CARMEN JULIA GUTIÉRREZ
Il concetto di fucina di culture si adatta perfettamente alle corti iberiche del Medioevo e in particolare a quella di Alfonso X. Il pluralismo linguistico, culturale e artistico della corte cristiana innestata sulla cultura di Al-Andalus dà come frutto un’esperienza di integrazione e confluenza culturale, ovviamente osteggiata dal papato, sia perché contraria allo spirito delle crociate che per l’eccessivo protagonismo del re saggio. In questo ambiente nacquero grandi opere d’arte espressione delle diverse correnti culturali o artistiche o, in casi isolati, della fusione tra tutte le culture che convivevano durante questo periodo nella Penisola Iberica; è il caso delle Cantigas de Santa Maria.
Alfonso X di Castiglia, figlio di Fernando II e di Beatrice di Svevia, bisnipote di Fernando II di León e Alfonso VIII di Castiglia e degli imperatori Federico Barbarossa e Isacco di Bisanzio, discendente di Alfonso VII di León, detto “l’Imperatore”, di Eleonora d’Aquitania e di Enrico II d’Inghilterra, fu un uomo di grande curiosità e vivacità culturale, inculcategli probabilmente da sua madre, che a sua volta aveva ricevuto un’educazione raffinatissima presso la corte siciliana di Federico II Hohenstaufen. Attribuì grandissima importanza alle lettere e alle arti sostenendo tenacemente l’affermazione della lingua castigliana con un gran programma di traduzioni e revisioni di opere di matematica, astronomia, storia, diritto e letteratura. La sua corte fu un luogo d’incontro tra saggi, eruditi e artisti; vi soggiornarono a lungo diversi trovatori, tra cui Gonzalo Eanes, Airas Nuñez o Guiraut Riquier, che visse a corte tra il 1269 e il 1279.
Le Cantigas de Santa Maria furono l’opera preferita da Alfonso X il Saggio tra tutte quelle che promosse durante il suo regno. La loro importanza risulta evidente sia per il gran numero di canzoni che contengono (più di quattrocento) che per il fatto di essere un repertorio programmaticamente copiato nello scriptorium reale per vent’anni di seguito. Inoltre, i manoscritti nei quali sono conservate, sono una preziosissima fonte d’informazione per la notazione semimensurale nella quale sono trascritte e per le migliaia di miniature che rappresentano gli usi e i costumi, i luoghi, gli ambienti, le persone, la moda, gli strumenti e le danze. È un corpus musicale di enorme rilevanza e interesse.
Le Cantigas furono trascritte nello scriptorium di Alfonso come una specie di work in progress, visto che il lavoro fu iniziato con una serie di bozze che diedero luogo a una prima versione di un libro di cento composizioni, che fu seguito da una serie di nuove versioni, contenenti sempre più un maggior numero di componimenti, seguendo le impostazioni perfezioniste e compilatorie del re. Le stesse fonti iconografiche testimoniano questo processo che risale all’ultimo terzo del XIII secolo. Nella miniatura del foglio 4v del manoscritto T viene ritratto il re che lavora allo scriptorium ad una bozza delle Cantigas tra i suoi collaboratori, ai quali mostra un fascicolo con il Prologo. Il primo codice delle Cantigas fu copiato probabilmente tra il 1264 e il 1269 e conteneva la trascrizione di cento canzoni, secondo quanto si dice nello stesso Prologo: “Pois que el Rey fez cen cantares” (To, f. 1). Il manoscritto originale non si conserva, ma è possibile che il manoscritto To ne sia una copia, poiché contiene cento cantigas e un’appendice, e venne copiato quasi sicuramente alla fine del XIII secolo o all’inizio del XIV (come dimostra Laura Fernandez, 2009). Questo spiegherebbe errori e incongruenze che altrimenti sarebbero di difficile comprensione se se ne ipotizzasse la provenienza diretta dallo scriptorium di Alfonso ed essendo il codice più antico ad oggi conservato.
L’edizione successiva delle Cantigas fu un libro sontuoso diviso in due volumi (i manoscritti T e F) nei quali vennero trascritte quattrocento cantigas. Il manoscritto T, composto da duecento cantigas e chiamato il “Códice Rico”, è stato probabilmente copiato intorno al 1280, mentre F, che ne conteneva altrettante, è rimasto incompiuto e senza musica, e fu interrotto probabilmente a causa della morte del re nel 1284. Questi due libri furono concepiti per l’uso personale dello stesso Alfonso, che ne portava sempre con sé un esemplare, come ci indica la cantiga 209: il libro lo curò da una malattia durante un soggiorno a Vitoria.
