo si coccolava, lo si adulava. Per ascoltarlo, si aspettavano con ansia le lunghe serate di pioggia e neve dell’inverno. Ci si riuniva a casa del sindaco, che metteva a disposizione sedie, vino rosso e gallette di riso, e si accendevano le candele. Il silenzio sprofondava tutti nelle loro meditazioni, pensieri che non sapevano neppure di avere e, in mezzo a quel magma confuso, si alzava la voce di lui, il poeta, che li ripescava dalla loro estasi per condurli gentilmente in regni che non avevano ancora esplorato, dentro e fuori di sé, paesi lontani, pericolosi, o territori nei quali potevano avventurarsi scalzi e disarmati, e foreste d’idee e sogni, da cui solo chi guardava in alto poteva districarsi. Questo era il mondo delle spirito che evocava con le sue poesie. E per questo era pagato con la sopravvivenza – farina, latte, uova, mele – e con quei servizi che consentono a ogni individuo di condurre un’esistenza sociale decorosa. Gli si regalavano i vestiti che indossava con elegante indifferenza, gli si regolavano i capelli che crescevano in fretta, gli si donavano carta, penna, buste e francobolli, si riparavano le sue vecchie scarpe malandate che gli consentivano di marciare agilmente sul sentiero della poesia. Perché lui scriveva sempre in piedi, preferibilmente camminando. Diceva che il sangue così fluiva e di questa materia era fatta per l’appunto la sua poesia, che non era eterea, non era spirituale o metafisica; era pura presenza, dialogo e semplicità.

EPV0003

L’angelo dell’amore

L’angelo dell’amore era impazzito. Tra gli dèi era quello che da sempre aveva goduto della maggiore libertà, da un lato perché la sua autonomia garantiva il valore del sentimento amoroso, dall’altro perché faceva parte del contratto. Non avrebbe accettato, altrimenti. L’angelo dell’amore non poteva soffrire le gerarchie e non sopportava di essere controllato. Persino Venere, quando lo chiamava a rapporto, doveva essere gentile, diplomatica, conciliante. Ma, visto che per natura era un’ipocrita, le riusciva bene. Se desiderava realizzare a ogni costo una particolare unione, doveva manipolare i fatti e presentargli l’impossibilità dell’impresa. Allora l’angelo dell’amore, che amava le sfide, si appassionava e si riprometteva di creare una nuova coppia. Il che gli riusciva sempre perché aveva una mira infallibile e i suoi dardi infuocati trafiggevano il cuore delle sue vittime con un flusso di emozioni incontenibili che trovavano tregua solo in un amore appassionato, che forse non durava una vita, ma coinvolgeva interamente. Non si trattava solo di un impulso fisico. I maggiori lirici avevano composto le più belle poesie, dopo essere stati colpiti dall’angelo dell’amore. E lo stesso poteva dirsi di filosofi come Diotima o Platone che avevano teorizzato la forza dell’amore.

L’angelo dell’amore era indubbiamente potente, ma far nascere un sentimento amoroso tra uomini e dèi non gli bastava più. Voleva allargare i confini del suo operato a tutto l’universo – piante, animali, pianeti – e far innamorare una formica di un uomo, un leone di una stella, una donna di una dea e un dio di una montagna. Fu allora che lo cacciarono dall’Olimpo.

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(Fotografie dell’autrice)