Cara Anna

per anna

JOHN I. CLARKE

Metodo e organizzazione li userò per puntellare le mie rovine. In un paio d’ore scorrerò questi compiti da correggere, qualche crocetta qua e là mentre Eric prepara cena. Eric? Oh, è proprio l’Uomo Nuovo, pronto a fare la sua parte e farla da dio in cucina. E in più ha tutti i vantaggi di essere vicepreside. Tanto per cominciare, lo stipendio di un vicepreside, e poi si pavoneggia tutto il giorno in doppiopetto oppure si imbosca nell’ufficio. Una vita che sembra totalmente priva della maledizione di correggere i compiti, quindi è giusto che si occupi della cucina. Non farò cenno che essere andata a vivere da lui possa portare benefici alla mia carriera. E neppure dirò delle voci di scandalo che si sussurrano nella sala insegnanti. Sì, c’è un po’ di differenza di età, sì il suo ruolo a scuola gli impone di essere severo, ma mi ci sono buttata con gli occhi aperti e so bene cosa aspettarmi. È davvero un alloggio da uomo, tutto a righe marroni, ma ho già aggiunto una campana scacciapensieri e un acchiappasogni, e la prossima cosa sarà qualche mobile dalla linea morbida. E se davvero lo conosci bene, è come un cucciolo, quindi ci darò dentro con gli sfoghi dell’ammirevole terza C e poi la sera sarà mia, meglio: nostra. Questo lavoro mi renderà libera.

Si ritirò momentaneamente dalla direzione che i suoi giochi mentali avevano preso: l’indugio doveva essere combattuto.

Cara Anna,

spero che questa lettera non ti sorprenda troppo, ma ho letto le cose che hai dovuto affrontare e so che hai avuto una vita molto diversa dalla mia, ma, visto come mi sento, tu sei la persona a cui voglio scrivere. So che capirai.

Quella lezione era stata un colpo di genio: Scrivi una lettera ad un personaggio storico per raccontare a lui o a lei come è il tuo mondo e in cosa è diverso dal suo. Ed ora aveva una montagna di fogli da correggere; non la solita lista di insulti, le pagine macchiate e scarabocchiate, ma una serie variegata di epistole genuine, a volte ipocrite, a volte illeggibili, ad alcuni personaggi tipo Martin Luther King, Churchill, Gandhi (in storia avevano appena finito un capitolo sull’indipendenza indiana) e Harry Potter. Si prese mentalmente un appunto di ripassare il concetto di personaggio storico. Ma adesso il tempo passava e aveva una scadenza da rispettare.

Cosa mai prende ai maschi, perché si comportano in quel modo? Perché a volte sono così strani? Non li capisco. Lo so che avevi dei problemi con Peter e che ti sarai sentita a disagio così rinchiusa. Quando guardo i ragazzi, soprattutto quelli che mi piacciono, voglio condurre il gioco ed essere al massimo. Non sopporto quando ho i capelli in disordine e quando ho la faccia addormentata. Come cavolo facevi tu?

C’è un ragazzo a scuola che mi piace. Vive abbastanza vicino a casa mia e credo che anch’io piaccia a lui. A volte andiamo a piedi dalla fermata del bus alla mia strada e lui è davvero gentile. Parliamo di tutto, beh quasi di tutto, e siamo d’accordo su parecchie cose: insegnanti, compiti a casa, film, tv. Ma lui è due anni avanti e a volte mi ignora completamente e preferisce fare casino con i suoi compagni. I miei amici dicono che dovrei lasciarlo perdere, ma lui è carino, onesto.

Ma forse dovrei davvero lasciarlo perché se i miei genitori lo sapessero potrebbero fare una scenata. Tredici anni non è un po’ presto per avere un ragazzo?

“Anna! Anna!” Eric col suo tono da Masterchef, col grembiule annodato professionalmente e il canovaccio appoggiato sulla spalla. “La cena sarà servita fra mezz’ora, come stai?”

“Bene, grazie. Ancora sei compiti da correggere e poi la sera sarà nostra. Cos’hai preparato? C’è un profumino…”

“Oh, un tocco di cucina francese stasera, un po’ di je ne sais pas”. Si chinò a baciarle il collo.

