I teatrini di Laura Fo
GIANFRANCO EVANGELISTA (a cura)
Teatro, teatro e ancora teatro. Il teatro come illusione, fonte di ispirazione e come impegno, lavoro e costruzione di un’idea, diventa lo sfogo pirotecnico di un’artista che di questa arte ha fatto la propria ragione di vita. La fantasmagoria, ma anche la grande conoscenza letteraria che si sprigiona dall’opera di Laura Fo, impreziosiscono la forma del collage e propongono il suo estro dentro una scatola magica da cui far scaturire, come dal cappello di un prestigiatore, un’esplosione di conigli, uccelli, palline, vestiti e fazzoletti colorati. Collage, lavoro certosino del tagliare e incollare, come affastellarsi di immagini ricomposte miste a inserimenti di pittura e disegno, ma anche come impaginazione e sovrapposizione di idee e pensieri che inizialmente sembrano disporsi alla rinfusa, per poi, come in un big-bang cosmico, riunirsi a formare grumi e formazioni dal significato multiplo ma preciso ed evidente nell’esposizione.
Nasce nella Fo inizialmente come un gioco, ma si tramuta poi pian piano in studio sistematico e ricerca instancabile della composizione architettonica ideale. Uccelliere che racchiudono volatili dai piumaggi variopinti, girandole di luci, una giostra di animali, colori, omini, figure e apparizioni dentro un Luna-Park dell’immaginario. Le gabbie, le scale, le colonne di un tempio, tutto quanto serve ad inquadrare la costruzione, ove la struttura compositiva indirizza anche verso interpretazioni “altre”, forse ardite, ma che esprimono il bisogno di una uscita dall’ovvio, di evasioni verso dimensioni sconosciute dove l’uomo possa scrollarsi di dosso le restrizioni e i legami che attengono al suo essere terreno, come un acrobatico esercizio mentale all’interno di un circo stellare.
Il teatrino a volte è illuminato da flebili luci che sembrano richiamare le luminarie con le candele di cera che rischiaravano con riverberi e baluginii le azioni sceniche dei teatri all’italiana dei secoli passati, lasciando ampi margini agli spazi bui e nascosti del fondo, all’ombra, alle visioni sghembe e quindi ad apparenze e illusioni notturne di ambigua decifrazione.
Il tripudio visivo, la festa barocca richiamano la strabordante ricchezza di forme che aveva la parola di Angelo Maria Ripellino, nei cui confronti la Fo non disdegna di ammettere una grande ammirazione e alla cui figura ha tra l’altro dedicato uno spettacolo e un intero ciclo di opere. Ma Ripelllino, Pessoa o la Achmatova (di cui molto si è interessata l’artista), altro non sono se non il puro e semplice punto di partenza, il trampolino da cui slittare per tangenti del tutto personali, utilizzando la poetica di partenza soltanto come un pretesto, un interlocutore con cui interagire sfruttando tutta la propria fantasia, come variegato contrappunto su una base musicale di fondo prefissata.
Musica e Poesia, Teatro e Letteratura, passano attraverso la rielaborazione di Laura Fo dalla pagina scritta, dal suono e dalla parola ad una visibilità piena e ultradimensionale, che allarga gli orizzonti e sprigiona sensazioni che denotano nell’artista padronanza del mezzo e una capacità di comunicazione diversa, che arriva contemporaneamente al cuore, agli occhi, alla mente e fino in fondo all’anima, dove trova motivazioni per un approfondimento tematico più consapevole da parte di chi guarda. Perché, certo, ogni pezzo ha una sua storia ed è una storia, un racconto che spiega e rielabora, che motiva origini e motivazioni, punti di partenza, segni e indicazioni d’arrivo come puntini sulla mappa di un tesoro.
Dice Laura Fo: Sono arrivata a questa nuova esperienza artistica per la necessità di vedere concretizzare la realizzazione di alcuni studi e passioni che per anni ho coltivato e che non sempre sono riuscita a portare a termine come avrei desiderato. Per soffocamento creativo.
Il Teatro con tutte le sue costrizioni, difficoltà manageriali e povertà mi stava imprigionando in una serie di progetti che non riuscivano a vedere mai la luce, così ho pensato di riversare tutto il mio mondo creativo in una forma artistica che dipendesse solo da me non dovesse sottostare a leggi di mercato o essere condizionata da altre persone e da interventi pubblici o privati. Se il Teatro è un mondo di colla e cartone, come Ripellino lo definisce, non potevo trovare che in questi elementi uno spunto alla mia creatività.
Ho provato, come scrive Fernando Pessoa nel Libro dell’inquietudine, a creare paesaggi con ciò che sento, non con le parole, ma attraverso il collage.
Così le stanze del mio immaginario, tra pezzetti di carta e di colla, si sono aperte liberando case, treni, omini su biciclette volanti di città fantastiche, armonie geometriche, spazi, fughe, disegni di diversi mondi poetici; opere di altri (a volte anche di grandi dell’arte, che prendo parzialmente in prestito come citazioni, per “ritagliare” le mie storie); e le parole, sempre elemento centrale della mia vita, si traducono in pezzetti di carta su un foglio. Quanto possano essere efficaci o magiche queste narrazioni per immagini lo lascio decidere a chi vorrà visitarle.