LORENZO BARBERIS
Bella mostra quella che mi è capitato di presentare criticamente lo scorso sabato 7 novembre presso La Meridiana, nella stupenda cornice di Piazza San Pietro a Mondovì Breo. La mostra nasce da una collaborazione tra il nostro “Margutte” e la storica galleria monregalese, in quanto costituisce un doveroso omaggio a Franco Blandino, il prezioso illustratore che ha arricchito numerosi articoli della nostra nonrivista con le sue immagini sempre appropriate e arricchenti, specialmente per quanto riguarda la sezione di narrativa ma con incursioni a tutto campo nelle altre sezioni (qui è possibile vedere tutti i contributi pensati da Blandino per “Margutte” (https://www.margutte.com/?s=blandino), mentre questo è il sito dell’illustratore: http://www.francoblandinographics.it/.
Franco Blandino, torinese di origine, si è sempre mosso tra pittura e illustrazione, tra olio e illustrazioni tendenzialmente realizzate in un più asciutto bianco e nero. Numerose le collaborazioni a varie testate del cuneese (“La Fedeltà”, “L’Alta Val Tanaro”, “La Piazza Grande”, “Il Lancimano”…) come vignettista e caricaturista, attività precedente l’attuale predilezione per l’illustrazione, che cura, oltre che per “Margutte”, con illustrazioni interne e copertine per vari volumi letterari, in prevalenza di poesia.
La sala della pittura di Blandino
La mostra rende ragione di questa duplice matrice della sua arte, con due sale destinate a una selezione dell’illustrazione marguttiana, e una sala dedicata alla pittura. I due ambiti, pittura e illustrazione, sono dotati ovviamente di numerose vicinanze stilistiche ma anche di indubbie differenze.
Per quanto riguarda l’illustrazione, si denota una prevalenza del bianco e nero, anche se non mancano illustrazioni a colori e raffinate soluzioni – adottate già da maestri come Frank Miller, ed altri – in cui in un’immagine in bianco e nero spicca un singolo particolare colorato, come la biro rossa che accomuna i “sette racconti” (da cui anche la bella immagine della locandina).
La minuzia calligrafica con cui Blandino intaglia le sue immagini in un segno nitido e preciso si accompagna, va notato, a un gusto marcato per il dettaglio psicologico nei volti dei personaggi, qualora appaiono, che mostra la grande passione dell’autore anche per il fumetto, arte da lui praticata anche nella realizzazione della “Storia di Savigliano”, stesa su testi di storici locali con grande attenzione al dettaglio psicologico. Egli stesso rivela come il “feuilletton” di Margutte, la storia del profeta Mansur, fosse stata pensata dal suo autore come possibilmente trasponibile in fumetto, e come il fatto abbia in effetti condizionato il gusto dinamico e avventuroso delle illustrazioni di questa vasta avventura mistica.
Un momento della presentazione
Un nome che viene subito in mente è quello di Sergio Toppi, anche per certe composizioni in cui l’autore assomma vari dettagli di una scena, in dimensioni diverse, fondendoli in una sola illustrazione; il che, per certi versi, può costituire un rimando all’immaginario sognante, quasi felliniano, delle locandine dei cinema d’antan, ancora illustrate e non “fotografiche”, che presentavano analoga tecnica compositiva. E un gusto cinematografico è anch’esso tra le componenti dell’illustrazione blandiniana, spesso rimarcato anche da un accenno di pellicola che va a racchiudere l’immagine illustrata (del resto, non era per Pratt il fumetto “cinema su carta”?). Non mancano poi nell’illustrazione spunti ed omaggi differenti, tra i più evidenti quelli ad Escher affioranti in certe geometrie impossibili, ma anche altri spunti più dissimulati e assimilati nel segno blandiniano.
Silvia Pio per la Meridiana e la brava lettrice Michela Michelis,
che ha letto alcuni racconti illustrati dall’autore.
Trattando della pittura, riscontriamo anche qui una molteplicità di riferimenti felicemente amalgamati in uno stile personale. Nelle opere più figurative, in linea di massima ascrivibili alla prima fase della sua produzione (ma senza uno stacco netto, come diremo, con le opere più recenti), troviamo su tutti un rimando appassionato al chiaroscuro di Caravaggio, filtrato tramite la sensibilità, ci pare di cogliere, di certo classicismo ottocentesco.
La componente più evidente nelle ultime evoluzioni dell’arte di Blandino è l’adozione di quello stilema a mosaico bizantino recuperato dallo stile secessionista di un Gustav Klimt; se l’autore viennese però lo utilizzava in una scelta “piattista” che volgeva già verso una prima astrazione delle figure (coerente, del resto, con l’evocazione di Bisanzio), Blandino unifica la quadrettatura dello sfondo in colori cielo ed oro con figure tradizionali.
Similmente, Blandino adotta un’altra “quadratura” dello sfondo, derivandola dalla sintesi visiva di certo ultimo Dalì: non riquadri piccoli e bidimensionali come tessere di un mosaico, ma l’astrazione dello spazio tramite una griglia prospettica e tridimensionale di cubi, spesso associati a temi mistici come già era nel tardo Dalì, “ultimo dei Rinascimentali” per la corte pontificia alle soglie del Concilio Vaticano II.
Rimandi, questi, che mostrano come la pittura di Blandino non può essere semplicisticamente ridotta a uno sbrigativo incasellamento nel “figurativo tradizionale”, ma si dimostra un’arte poliedrica in grado di recepire in modo autonomo, facendole proprie, suggestioni da differenti tendenze artistiche, del classico e del moderno. Un arte che merita un attento approfondimento, come consentito oggi dal prezioso lavoro artistico della “Meridiana”, e che costituisce per Margutte un vanto e un arricchimento di cui andiamo tutti decisamente fieri.