Il manoscritto E, copiato dopo il 1282 è il più completo di tutti; esso include tutte le Cantigas ed è un’opera che rappresenta in maniera perfetta il lavoro dello scriptorium di Alfonso; è probabile che fosse stato concepito per rimanere nella Cappella Reale di Siviglia, secondo quanto espresso dal re nel suo testamento: “che i libri dei Canti dei Miracoli e di Lode di Santa Maria vengano conservati nella chiesa dove il nostro corpo sia sepolto e che si facciano cantare nelle feste di Santa Maria e Nostro Signore”. Il manoscritto E è noto come il “Códice de los Músicos” per il gran numero di miniature, risultate in seguito molto utili per risalire alle possibili interpretazioni delle Cantigas, che rappresentano cantanti e giullari con strumenti musicali.
La mise en page dei manoscritti (soprattutto T/F e E) è straordinariamente accurata, così come la loro organizzazione interna. Dopo il Prologo tutte le cantigas sono numerate e ordinate secondo lo schema che ad ogni dieci cantigas che narrano miracoli della Vergine segue una di lode (“cantiga de loor”) dedicata alla figura mariana, nella quale si raccontano le sue virtù e gli episodi della vita. Inoltre le miniature che accompagnano le cantigas nei manoscritti istoriati – che riportano fatti e luoghi reali o possibili e della cui veridicità non c’è da dubitare – dimostrano che la loro interpretazione si realizzava con gruppi vocali e strumentali e che gli interpreti (uomini e donne) erano indistintamente arabi, ebrei o cristiani. Questo conferma la presenza dei diversi influssi presenti nell’opera, sia a livello letterario che pittorico e musicale. Se da una parte facilmente si scorgono gli influssi francesi (specialmente nei testi e nella composizione dell’opera), dall’altra si avvertono elementi islamici o bizantini (numerosi personaggi bizantini frequentarono la corte di Alfonso, la cui nonna era figlia dell’imperatore di Costantinopoli), o anche italiani.
Relativamente a questi ultimi conviene ricordare che è documentata la presenza di artisti e traduttori italiani presso la corte di Alfonso, alcuni dei quali forse provenienti dalla scuola pittorica della corte siciliana degli Staufen, chiusa nel 1266 alla morte del reggente Manfredo, il cui successore, con il titolo di Re dei Romani, fu proprio Alfonso. Ciò spiegherebbe la presenza di elementi italiani riconoscibili in alcune miniature, così come le stesse Cantigas di ambiente italiano.
Anche nella musica delle Cantigas sono riconoscibili diversi influssi: la notazione è ispirata ai modelli francesi diffusi in tutta Europa, i temi trattano di personaggi e luoghi di tutto il mondo conosciuto, le melodie presentano citazioni di opere liturgiche (Dies irae: cantiga 350), religiose (“Canto de la Sibila”: cantiga 422; prosa Aeterni numinis de Hu: cantigas 85 e 171; rondellus Fidelium sonet di Fi: cantiga 290) e profane, oltre a – senza dubbio – echi di musiche popolari che non siamo in grado di documentare. Le Cantigas presentano infine un profondo influsso della musica andalusa nella forma e nel ritmo, ovvero negli aspetti che distinguono questo repertorio dalle altre tradizioni occidentali, rendendolo più originale. Secondo Ferreira (2000) il ritmo delle Cantigas sarebbe fondamentalmente arabo, basato sulla periodicità, impossibile da trascrivere nel sistema francese dei modi ritmici e simile a quello espresso dai teorici arabi, come Al-Farabi (ritmi ciclici quaternari con sincopi e prolungamenti). La forma delle Cantigas sarebbe invece indigena (ispanica), proveniente dalla tradizione della moaxaja e dello zéjel, che sembra aver dato luogo a due tipi basilari di schema formale: il virelai (con molte varianti) AA// BBB AA, AB // CCC AB e un tipo particolare di rondò che Ferreira denomina “rondò andaluso” AB // BBB AB, (…) AAA BA. Nelle Cantigas appaiono inoltre altre forme musicali tra le quali va citato per numero di esempi il rondò francese AB//AAAB. Tuttavia la maggior parte delle cantigas (circa il 90%) hanno la forma del virelai o rondò andaluso, forme che, o erano sconosciute nel resto d’Europa (rondò andaluso), o furono conosciute nella Penisola Iberica molto tempo prima che altrove (in Francia il virelai è ignoto fino al 1300, cosa che fece supporre a Willi Apel (1954) l’origine spagnola di questa forma). Ferreira (2011) osserva inoltre che le forme musicali “autoctone” si mantengono costanti nella loro ricorrenza nelle fonti, mentre nei manoscritti più moderni diminuisce l’uso delle forme francesi.
