PPP – La vita come opera d’arte

JORGE FALCONE
A quarant’anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini.

INTRODUZIONE

Se nel mezzo del cammin di nostra vita
ti ritrovi in una selva oscura,
perché la retta via – dinanzi al rigore presente -
hai smarrito.

(Ahi! So bene quant’è amara
che poco più lo è la morte;
ma per trattar del ben che vi trovai,
dirò delle altre cose che lì vidi.)

Io, Alberto Pincherle,
romano d’origine,
scrittore e giornalista per vocazione,
antifascista per convinzione,
comunemente chiamato Moravia,
forse per essere stato
prematuramente morso dalla peste,
per aver fatto comunione col neorealismo,
o a malapena per condividere col nostro anfitrione
il credo che Marx lasciò,
sarò la tua guida fino all’ultimo
cerchio della sua straziante lucidità.
Un varco lasciami aprire che siamo di un solo voler,
tu, prossimo sensibile e risoluto,
a forgiare quel mondo che i figli
dei nostri figli vedranno.

Così ti dico; e mettendoci in cammino,
percorriamo subito quel sentiero duro e selvaggio.

ANTINFERNO

Vide la luce da Bologna colui che avrebbe penato per tutti,
quell’ambiente borghese ereditato da suo padre,
cattolico praticante e ammiratore del Duce,
contro chi lascerebbe la vita
lottando suo fratello Guidalberto.
Odiò quel centurione nativo della Romagna
dal primo collirio applicato con la forza
sorretto al tavolo a cui era legato.
La madre invece,
contadina del Friuli,
affetta da un cristianesimo arcaico,
era chi raccontava
premature storie piene
di generosità ed eroismo.
Suo fratello lo ammira allora
fino all’ultimo suo respiro,
sportivo com’è e avvezzo
a scrivere poemi da piccolo
in un quadernetto che dopo la guerra rubò.

Nei suoi anni più gloriosi e belli
scopre petto al vento in un campetto
un sentimento indecifrabile che lo attrae
verso quei pargoli sudati
che all’epoca sgambetta.
Avanzato liceale
fonda un gruppo letterario e rivendica
la lingua dialettale materna
contro l’imposta lingua nazionale.
Tormentato dalla Grande Guerra,
si rifiuta di consegnare le armi
ai tedeschi e diserta.
A Pielungo suo fratello diventa Ermes
per lottare per l’italianità del Friuli
con una valigetta dove teneva
qualche poema ed una pistola.
Tra Musi e Porzus sarà raggiunto
da pallottole di annessionisti jugoslavi.
Inizia così la madre,
affranta, a comprendere
che ha portato al mondo figli di Gerusalemme
e che ognuno di loro dovrà farsi carico
della propria via crucis.
Colui che sopravvive lo avverte e
si chiude a chiave
nuovamente dentro lei.

Laureato in lirica pascoliana
sperimenta come insegnante e inizia
la sua militanza nel Partito.
Ora accusato di raffinatezza,
ora di corruzione di minori
sale al Golgota dei tribunali.
E ancor prima che esista un verdetto
“per indegnità morale”
distrugge la sua tessera lo stalinismo.

