LORENZO BARBERIS.
Assieme ad Avati e Odifreddi, Augias è stato il terzo grande nome della domenica di Mondovisioni, almeno nella mia triade personale di interventi che ho voluto assolutamente seguire.
Il suo ultimo romanzo, “Il lato oscuro del cuore“, indaga il rapporto controverso tra la psicanalisi e l’universo femminile. La protagonista Clara si confronta con Freud, Jung ed altri giganti, che hanno contribuito a sgretolare il baluardo del patriarcato ma ne sono anche stati gli ultimi pilastri.
Insomma (nota mia), il paradosso che Dante attribuisce a Virgilio (tramite le parole di Stazio), dicendo che lui, che ha annunciato il cristianesimo (tramite la presunta profezia della IV Ecloga…) non ne ha però beneficiato:
Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte,
Allo stesso modo, quindi, i padri della psicanalisi rinnovano la maschilista cultura occidentale, ma sono parte ancora dei vecchi complessi.
Augias invece rivendica una “scrittura femminile” che gli è stata riconosciuta da molte lettrici, e che egli preferisce: “la donna è superiore, meno rozza, meno semplice dell’uomo”, che fondamentalmente è rimasto più ancorato alle basi animalesche. Tra un usignolo che gorgheggia e il più alto menestrello che compone sirventesi passa solo una differenza non così significativa di gradazione, ma la spinta che li muove è l’urlo della specie che deve riprodursi.
Ad esempio, Lolita: la storia di Nabakov non può essere ridotta a una semplice storia scandalistica proprio per la complessità della protagonista, irriducibile a una “vittima” da manuale ( l’ambiguità che ha sempre tenuto l’opera sul filo di lana di un non scritto “Indice” moderno).
La riflessione sulla psicologia femminile porta poi alla eterna riflessione tra anima e psiche, sollecitata da domande del pubblico. Augias è tranchant: l’anima è un costrutto dei miti greci e di Platone, una nobile illusione poi recepita dal monoteismo cristiano, ma che resta tale, “generosa elevazione della nostra miseria”.
Non manca a questo punto la svolta interessante di una garbatissima contestazione da parte di una “sentinella seduta”: un ragazzo che, in forma di domanda, pone delle obiezioni alla concezione di Augias, in particolare quella che emerge nella sua “Inchiesta su Gesù”, opera piuttosto aggiornata e non banale nella documentazione (la prospettiva ovviamente è quella atea, di cui Augias non fa mistero).
Ai dubbi sul “non-senso” che apre la prospettiva di Augias, questi ha buon gioco a rispolverare l’Unde Malum di Agostino, l’Idiota di Dostoevskij e il Dio ebraico che muore ad Auschwitz di Hans Jonas: l’impossibilità di conciliare razionalmente “onnipotente” e “infinitamente buono”.
La “contestazione” è comunque garbata e discorsiva e non fornisce altri effetti, se non dare ad Augias il volano per un finale in cui ricordare, come “senso laico” dell’esistenza, il sapere aude di Kant, declinato anche dall’Ulisse dantesco nel celebre “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” strappando un ultimo e comunque meritato applauso a scena aperta.