GIULIANA MANFREDI E SILVIA PIO
Giuliana e Silvia si sono conosciute alla Scuola europea di traduzione letteraria (SETL) di Torino nel 1995 durante un corso di alcuni mesi. Da allora non si sono più incontrate, ma sono rimaste in contatto. Quando Silvia le ha proposto la collaborazione con Margutte, Giuliana ha accettato con entusiasmo, e questa collaborazione ha intensificato i loro contatti a distanza. La traduzione le ha fatte incontrare e la traduzione le vede ora confrontarsi in questa intervista.
Da quale lingua traduci e di che tipo di traduzioni ti occupi?
GM: Dall’inglese e dallo spagnolo (castigliano); per entrambe le lingue svolgo traduzioni legali e mediche (come lavoro saltuario per il Tribunale e l’Ufficio del Giudice di Pace; il mio lavoro reale è quello di insegnante). Per passione collaboro con Margutte nella traduzione di racconti, articoli e poesie.
SP: Dall’inglese. Per lavoro mi capita di fare traduzioni e interpretariato commerciale (insieme alle docenze nelle aziende, che sono la mia occupazione principale). Margutte mi dà la possibilità di dedicarmi alla traduzione letteraria, soprattutto di poesie, ma anche di articoli vari e racconti.
Cosa ti appassiona (ancora) del tuo lavoro, e qual è l’aspetto più faticoso?
GM: Mi appassiona immergermi nel testo, inabissarmi in esso direi, a volte dissezionarlo per arrivare al senso più profondo delle parole e riuscire a rendere il concetto, l’atmosfera, la sensazione, il sincretismo di quello che lo scrittore voleva trasmettere. Quello che mi appassiona è contemporaneamente quello che lo rende così “faticoso”.
SP: Concordo con Giuliana, l’appropriazione del testo nella lingua straniera è un’attività molto coinvolgente. La sfida a renderlo in italiano costituisce sempre, per quanto riguarda la traduzione letteraria, un compito che attrae e spaventa allo stesso tempo. L’aspetto più faticoso è il lavoro di fino, il tentativo di rendere sfumature e suggestioni, che può essere anche molto lungo.
Quando ti arriva un testo da tradurre tu cosa fai? Come organizzi il lavoro?
GM: Ovviamente lo leggo. Più volte. Poi traduco più o meno d’impeto (non nel senso letterale; sarebbe impossibile. La traduzione ha bisogno di concentrazione e silenzio. E tempo) una prima stesura, con la versione “dettatami” dal testo nell’immediato. Segue il lavoro di rifinitura che, per quanto mi riguarda, ha bisogno di molta ispirazione.
SP: Ci sono testi che mi attraggono e mi “costringono” a procedere immediatamente. Faccio una prima stesura, senza fermarmi sui punti critici, poi lascio riposare il tutto. In seguito rivedo e riscrivo finché il risultato mi convince. Se si tratta di poesia, leggo a voce alta l’originale per capirne il suono e il ritmo, poi cerco di riportarli nella versione italiana.
Come risolvi le difficoltà presentate da un passo ostico, di difficile comprensione? Ricorri mai ad altre traduzioni o a traduzioni in altre lingue del testo su cui stai lavorando?
GM: In quelle fasi ricorro a fidati madrelingua e confronto con loro le varie versioni migliori per la resa, la comprensione o il significato.
SP: In Margutte ci troviamo spesso a tradurre testi mai tradotti in italiano prima. A volte chiedo all’autore di “spiegarmi” il punto che mi risulta ostico, è un piacere raro poter discutere le poesie o i brani con chi li ha scritti. Anch’io, poi, ho un paio di amici madrelingua ai quali chiedere aiuto.
Tradurre è sempre un po’ tradire? Quali sono gli elementi che fanno la qualità di una traduzione?
GM: Indubbiamente nella traduzione si perde sempre qualcosa. Con lo spagnolo succede un po’ meno, vista l’affinità con l’italiano. Ma ciò non toglie che è pur sempre una bella sfida! Una buona traduzione deve essere accurata, deve rendere il più possibile le sfumature che l’autore vuole dare,anche quelle più impercettibili, farti sentire gli stessi suoi brividi e deve essere… comprensibile (già, sembra paradossale, ma circolano delle cose…!).