“Hai fatto la tua specialità, fromage sur pain flambé?”

“Vedrai, no?” Sorrise e la baciò di nuovo. “Finisci ‘sti compiti. Ora vado a sudare in cucina”.

Lei tornò ai compiti e poi fece una pausa per guardare dalla finestra, dove la tristezza si stava ammucchiando nel piccolo giardino. Una coppia di cornacchie saltava sulla staccionata traballante, gridava a mitraglia e guardava con occhi rapaci la siepe di cipresso tagliata rozzamente. Il loro crepitio intermittente ripeteva: cosa abbiamo perso? Cosa abbiamo perso?

I tuoi genitori erano severi, vero? Ho letto il tuo diario e mi piace come ti esprimi. Sembra che tu capisca davvero i tuoi sentimenti e il mondo intorno. Un mondo che era totalmente in guerra: distruzione, morte e l’orrore dei campi di concentramento. Sono passati sessantasei anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e io spesso ringrazio Dio che non mi ha fatto vivere ai tuoi tempi. Ma poi ascolto il telegiornale, penso ad alcune cose e mi faccio delle domande.

Sembra che ogni sera ci siano notizie di soldati, non molto più vecchi di Peter e del ragazzo che mi piace, che muoiono in Afganistan. Proprio l’altra notte, c’era la notizia di una bambina in Libia morta per un raid aereo. Erano bombardieri NATO: americani, francesi, italiani e britannici. Sì, quelli dalla nostra parte, che hanno ucciso bambine di tre anni. In Libia, però, a chilometri da qui. Mi dovrebbe importare, mi dovrebbe importare di più. Mi odio per il fatto che non mi importa di lei.

Non capisco. Ci sono un sacco di cose che non capisco ed è per questo che ti scrivo. Non ci siamo mai incontrate, ovviamente, e penso che saresti scioccata se potessi vedere il mio mondo e tutti i cambiamenti tecnologici che sono avvenuti negli ultimi cinquant’anni. Tutte le televisioni nel nostro paese hanno un’enorme numero di canali che si possono scegliere. Nessuno usa più le macchine da scrivere, abbiamo dei computer che scrivono testi velocemente e correggono all’istante gli errori, ma abbiamo anche dei piccoli telefoni che possiamo portare in giro. Possiamo parlare al telefono ma anche trovare le informazioni per mezzo di essi, ascoltare la musica, fare le foto e vederle all’istante. Saresti di sicuro scioccata.

Eric ritornò di corsa: “La cena è servita”. Ma si fermò di colpo davanti al fantasma di conseguenze che aveva attraversato la stanza. Una nota alta suonò dalla campana scacciapensieri; la tavola non era ancora stata preparata e sei compiti erano impilati in attesa di correzione. Anna, con gli occhi infossati e inanimati, lo stava guardando con intensità. “Anna! Cosa c’è, Anna?” Lei non rispose né fece cenno di aver inteso.

Stiamo meglio ai nostri tempi? Non sono sicura. Non si dovrebbe avere questa sensazione di essere sporca, no? Come succede tutte le volte che vado nel suo ufficio. Lo odio, lo odio. È il vicepreside. Lui si mette nella sala riunioni e ci dice come dobbiamo comportarci, poi nel suo ufficio ti fa sentire una merda. Ieri mi ha detto di togliermi la maglia, e l’ho fatto. Mi ha detto che ero incasinata e lui non poteva farci nulla. Mi ha strattonato la camicia dicendo che me la metteva a posto e cose del genere. Cose che non avrebbe dovuto fare. Cose che mi fanno provare vergogna, cose che devo dire a qualcuno. Ecco, Anna, l’ho fatto. Ho fatto quello che dovevo, te l’ho detto.

(Traduzione di Silvia Pio)

Illustrazione di Franco Blandino

Questo racconto, insieme a La prima neve, fa parte della raccolta I Was Ready to Fall in Lovehttp://www.amazon.co.uk/Was-Ready-Fall-Love-ebook/dp/B007FDPRWQ/ref=sr_1_1?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1331072069&sr=1-1

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