Il 15 gennaio scorso è morto a 83 anni l’artista, poeta e scrittore Ezio Briatore. Aautodidatta, era pittore e incisore, esperto nelle tecniche della xilografia, linoleografia e acquaforte.
Margutte lo vuole ricordare riproponendo questa intervista del 15 luglio 2015.
Ezio Briatore e la poesia
ATTILIO IANNIELLO (a cura)
Poesie tratte da Altalena di versi (Prefazione di Remigio Bertolino, Mondovì, 2014)
MIGRANTI II
Piatto orizzonte
arcano scrigno di viaggi
ingoiati dalla linea che forma il cielo
là s’alzano fumi
uragani? nebbie?
fumaioli alla terra promessa?
la canzone di paese risuona sulla tolda
si va verso la nascosta speranza
davanti alla scia
che graffia le acque nere
ci si avvia verso un dove
là è la meta
in fondo al sentiero che lacera la fosca tavola
prima che si disvelino la rotta
e gl’inganni in attesa.
GABBIANO
Mattutina visione
il gabbiano remiga verso l’alba
alle sue spalle
echi di tramonti
di sere e di notti compiuti
che ancora l’attendono
s’appoggia
alle folate di un vento complice
che sprimaccia il mare
in graffi di schiume
all’altalena della risacca
galleggia come sospeso
lo scoglio abbandonato.
***
L’ALBA
Lieta ragazza
di seta e taffetà
sussulto di brezza al passaggio
e respiro di fresco sorriso
scuote la bionda nube
e sui passi alteri
rosea e lieve sale l’alba.
CANDORI
Squillano Lattee
le facciate del primo mattino
una a una s’aprono le finestre
come braccia ad accogliere la rinnovata luce
dall’ispido rovo del cortile
la nivea tea sfida le candide vesti delle case.
***
BAMBINI
Giorni incrinati d’abiti griffati
di giorni dorati
i bambini muoiono di merendine
nei cortili spenti ai giochi
incatenati a ludiche finzioni
e ai vuoti gusci dei focolari serali.
STAGIONI
Opachi ormai i calici della divina ambrosia
fatale il gelo
dopo garrule primavere d’eterne fioriture
destinate all’autunnale declino
fragili prede per il gelido artiglio
del canuto inverno
vuota
dondola appena a un refolo breve
l’altalena appesa al sole dell’infanzia
e all’algido raggio di luna della sognante adolescenza.
Breve biografia.
Ezio Briatore nasce a Montaldo Mondovì nel 1940. Maestro elementare, fin da giovanissimo si dedica al disegno e successivamente alla pittura. Negli anni Settanta perviene anche alla pratica dell’incisione, in particolare la xilografia, seguendo l’incoraggiamento di Francesco Franco. Nel frattempo scrive in versi e in prosa.
Tra le pubblicazioni di poesia più significative troviamo La ghiaia nei ginocchi (con Prefazione di Gian Luigi Beccaria) e Vista a levante (con Prefazione di Ignazio Delogu e Prefazione di Lino Musso).
Dialogo con Ezio Briatore.
Quali ricordi hai degli inizi del tuo interesse per la scrittura?
I miei primi passi nel mondo della scrittura li ho fatti verso la fine delle Magistrali quando incominciai a scribacchiare, molto saltuariamente però. Agli inizi degli Ottanta poi capitò che Ernesto Billò lesse qualcosa di mio; probabilmente la mia scrittura gli piacque poiché mi incoraggiò a preparare la mia prima pubblicazione di poesie: La ghiaia nei ginocchi.
Il titolo di questo libro lo scelse Carlo Regis, caro amico e poeta anche lui.
La ghiaia nei ginocchi è una raccolta di poesie molto spontanee, dettate in quel periodo dal desiderio di ricordare l’infanzia, l’esperienza dell’infanzia, toccando tutti i temi dallo sport ai mestieri, dalla famiglia ai giochi e così via. C’è di tutto un po’… È una ricostruzione affettuosa, non retorica, molto spontanea, quasi impulsiva. Spesso scrivevo di getto quasi avessi il timore di perdere quelle immagini, quei volti, quei profumi, quei suoni che i ricordi mi offrivano.
La tua pratica poetica è cresciuta nel tempo con il tuo amore per la pittura e l’incisione; in alcuni casi si sono intrecciate creando suggestivi risultati.
