Il Canto di Cecilia

Carlo Maderno, Santa Cecilia recumbente, 1600 - Wikimedia Commons

Carlo Maderno, Santa Cecilia recumbente, 1600 – Wikimedia Commons

(SILVIA PIO, a cura)

Laura Corraducci è un’amica a distanza di Margutte. Abbiamo scritto su di lei e lei ha scritto per noi. I suoi interessi sono i più vari e i suoi impegni la portano ad essere una figura di rilievo nell’organizzazione di eventi nella sua città, Pesaro (si veda gli incontri poetici e musicali di vaghe stelle dell’orsa).

Ma Laura è soprattutto poetessa: nel 2007 è stata pubblicata la sua prima raccolta di poesie dal titolo “Lux Renova”, Ed Del Leone, e recentemente è uscito “Il Canto di Cecilia e altre poesie”, Raffaelli Editore.

Nella prefazione Francesco Napoli, riferendosi alla posizione dell’io nella poesia italiana, scrive: «In questo frangente mi pare di assistere alle pretese egemoniche dell’io a favore di un commisurarsi con l’altro da sé, metafisico o materiale, appartenente alla Storia o al vissuto personale. E così i dettati poetici si discostano sempre più da una evocazione strettamente autoreferenziale, carica di effusione emotiva, instradandosi alla ricerca di un ponte verso un’alterità…».

Corraducci

L’incontro con la differenza passa attraverso esperienze diverse dalla scrittura. Alcuni testi della seconda sezione del volume, intitolata I nomi rimasti, sono una riflessione che segue un suo viaggio in Benin (riportato su Margutte in “Ho visto terre oltre il confine”).

finalmente hai scoperto terre oltre il confine
appena girato l’angolo le hai viste
le colline d’argilla alte sopra i fianchi
dove gli uomini sanno stordire la morte
e le donne prenderti il fiato con la voce
sulla schiena ti percorrono i chilometri
con i figli incastonati al seno come perle

alla sera vedi volti cercarsi dentro i pozzi
la stagione delle piogge sta per cominciare
(pag. 37)

Altri testi della quarta sezione, intitolata Nella tasca sinistra, arrivano dalla plaquette “Quaderno dal carcere” nata da un’esperienza di laboratorio nel carcere di Pesaro. Durante il periodo in cui si è svolta questa esperienza (stiamo parlando dell’ottobre 2013) un giovane marocchino si suicidò impiccatosi con i lacci della scarpe alle sbarre della sua cella. Questo, e molti altri atti di violenza che avvengono in carcere «non solo a danno dei detenuti ma anche delle stesse guardie penitenziarie, “stragi” che si consumano, per lo più, nel silenzio e nell’indifferenza totale, in primis delle istituzioni» (da un post di Laura su Fb), hanno ispirato liriche intense.

a Gianmario

la puzza del vomito sul ponte
ci scostava la speranza un po’ più in là
i documenti schiacciati nello stomaco
avevano il sapore bianco del pane
mentre la plastica delle bottiglie
si scioglieva nelle albe senza sole
seduto a terra mi contavo gli anni
con le mani pensando a mia madre
che diceva “scrivi appena ti sistemi”
la sera sentivo i brividi alle gambe
e un vento che passava fra le costole
un ladro venuto a rubare la paura
il futuro iniziava così
negli sputi degli uomini alla notte
con i sogni appesi intorno come stelle
(pag. 65)

L’ultima sezione contiene il poemetto che dà il titolo alla raccolta, dove viene rievocata la voce di santa Cecilia. Martire cristiana del II secolo, la sua storia come quelle dei primi santi, è fatta di atti caritatevoli altissimi e di risposte di estrema crudeltà da parte dei carnefici.  Condannata a morire per asfissia, si narra che invece di morire cantasse lodi al Signore. Forse per questo motivo santa Cecilia è patrona della musica e protettrice di strumentisti e cantanti.

La Cecilia di Laura Corraducci ripercorre le stazioni del suo lungo martirio (convertita la pena in morte per decapitazione, il carnefice vibrò i tre colpi legali ma Cecilia ancora non moriva e venne abbandonata nel suo sangue) dove ogni atto è rivelato anche nel suo aspetto musicale. I gemiti sono canto, il ricordo dello sposo è melodia di fianco all’anima, la preghiera chiede: che sia la Tua musica a inebriarmi la mente, durante il corteo nuziale – o verso il martirio – in lontananza un bambino cantava, e infine

VII
una veste rossa inebriante
scegliesti per l’ultima canzone
il concerto finale intonato con il sangue
invocasti le Pleiadi a trapuntarti gli occhi
e apristi i cieli solcando oceani d’acqua viva
varcasti il confine così col passo di una dea
soltanto una cosa dimenticasti di portare
la corona macchiata dei capelli
(pag. 101)

IX
raccogliesti il vino in una brocca
e scendesti con lui lungo il fiume
l’oro bianco offrivi alle nozze
per portarlo via dal pianto senza fine
e avvolgergli ancora le paure
nella musica lieve degli abbracci
sotto le sue dita palpitavano le vene
ma non tremò la carne al sussulto della lama
(pag. 103)

Il passaggio alla seconda persona nelle poesie di Cecilia, la lingua essenziale, il sentimento religioso della scrittura, che si trova anche nella lirica d’inizio dell’intera raccolta, staccano ormai l’opera dall’esperienza dell’autrice per diventare «un’altissima invocazione metafisica… Nel poemetto posto in ultimo… Laura Corraducci ha sublimato la sua peculiare risposta, non solo stilistico-formale, alla collocazione dell’io» (dalla prefazione).

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