SP: Penso che la poesia sia impossibile da tradurre, si può tentare di riportarne il significato, ma dei suoni, dei rimandi culturali, degli artifici del linguaggio spesso molto va perso. Una traduzione di qualità deve riuscire a dare al lettore una suggestione simile a quella originale, a riportarne le emozioni, anche sonore. Spesso chi traduce dall’inglese, anche traduttori che lavorano per grandi case editrici, evita di “tradurre” il ritmo; la rima, per esempio, non è quasi mai mantenuta. Questo, secondo me, tradisce il testo originale quanto un errore nel significato.
Il lavoro di quale traduttore italiano ti sembra particolarmente apprezzabile e perché?
GM: Tra quelli più noti e che ormai fanno parte del Gotha della Traduzione Letteraria, senz’altro Ottavio Fatica: è capace di fare l’autopsia a un testo per poi ricomporlo e renderlo come intatto. Tra quelli che avrebbero senz’altro bisogno di essere messi più in luce di quanto lo siano non ho dubbi: Simona Fefè. Lavora da anni nel campo della traduzione, è molto duttile e scrupolosa e affina continuamente le sue caratteristiche; è sempre più brava. Ha davvero una marcia in più!
SP: Fatica, che fu nostro docente alla SETL, è senz’altro un grande professionista. Ma ci sono molti traduttori che lavorano più nell’ombra e che hanno capacità incredibili. Attraverso Margutte ho conosciuto Claudia Azzola, che cura Traduzionetradizione, un quaderno internazionale di traduzione poetica (che è anche un sito), dove si trovano traduzioni e traduttori importanti e interessanti.
Quale dovrebbe essere l’atteggiamento più corretto da parte di un editore? Quali diritti contrattuali dovrebbero essere perfezionati?
GM: Qui parlo per sentito dire, non ho esperienza diretta. Credo che debbano richiedere tempi adeguati al tipo di traduzione e valorizzare i talenti con retribuzioni più consone.
SP: Non potrò mai dimenticare gli incontri con gli editori che avvenivano alla SETL! Tutti ci dicevano che di traduzione letteraria non si vive, che è difficile pagare adeguatamente i traduttori. Infatti in giro ci sono traduzioni terribili, anche presso case editrici di importanza nazionale, perché fatte probabilmente da studenti o da traduttori improvvisati e frettolosi. Un bravo traduttore vuole essere retribuito in maniera adeguata, oppure presta gratis la sua opera per pura passione, ma sceglie cosa e in quali tempi tradurre, senza nessun vincolo contrattuale. Questo succede in Margutte, dove tutti collaborano gratuitamente e liberamente.
Poiché all’editoria si arriva attraverso percorsi diversi, in base alla tua esperienza quale potrebbe essere una buona formazione per un traduttore?
GM: Leggere molto, in lingua ma anche, forse soprattutto, in italiano; frequentare una buona scuola per l’editoria (ce ne sono a Torino, Milano,Venezia, Roma, anche presso le università) o laboratori di traduzione presso case editrici (io ne frequentai uno presso una piccola casa editrice romana, all’epoca a Via Baccina). Un fattore importante è, però, trovare i giri giusti; non raccomandazioni, intendiamoci, ma contatti che possano introdurre nell’ambiente, anche solo per una prova di traduzione. Poi, da cosa nasce cosa, si passa parola e qualcuno riesce a coronare il sogno.
SP: Premesso che la retribuzione resta sempre una nota dolente, un traduttore serio deve padroneggiare a fondo la lingua straniera e la propria, deve muoversi nella selva del linguaggio con conoscenza del territorio e strumenti adatti. La lettura è senz’altro un’attività da praticare costantemente. E poi incontrare traduttori e scrittori, ma soprattutto tradurre quotidianamente.
Cosa consigli a un giovane che vuole intraprendere questo mestiere?
GM: Armarsi di santa pazienza e non mollare. Anche se, va detto, non si vive di sola traduzione.
SP: Idem. La traduzione letteraria non dà una retribuzione in denaro sufficiente a camparci, ma può procurare soddisfazioni impagabili. Sempre che si sia mossi da vera passione.
L’intervista a Giuliana Manfredi è stata pubblicata qui
Illustrazione di Franco Blandino
(pubblicato la prima volta il 26 giugno 2015)