Ho disegnato l’ambiente artistico di Mondovì; per esempio il professor Marco Aimo mi aveva fatto pubblicare un libretto, arricchito da una sua prefazione, con disegni che riproducevano unicamente particolari architettonici e paesaggistici di Piazza. Molti soggetti dei disegni ritornano nelle poesie o nei racconti che scrivo.
Qual è il tuo modus operandi riguardo alla scrittura?
Quando ho un’idea immediatamente la metto per iscritto. Ultimamente raccolgo le idee su foglietti, li metto tutti insieme… ogni tanto me li guardo, ci lavoro sopra e riesco magari a chiarificare certi argomenti oppure a diversificarli, interpretarli in modo diverso. Lavorando molto di lima vado da un’idea improvvisa a un organismo più consequenziale; lavoro molto sulla forma con pazienza, come nella xilografia, per dare forza alle parole.
Mentre nel primo e secondo volume di poesie (La ghiaia nei ginocchi e Vista a levante) era immediato nel lettore riconoscere il registro dell’ironia, in alcuni casi del divertissement, nel tuo ultimo lavoro poetico, Altalena di versi, questo registro è quasi assente. In alcuni casi emerge persino un senso di muto dolore come nei testi dedicati ai migranti.
Sì, in queste due poesie che dedico ai migranti c’è dolore; non c’è denuncia, né rabbia, ma dolore. Dolore per una condizione umana che è stata nostra decenni fa ed ora è di queste persone che arrivano, se ce la fanno ad arrivare, sulle nostre coste. Le poesie sono dedicate a tutti, ai migranti di ieri e di oggi.
Dolore che nasce anche dall’assenza di umanità. L’uomo dovrebbe essere, dovrebbe ispirarsi ai valori che ha acquisito dopo secoli e secoli di vita sulla terra con il progresso mentale, culturale, religioso… Dovrebbe sapersi comportare in modo diverso, dovrebbe sapere gestire queste situazioni che andiamo vivendo, mentre invece l’uomo, una grande percentuale degli uomini è indifferente, non si pone nemmeno il problema.
Oggi valori come la solidarietà, l’uguaglianza, la stessa fraternità, traballano, non sono assenti, ma non incidono nei comportamenti di molti.
Un’altra tematica che ritorna nelle tue poesie è la nostalgia, non tanto la nostalgia per un tempo passato ma la nostalgia per quella vicinanza umana, per quella serenità, quella leggerezza e quella bellezza che possono salvare il mondo, come direbbe Dostoevskij.
Sì, la leggerezza. Certo ci sono situazioni come quelle che emergono, per esempio, oltre che in Migranti, nella poesia Bambini. Ma nella realtà c’è anche la leggerezza che cerco a modo mio di rappresentare; una realtà che c’è e non c’è contemporaneamente. Vorrei offrire un messaggio di serenità, questo è il senso del mio scrivere. Uno sguardo alla primavera, all’aria di festa nelle camiciole leggere e profumate delle ragazze (Candori di feste mattinali / tra l’albeggiante scampanio / e nuovi effluvi / alle camiciole di pizzo leggere / giovani briose donzelle al passeggio / spargono voci e risa in amore…) che passeggiano in Piazza d’Armi o escono da Messa; l’alba, la luce… è il mio modo d’essere: ho sempre amato l’ora dell’alba, il momento del risveglio, il mattino, la brezza leggera che accompagna questa parte del giorno. Leggera come il volo dei gabbiani. In Altalena di versi c’è una poesia, Daisy [1], dove «il gabbiano s’appoggia a folate giocose», è quel senso intimo di libertà e leggerezza che dà respiro e speranza.
Poesia da La ghiaia nei ginocchi
[1] La poesia rimanda ad una canzone di Daisy Lumini degli anni Sessanta intitolata appunto Il gabbiano, il cui testo recita:
«Tra le fiamme del sol che muore
lento e solo un gabbiano va
vola verso l’immensità
dove il cielo si unisce al mar,
palpitano scalpitano l’ali lassù
fuggono dinanzi alla notte che viene
il gabbiano gridando va
perdutamente sul grigio mar
porta l’anima mia con sé
tutta l’anima mia con sé.
Porta l’anima mia con sé
non importa che fine avrà».
Questa canzone era molto amata da Ezio Briatore.