Tutti questi dati ribadirebbero che un ruolo fondamentale, ai fini di uno studio serio e di una corretta interpretazione delle Cantigas, lo svolge l’elemento arabo-andaluso che non deve avere una semplice funzione ornamentale, sovrapponendo alle trascrizioni di Anglés strumenti e costumi arabeggianti simili a quelli che si vedono nelle miniature, ma deve avere una profonda conoscenza dei ritmi e delle strutture, ciò che in questa registrazione hanno dimostrato di avere l’Ensemble Calixtinus e il gruppo vocale delle Faraualla. Partendo dallo studio approfondito delle fonti e dalla conoscenza degli strumenti e dei repertori mediterranei e arabi, dunque, hanno ricostruito un’atmosfera multiculturale ricca e varia nella quale si intrecciano perfettamente le voci delle Faraualla, voci che con il loro dominio delle espressioni vocali di differenti etnie e culture riflettono nel disco la naturalezza del canto di un repertorio vivo, al quale ci avvicinano in modo potente. Un aspetto da sottolineare di questa interpretazione è il ritmo, inteso non solo come semplice accompagnamento della melodia, ma come asse fondamentale del movimento melodico, che lo rende adatto persino alla danza. Non a caso numerose miniature mostrano riti sacri nei quali la danza assume un ruolo principale.
Il repertorio scelto per questa registrazione comprende un brano strumentale, sette cantigas di miracoli – quasi tutte di tema orientale – e una di lode, la maggior parte delle quali sono inedite. Le cantigas dei miracoli hanno tutte la caratteristica forma musicale del virelai, mentre quella di lode è l’unica senza ripetizioni. I canti sono accompagnati da preludi strumentali ispirati alle musiche del Mediterraneo che servono da filo conduttore e allo stesso tempo rimandano all’unico brano strumentale TUSHY Al-M’sarki di tradizione marocchina proveniente dal repertorio delle Nubas, musica colta dell’Al-Andalus.
In tutte le cantigas dei miracoli, dopo l’introduzione del contesto, si narra la storia dell’intervento divino; così, nella cantiga 136 Poi-las figuras fazen dos santos, ci troviamo nella città di Foggia, in Puglia, dove una donna tedesca, infuriata perché non vinceva mai ai dadi, lancia una pietra contro il volto di un’immagine di marmo del Bambino Gesù. La Vergine, che sosteneva il Bambino nel sollevare il braccio per proteggerlo, viene ferita e dunque la sua statua lesionata. Il re (Corrado) castiga la donna e incarica un artista della riparazione dell’immagine, cosa che però non riesce ad essere compiuta, dove il buco insanabile nella pietra della statua rimane in ricordo dell’offesa. Questo discorso anti-iconoclasta non è un caso isolato nel repertorio delle Cantigas, sembra infatti che il re fosse un gran devoto delle immagini sacre. D’altro canto, questo miracolo, come gli altri che appaiono nel resto delle cantigas di ambiente italiano, non è citato da nessuna raccolta anteriore, ma sembra piuttosto appartenere alla tradizione orale.
Nella cantiga 165 Niun poder d’este mundo si racconta che Santa Maria difese con soldati celestiali le città di Tortosa, in Siria, dal poderoso sultano Bondoudar e che questi rinunciò all’assalto essendo cosciente del potere divino. Nelle scene che illustrano questa cantiga possiamo riconoscere delle similitudini già segnalate da Gonzalo Menéndez Pidal, con dei manoscritti islamici nei quali si rappresentano sfide belliche e più precisamente con un manoscritto del 1237 della Scuola di Bagdad (F-Pn, ms. arabo 5847).
La cantiga 28 Todo logar mui ben narra come la Vergine, grazie alle suppliche di San Germano e altri fedeli, difese Costantinopoli dal sultano di Siria. Il sultano chiese aiuto a Maometto alzando gli occhi al cielo e vide la Vergine difendere le muraglie distrutte della città con il suo manto e ricevere ferite nella sua stessa persona, ragione per la quale, commosso, entrò in città e chiese di essere battezzato. Nell’interpretazione di questa cantiga, con un ritmo molto sostenuto, si adoperano come accompagnamento la cornamusa e la ciaramella, che dà al brano un colore che ricorda la musica popolare della Spagna settentrionale.
La cantiga 49 Ben com’ aos que van per mar racconta la storia di un gruppo di pellegrini che si dirige verso la chiesa di Soissons e a causa del buio della notte si smarrisce nella montagna, ma la Vergine lo conduce a destinazione sano e salvo. In questa canzone si realizza una polifonia parallela nel ritornello, attraverso un crescendo vocale, mentre la strofa narra la storia in forma monodica. A volte i manoscritti sembrano dare testimonianza dell’uso della polifonia parallela nelle cantigas; nel manoscritto T, ad esempio, in varie occasioni determinati passaggi sono scritti in 5ª superiore diversamente dal manoscritto E.
