Ventiduesima puntata - Aleppo
FRANCESCO PICCO
Ad Aleppo i due fraticelli piemontesi giunsero sul far della sera, mentre il sole calante a occidente versava sanguinose striature di luce vermiglia sulle strade delle nuvole in cielo. Padre Vittorio si incupì nel vedere incombere sulla città bigia questa bizzarra fantasmagoria di luci, che gli parve presagio di guerra, di morte, di desolazione. Ma il suo compagno, frate Giovanni Battista, sembrò invece esserne esaltato: e vedendo lui in quello stato di euforia, anche i giannizzeri della carovana si unirono alla sua esaltazione, cominciando ad emettere lunghe cantilene e gorgheggi disumani che promettevano fedeltà assoluta ai sentimenti e alle emozioni del frate. Fra’ Vittorio deglutì, sempre più inquieto. Durante il viaggio la situazione era precipitata. Improvvisamente, infatti, i giannizzeri che facevano parte della carovana si erano ribellati al conduttore, avevano preso prigioniero un adolescente cristiano e minacciavano di sgozzarlo per ragioni che a fra’ Vittorio non erano chiare (ma aveva capito che c’entravano i soldi, almeno tanto quanto la religione): ebbene, in questo frangente così disperato e concitato era stato proprio il suo confratello l’unico a dimostrarsi in grado di non perdere la calma e di prendere in mano il controllo della situazione. Aveva assunto spontaneamente l’iniziativa di parlare per primo ai giannizzeri; e con una nuova imprevista impennata di oratoria araba era riuscito a ottenere subito la liberazione del prigioniero e, di li a poco, anche la completa resa dei ribelli, che deposte le armi si in fedeli seguaci del frate. L’episodio aveva grandemente impressionato tutti i viaggiatori e, incredibilmente, più di tutti gli altri ne erano stati segnati i giannizzeri stessi che ora sembravano disposti a obbedirgli in tutto – anche nell’adeguare il proprio stato d’animo alle sue emozioni.
Aleppo era a quel tempo una città bellissima, popolata di turcomanni, turchi, circassi, armeni, curdi e soprattutto arabi, molti dei quali cristiani delle più diverse confessioni. Il convento dei francescani che sorgeva nel centro della Città Bigia era uno dei punti di riferimento fondamentali per tutto il Popolo della Croce, in qualunque denominazione si riconoscesse: e qui presero alloggio i due frati domenicani appena giunti in città, accolti dalla trepidante festa dei confratelli dell’altro ordine. Una festa dovuta – ma ormai Vittorio Amedeo non se ne stupiva più – all’esuberante presenza di frate Giovanni Battista, cui il padre superiore dei francescani affidò da subito con infiniti salamelecchi e sorrisi la predicazione festiva nella grande chiesa dei Latini.
Accadde, in poche settimane, quello su cui Vittorio Amedeo avrebbe ormai senza incertezza scommesso: la chiesa già di per sé ampiamente frequentata cominciò a riempirsi di gente fino all’inverosimile. Il frate domenicano latino – si mormorava nei vicoli del quartiere cristiano – spargeva miele di parole arabe dalla sua bocca di franco, segno che Dio stesso parlava in qualche modo per mezzo di lui. Il padre superiore ne fu entusiasta, convinto che la cosa sarebbe durata poco dando un giusto moderato lustro alla chiesa dipendente dal suo ordine. Ma quando si accorse che la faccenda andava per le lunghe, il suo entusiasmo si tramutò in moderata preoccupazione.
Che divenne panico, autentico irrefrenabile panico, il giorno in cui il sacrestano fu costretto ad aprire le porte per la troppa folla di fedeli affluita nella chiesa dei francescani: lo fece per consentire anche alla gente sulla piazza di ascoltare le parole del frate, ma il padre superiore dall’altare maggiore non tardò ad accorgersi che là fuori c’era l’intera comunità ebraica, rabbaniti e caraiti insieme, e da un angolo occhieggiava il muftì. La paura si addensò nel cuore vuoto del padre superiore, che si sentì fisicamente male e decise di ritornare nel chiuso del convento.
Quella stessa domenica, al tramonto, convocò fra’ Giovanni Battista e frate Vittorio Amedeo. Gli era giunta notizia – disse – che fra’ Giovanni Battista aveva avuto ambigue e imprudenti frequentazioni con una nobile donna melchita residente ad Aleppo e che questo fatto non poteva essere tollerato, poiché ormai tutta la città (non solo i cristiani ma anche gli ebrei e i mussulmani) mormorava indignata su un simile scandalo. Frate Vittorio Amedeo fu accusato di complicità con il suo confratello – e nessuno sembrò accorgersi del suo stupore, della sua infantile costernazione per un’accusa di cui nemmeno comprendeva i contorni. Giovanni Battista taceva, con il capo reclinato in segno di sottomissione. Ma allora era vero? Si sentiva colpevole?
I melchiti si sa sono ricchi – proseguì il padre superiore con un tono improvvisamente scanzonato, da vero francescano ingenuo – e così la nobildonna aveva fatto un’imponente donazione al convento, con la clausola che i due scandalosi frati domenicani ne venissero allontanati ma con una cospicua somma di denaro da spendere altrove.
E dove andremo? domandò frastornato e incredulo frate Vittorio.
C’è una carovana che parte domani mattina – rispose sorridendo il superiore – ed è diretta in Mesopotamia…
(Continua)
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Illustrazione di Franco Blandino