GABRIELLA MONGARDI.
S. Lorenzo, giornata di inaugurazioni: infatti all’interno della quarantacinquesima Mostra dell’Artigianato, il principale appuntamento di arte e cultura dell’estate monregalese, è stato tutto un pullulare di inaugurazioni: qui riferiamo di quella della mostra “Silenti spazi”, una retrospettiva della pittura di Gino Zanat organizzata dalla vivacissima associazione culturale “Gli Spigolatori” nell’Antico Palazzo di Città.
Era tempo che si riscoprisse questo pittore, nato nel 1920 a Castelletto Stura ma attivo a Mondovì dagli anni Cinquanta: l’ultima mostra commemorativa era stata allestita nella Terza Saletta del Bar Aragno nel 1996, nel decennale della morte. Giustamente perciò il Sindaco di Mondovì nel suo discorso di apertura ha ringraziato “Gli spigolatori” per l’iniziativa e la realizzazione del catalogo.
Anche il presidente dell’associazione, Claudio Bo, ha ricordato il “velo di silenzio” caduto su Zanat, definendolo “uno dei capofila del cenacolo monregalese”. Il poeta Remigio Bertolino, a cui si deve un illuminante intervento nel catalogo, ha poi letto due testi dedicati a Zanat dagli amici poeti Carlo Regis e Meco Boetti – e non ci poteva essere introduzione migliore al suo mondo: Regis paragona le “nebbie tiepide e fini che riempiono il vuoto” dei paesaggi di Zanat alla carezza delle mani della madre che gli faceva il bagno quand’era bambino, mentre Meco rileva in essi “la ricerca di trasparenze che un occhio non abituato non può cogliere”.
Anche se il pittore inizia negli anni Cinquanta il suo percorso all’insegna del realismo, a fine anni Sessanta si volge ad una pittura dai toni crepuscolari, metafisici. Scrive Bertolino: «L’artista monregalese trova nel paesaggio il correlativo oggettivo di stati d’animo e raffigura non più l’immagine mimetica del reale, ma atmosfere magiche e sospese. I paesaggi sono ‘assolutizzati’, ridotti alla pura essenza. […] L’intenso lavoro di sintesi per cercare di cogliere l’essenza del paesaggio è molto evidente nei carboncini dove il nitore del bianco e nero ci fa vedere la tensione verso la forma assoluta, l’eliminazione dei dati superflui. […] Zanat era un artista vero, dipingeva elegie paesaggistiche, dolci e struggenti. Amava colloquiare in solitudine con il paesaggio trasfondendovi le intime sensazioni, ascoltava i silenti spazi dove l’anima si specchiava e cercava rifugio, per un attimo, dalla rapinosa fuga del tempo».
Le tele esposte nelle due sale della mostra tendono ad una “reductio ad unum”, al monocromatismo: chi guarda non deve cercare di riconoscere il “dove” o il “che cosa” rappresentato, ma abbandonarsi alla sinfonia dei colori tenui e soffusi, al gioco delle evanescenze e delle trasparenze che non sempre copre la trama della tela, e annulla le linee in un’opalescenza diafana di luce…
Spesso le opere non hanno nemmeno un titolo, perché non è il contenuto che importa: il pittore non vuole “imporsi” alla realtà, non vuole impadronirsene, né vuole eternare il breve splendore di una fioritura; l’artista è alla ricerca dell’essenziale, di un’istanza ulteriore, di un’oltranza forse irraggiungibile, certo indicibile, e sembra ricercarlo per sottrazione di colore, per rarefazione della materia – è nel togliere, e nel silenzio, e nel dipingere che si può forse sperare di attingere ciò che conta – l’autenticità.
Allievo di Nino Fracchia e Giuseppe Sacheri, e a sua volta maestro di Corrado Ambrogio, Zanat non fu solo pittore ma anche punto di riferimento per gli altri pittori monregalesi e liguri con la sua galleria “La rotonda” in via Delvecchio, aperta nei locali dove lui vendeva automobili – nei favolosi anni del boom economico non si viveva di soli quadri… Eppure senza la pittura, senza l’arte non avrebbe potuto vivere, Gino Zanat: erano i quadri a dare senso ai suoi giorni, e adesso i suoi quadri arricchiscono di bellezza i nostri giorni.
(foto gentilmente concesse dagli Spigolatori, tranne la prima che è dell’autrice del testo)