La cantiga 193 Sobre los fondos do mar narra il miracolo che la Vergine fece salvando un mercante che era stato derubato e lanciato in mare da una delle navi del re Luigi di Francia, durante il suo viaggio a Tunisi con i crociati. Preceduta da una lunga introduzione strumentale, si interpreta con un ritmo diverso da quello trascritto da Anglés, secondo le durate indicate nelle fonti originali con le indicazioni di Geronimo di Moravia, vicine alle formulazioni ritmiche arabo-andaluse. Nelle strofe si introduce occasionalmente la polifonia.
La cantiga 187 Gran fe devia om’ aver en Santa Maria racconta che la prima chiesa di Siria era stata in precedenza una sinagoga e che, per ordine della Vergine, vi si era costruito un monastero. In un’occasione i monaci erano stati sul punto di abbandonarlo per la mancanza di alimenti, ma, dopo aver pregato tutta la notte, la Vergine riempì il loro granaio. In un’altra occasione ci fu una grande carestia, e di nuovo grazie alle orazioni, la Vergine concesse loro una grande quantità d’oro, il che dimostra che la fede in Santa Maria può salvare l’uomo da ogni male.
La Cantiga 33 Gran poder a mandar narra di una nave che trasportava oltre 800 pellegrini verso Acre e naufragò a causa di una tempesta. Alcuni passeggeri, tra i quali un vescovo, si imbarcarono su di una scialuppa di salvataggio, ma uno di loro inciampò tentando di raggiungerla e cadde in mare. Quando i sopravvissuti raggiunsero la riva scoprirono che l’uomo che era caduto in acqua li aspettava lì e che narrò loro che la Vergine l’aveva salvato; infatti, come recita il ritornello, gran potere ha su tutti gli elementi la Madre di colui che li creò.
L’unica cantiga di questo disco che non racconta un miracolo è la numero 1, Des oge mais quer’ eu trobar, una cantiga di lode che è inoltre l’unica a non avere la caratteristica forma del virelai; e infatti le eccezioni alle forme musicali ispaniche riguardano solitamente queste cantiche di lode. Si tratta di un brano senza ripetizioni strutturali – anche se si riprende materiale melodico da una frase all’altra -, secondo lo stile delle canzoni di amor cortese, aspetto che si collega anche all’uso di forme “francesi”. La canzone comincia secondo la maniera cortigiana, dicendo che il trovatore da quel momento comporrà solo per la sua Dama, per poi narrare le sette gioie della Vergine.
Manoscritti citati:
To Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 10069
T Madrid, Monasterio de El Escorial, ms. T.i.1
F Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Banco Rari 20
E Madrid, Monasterio de El Escorial, ms. b.i.2
Hu Burgos, Monasterio de las Huelgas Reales, Codex Las Huelgas
Fi Firenze, Biblioteca Laurenziana, pluteus 29.1
Bibliografia citata:
Apel, Willi: “Rondeaux, Virelais, and Ballades in French 13th-Cen¬tury Song”, in Journal of the American Musicological Society, 7, 1954, pp. 121-30.
Asensio, Juan Carlos: “Liturgia, paraliturgia y formulación melódica en las Cantigas de Santa Maria”, Cantigas de Santa Maria de Alfonso X el Sabio Rey de Castilla. II. Estudio, Fernández Fernández, Laura; Ruiz Souza, Juan Carlos, eds. Madrid, Editorial Testimonio, 2011, 2 vols., pp. 207-231.
Fernández, Laura: “Cantigas de Santa Maria: fortuna de sus ma¬nuscritos”, Alcanate VI, 2009, p. 323-348.
Fernández, Laura: “Este livro, com’ achei, fez á onr’ e á loor da Virgen Santa Maria. El proyecto de las Cantigas de Santa Maria en el marco del escritorio regio. Estado de la cuestión y nuevas reflexiones”, Cantigas de San¬ta Maria…, op. cit., pp. 45 a 78.
Ferreira, Manuel Pedro: “Andalusian Music And The Cantigas De Santa Maria”, Cobras e Son: Papers on the Text, Mu¬sic and Manuscripts of the “Cantigas de Santa Maria” Edited by Stephen Parkinson, Oxford, 2000, pp. 7-19.
Ferreira, Manuel Pedro: “A música no Códice Rico: formas e nota¬çao”, Cantigas de Santa Maria…, op. cit., pp. 189-204.
Per gentile concessione di “Digressione Music