Una lettera dalle Domenicane
Dal 4 al 19 luglio 2015 si è tenuto il Capitolo generale delle Suore Domenicane Unione San Tommaso D’Aquino presso il loro convento di Mondovì Carassone.
Nel corso di questo evento suor Antonietta Potente e le sue consorelle hanno scritto la seguente lettera aperta che, come viene scritto nell’incipit esprime «la passione per l’umanità e il cosmo». È un documento di grande valore umano, sociale e spirituale indirizzato a tutti gli uomini di buona volontà qualsiasi sia la loro fede o non fede.
Siamo un gruppo di donne di differenti età ed esperienze di vita. Apparteniamo come religiose all’Ordine domenicano che da secoli ci ha lasciato un’unica eredità: la passione per l’umanità e il cosmo, insieme ad alcuni strumenti per prendercene cura, cioè la contemplazione, la parola condivisa, la sete della verità e il bisogno di mendicarla sempre e ovunque.
Tante volte abbiamo tradito queste intuizioni, ma nelle nostre più diverse esperienze la passione non è mai venuta meno così come non si è mai interrotto il legame con ogni realtà che ci ospita.
Abbiamo coscienza di essere un gruppo molto piccolo rispetto a tutte le donne del mondo e al resto dell’umanità, ma comunque siamo donne con l’esperienza di una ricerca quotidiana fatta di attenzione a ogni palpito della vita interiore, della storia e delle storie degli altri.
La nostra esperienza riguarda la relazione con il Mistero contemplato, ricercato e pensato tra di noi, negli altri e nell’ambiente. Tante volte abbiamo constatato che la speranza non è passiva attesa ma immaginazione, desiderio di ricercare sempre e insieme. L’esperienza di fede ci ha aiutato a intuire che più si ha sete e fame del divino, più si ha sete e fame di giustizia e pace: due possibilità che la storia ha e che nello scorrere del tempo e con lo sforzo dell’umanità riusciranno ad abbracciarsi. (Cfr. Sal 85,11).
Per questo professiamo pubblicamente che non vogliamo svendere la preziosa eredità che ci è stata data.
Non cederemo fratelli, sorelle e cosmo a nessun sistema politico, economico o religioso, che sia contro di essi, che sia escludente, che crei divisione, che sia rigidamente gerarchico.
Non cederemo i giovani al potere subdolo del denaro, all’ignoranza voluta da chi li preferisce inerti, disoccupati, a chi li compra con inganno e invece di istruzione mette loro in mano armi e droghe.
Non cederemo le donne all’arroganza degli uomini e al loro disprezzo in ogni ambito: familiare, sociale, culturale e religioso.
Non cederemo i popoli ai mercanti di armi e a chi li costringe a usarle in cambio di un falso sviluppo per una nuova colonizzazione che li rende profughi ed esiliati.
Non cederemo la terra e le sue risorse, insieme a tutta la sua bella biodiversità, alle multinazionali e a chi le gestisce sotto la veste di benefattori.
Non cederemo la bellezza delle diversità umane a chi le vuole uniformare o escludere, in nome di falsi principi morali.
Non cederemo “l’anima” di nessun essere vivente a chi la vuole soffocare o a chi se ne vuole appropriare.
Non cederemo la bellezza né il sogno né il desiderio infinito.
Molti popoli e molti individui conoscono che cosa significa soffrire e vivere in stato di esilio, sentirsi privati dei propri sogni oltre che dei propri beni.
Dice un testo della sapienza ebraico-cristiana: Presso i fiumi di Babilonia, là sedevamo e anche piangevamo, ricordandoci di Sion. Sui salici in quella terra, avevamo appeso le nostre cetre […] Come potevamo cantare un canto del Signore su suolo straniero? (Sal 137,1-4)
In qualche modo, oggi, tutti siamo un po’ esiliati, un po’ stranieri, in parte schiavi e in parte liberi. Il nostri destini sono profondamente legati, al di là dell’essere credenti o non credenti, appartenenti a questo o quell’altro popolo, a questa o quell’altra religione. Siamo parte dello stesso cosmo ed esso a tutti appartiene; tutti siamo un po’ terra, piante, aria, acqua, mari, fiumi.
Dunque, se ai salici vogliamo appendere qualcosa, non permetteremo che si appendano gli strumenti della gioia; non permetteremo che si appendano gli strumenti di lavoro, i titoli di studio, i quaderni, i libri, le foto dei nostri familiari. Lasceremo invece appesi, gli strumenti di morte: le divise da militari e guerrieri, gli stivali e gli scarponi sporchi di sangue e ogni strumento violento. Lasceremo lì vicino le testate nucleari e gli aeri da guerra, insieme agli scheletri degli edifici della finanza mondiale, trasformandoli in resti da museo a testimonianza della stupidità umana.
Ci rendiamo conto che il nostro piccolo gruppo non ha nessun particolare potere e nessuna soluzione per portare avanti da solo queste possibili trasformazioni. Ciò che possediamo infatti è solo l’autorità dell’immaginazione che ci è data dalla nostra fede e dalla passione per questa bella e allo stesso tempo fugace e complessa realtà umano-cosmica, che appartiene ai miti, cioè a quanti sulla terra prendono poco posto.
E noi sappiamo che sulla terra, ci sono ancora tanti miti. Con essi condividiamo questa professione di fedeltà alla vita e a Chi, prima di noi, l’ha immaginata.
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Le immagini di Mino Cerezo Barredo sono tratte da http://www.minocerezo.it/