LORENZO BARBERIS.
“Finito, Non-Finito, Infinito 2″. Con questo bel titolo, ripreso da una sua precedente esposizione (realizzata insieme ad altri artisti di alto livello), Ciro Buttari ha inaugurato la scorsa domenica 6 dicembre 2015 la sua personale presso il suo studio in Via Al Ferrone 2 a Mondovì, personale che resterà aperta per tutto questo 2016, ospitando poi altri eventi collegati.
I tre concetti che compongono il titolo sono i cardini centrali dell’arte, occidentale e non solo. Il Rinascimento si fonda sulla dicotomia tra il “troppo finito” michelangiolesco, di ascendenza scultorea, e il “non-finito” leonardesco, che anticipa già alcuni esiti della modernità impressionista ed oltre
Sul limes costituito dalla “linea di contorno” si attua inoltre una delle transizioni decisive tra Gotico e Rinascimento; una dicotomia che torna nell’arte contemporanea, dove l’astrazione vede il formarsi dei due grandi filoni dell’astrazione geometrica e di quella in-formale.
In questa dicotomia tra i due poli – tesi e antitesi, Finito e Non-Finito – si celebra dunque la tensione dell’Arte verso il suo scopo, l’In-Finito come un “non-finito” (letteralmente) che è però, al tempo stesso, “finito”, totale, definitivo.
E questa dicotomia pervade anche l’arte di Ciro Buttari, nella sua costante tensione a un equilibrio tra forze opposte. Una tensione tra elementi differenti, in un bilanciamento sempre dinamico, che rende particolarmente difficile una definizione univoca del suo lavoro; e questi piccoli spunti valgono quindi più come annotazione e percezione personale che come (impossibile) sistematizzazione.
Una dicotomia che si sviluppa a più livelli, quindi, partendo dal lavoro sul segno di contorno, presente in alcune opere, assente in altre, come possiamo vedere nei due lavori qui sopra.
Questo dualismo si estende però anche su altre scelte tematiche: se da un lato molte opere di Buttari sono astratte, in alcune egli invece indaga la figurazione in modo, all’apparenza, molto tradizionale.
Non mancano neppure quelli che paiono rimandi ad un’arte sacra, che l’autore però riprende inserendola in un discorso personale dotato di una autonoma coerenza.
Questo dualismo di Astrazione e Figurazione ritorna spesso all’interno della singola opera: la pittura di Buttari è una pittura di dettaglio, che richiede di essere guardata con cura, perdendosi quasi al suo interno per scoprirne le declinazioni più interiori e intime. Ed ecco allora che all’interno di una apparente texture informale appaiono figurine che sembrano fuoriuscire dai marginalia di un manoscritto medioevale, fantasia di un monaco rinchiuso nel suo freddo scriptorium.
Molteplice è inoltre il ricorso alle tecniche. Buttari non si limita alla pittura, ma – oltre a un lavoro intenso sul disegno – affronta le sue figure anche nella tridimensionalità scultorea, che avevo già avuto modo di apprezzare nella recente Via Vico delle Arti. Volti emaciati, allungati, vagamente “alla Modigliani”: per quanto la citazione, in Buttari, non è mai omaggio diretto, ma cifra per dire qualcosa d’altro, stilema che viene assimilato – quasi inconsciamente – e trasformato in tassello di un discorso personalissimo dell’autore.
E se il grande scherzo di Modigliani aleggia in quelle teste allungate, questa testa rimanda al ritratto profetico realizzato da De Chirico in Apollinaire. Ma il taglio più moderno dell’occhiale aggiunge qualcosa che va oltre l’omaggio, e quasi collega le avanguardie storiche al cyberpunk dell’avanguardia dei Mirrorshades.
Similmente, queste meravigliose sculture filiformi richiamano la grafica digitalizzata del cyberspazio tra ’80 e ’90, che ha anticipato il proliferare odierno della rete; ma in Buttari tale elemento nasce negli anni ’70 in un modo in sé avulso dalle ricerche della rete (piuttosto, è nella mistica informatica, dagli anni ’80 in poi e fino ad oggi, che ritorna molta della cultura orientale che Buttari ha sapientemente recuperato).
Un ultimo dettaglio su cui mi voglio soffermare, in questa recensione per forza di cose frammentaria e imprecisa su un lavoro così vasto e stratificato, è il simile ricorso al Mito: un rimando che va oltre la “citazione” di stili, artisti ed opere, e diviene un pescare nell’oceano profondo dell’immaginario mediterraneo ed oltre, come in questo Minotauro sorridente, ad esempio, che bilancia – di nuovo, la ricerca di equilibrazione tra archetipi – alcuni passaggi potenzialmente cristologici.
O questa Sfinge, sapientemente connessa alla Rosa nella comune matrice isiadica. Ma molti altri sarebbero gli spunti che si potrebbero cogliere e intrecciare, e i pochi che si sono evidenziati vogliono solo essere un incoraggiamento al lettore a tentare un suo personale percorso nella foresta gentile di immagini e segni che Buttari ha predisposto per lui, e in cui – in questo 2016 che si va aprendo – si intrecceranno altri eventi poetici, letterari, musicali o quant’altro questa texture accogliente saprà evocare. Perché le opere dell’autore, potenti singolarmente, si intrecciano in un discorso ancora più interessante, dialogando tra di loro e, naturalmente, con l’osservatore.
E nel molto che ha colto nella sua arte, Buttari ha anche intuito – e forse anticipato – qualcosa della nostra iniziatica Mondovì. Ma vi lasciamo l’inevitabile piacere di scoprirlo da soli.
Noi siamo suono, intervento di Ciro Buttari su Margutte