Addio Casarsa e salute
alla sopravvivenza nella periferia romana,
dietro l’inferno delle menzogne
e di quel padre prussiano,
davanti ragazzi di sobborgo e
lavoretti di scarsa paga.
Dietro il contadino senza denti,
davanti il mendicante sdentato.
Con la madre impegnata a strofinare
e il padre imbarazzato,
svende per strada le sue poesie
e deposita la sua fede nel sottoproletariato.
Trattato da morboso, torbido e vile
va verso i “Ragazzi di vita”
da “La meglio gioventù”.
Reputato malvivente e provocatore
gira fino a collaborare
nei dialoghi de “Le notti di Cabiria”
(ancora di più de “Il Mago di Rimini”
domina la parlata della malavita)
La sua penna eccezionale lo consacra
davanti ad altri cineasti come scriba.
Un giorno bussa rispettoso alla porta di Bertollucci
abbigliato in un vestito blu come proletario la domenica
e il figlio del poeta, futuro regista,
lo scambia per un ladro.
Un altro giorno sollecita al regista de “La Dolce Vita”
qualche metro di pellicola per girare
il suo primo film…
Ma a Federico il Grande non piace quello che vede…
Allora, attento interlocutore,
il nostro uomo inaugura le sue morti.
Chiede un prestito e gira
con alcuni furfanti
la sua opera prima:
“Accattone”.
E colui che urla per la prima volta “azione”
ignora piani, movimenti di camera
ed angolazioni.
Però inventa un’epica del diseredato
viaggiando da Mizoguchi a Dreyer
a partire da Masaccio.
Indaga se in fondo alla verità
si trova il sacro
fotografando Franco Citti
con un’ inquadratura frontale.
E nella Première inaugura
un calvario di trentatré processi
che lo faranno sprofondare nel fango
pur essendosi consacrato.

***

IL GIRONE DEL SANGUE

Assediato dal Vaticano e scomunicato
dal partito meno compromesso d’Italia
lascia al mondo un testamento atroce:
l’indigeribile film Salò.
Il resto, interlocutore, è mendicare
come al solito un petto giovane
sul quale sognare l’eternità…
Parcheggiare nei dintorni
l’Alfa Romeo GT argentata
della Stazione Termini dove filmò De Sica,
e offrire 20.000 lire ad un certo Pino Rana
per prendere risoluti la Via Nazionale
all’indirizzo della trattoria Biondo Tevere
che ancora si trova
di fianco alla basilica che nomina il centurione
divenuto apostolo, di cui il filmar la vita sognerà.
Vincenzo scrive la comanda
quella Notte di Tutti i Santi,
e Giuseppina serve la tavola
quella che sarà la sua ultima cena:
Spaghetti aglio, olio
e peperoncino per Pino Rana.
Per il poeta, che aveva già cenato,
solo una birra ed una banana.
A mezzanotte i due partono,
a compiere la profezia annunciata
dai fratelli Rabino e Bandiera,
verso la posteriore scalata.
E nel Lido di Ostia
ormeggiano sulla spiaggia.
Il poeta sollecita
l’elemosina di una carezza,
il giovanotto di diciassette anni
scende inquieto dalla macchina.

E mentre sta orinando
ascolta epiteti che ancora possono sentirsi all’Idroscalo.
“Sporco comunista”,
“fetuso”,
“mascalzone”.
È la minaccia contro i suoi genitori che lo fa
tacere tre decenni caricando
su di sé il peso del massacro.

Se avesse potuto optare
per un istante assoluto
di cinema e di poesia
prima di cadere bocconi davanti al Tevere
con la testa disfatta
avrebbe indicato:
“Sistemali intorno a me,
Sergio,
come circondarono gli amici
di Bruto a Cesare…
Colloca il grand’angolo,
Tonino:
La luce della luna basta… ?
Quale sarà lo spartito,
Ennio,
dell’ultima sequenza che gireremo… ?
Se avesse potuto optare,
nobile interlocutore,
prima della dissolvenza avrebbe completato
quel puzzle esistenziale
col più caro dei suoi piani:
Ai piedi della Santa Croce,
Susanna Colussi piangendolo.
Poi Erode paga i sicari
e, come di solito accade,
si lava le mani Pilato.
“Il senso della vita lo dà la morte”,
scrisse nei suoi Scritti Corsari.

Da “PPP – La vita come opera d’arte”, Cantata-saggio in omaggio a uno degli intellettuali più acuti e provocatori del secolo XX.

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Jorge Falcone (Argentina, 1953) è stato direttore della Società Argentina di Scrittori e regolarmente pubblica articoli giornalistici in mezzi vari. Ha pubblicato, tra le altre opere, la cronaca “Memoriale di Guerralunga” e il saggio “Poetizzare la realtà. Un sentiero verso il cinema documentale” (2009). Ha realizzato il documentario “El Profeta. Pier Paolo Pasolini, la vida como obra de arte“.