La rosa dei giardinieri.
GUIDO GOVONE.
Non si può parlare di rose, se non si parla prima di giardino.
Un giardino è un piccolo sistema filosofico “en plein air”, esprime una certa idea del mondo, si potrebbe dire che è il risultato di una creazione privata che ha la presunzione più o meno consapevole di misurarsi con l’Artista supremo. Trasformare un piccolo o grande angolo di terra in uno spicchio di Paradiso ci fa provare l’ebbrezza della creazione, così come una passata di grandine, una gelata fuori stagione ci fanno toccare con mano la fragilità, la precarietà insita in ogni creatura vivente.
Un giardino è una metafora della vita, un teatro dove si assiste a crescita e declino, resistenza e sopraffazione, dove scorre la vita e la morte.
Piantare un albero, impiantare un giardino è un gesto di ottimismo, una sfida al Tempo, una ricerca di immortalità, il giardino parlerà di noi a chi verrà dopo di noi. Governare una pianta o tante piante ci fa sentire utili, ci insegna ad ottimizzare l’impiego delle nostre risorse, nulla di troppo, cure sobrie, controllo e autocontrollo («Faites peu, mais bien; faites tres peu, mais tres bien; faites rien, mais perfait»)
Nei paesi del Nord Europa e negli Stati Uniti già da molti decenni si è sviluppata la cosiddetta Horticultural Therapy, cioè una sorta di disciplina medica che si inserisce nelle terapie occupazionali. I giardini curativi (healing gardens) si sono imposti all’attenzione della comunità medica per i positivi risultati nella cura di svariati disturbi (cfr. C. BORGHI, Il giardino che cura, Giunti 2007).
Il potere curativo del giardino si fonda su almeno due ordini di motivazioni. Una è intuitiva: l’armonia, la bellezza, l’ordine naturale, l’energia sottesa al giardino stesso predispongono la nostra mente all’ottimismo, alla voglia di vivere. Il bello procura benessere alla mente e di conseguenza al corpo. Il bello si coniuga al buono, il giardino felice riassume simbolicamente con questi aggettivi la perfezione, il paradiso perduto.
La seconda motivazione è più scientifica: si fonda sulla considerazione che la medicina occidentale, sempre più specialistica e tecnicistica, focalizzandosi sempre più sull’organo, sulla malattia, sul sintomo, trascura la persona nella sua totalità. Si guariscono sempre più malattie, ma non si sta bene; si vive sempre di più ma non si vive meglio.
Ebbene: la cura attiva di una pianta, di un giardino, di un orto, così come la semplice fruizione passiva (il giardino riflesso), sono spesso complementi al buon esito clinico, sono buoni alleati del medico e del malato. Già Aristotele diceva che il medico cura, la natura guarisce.
Il prendersi cura, il rapporto di alterità con il mondo vegetale offre benefici intellettuali, aumenta le conoscenze, le competenze, favorisce la comunicazione tra persone, aumenta l’autostima, l’autocontrollo, fa stare con piedi ben piantati a terra. Da un punto di vista fisico migliora le capacità motorie, respiratorie, contribuisce a ridurre la frequenza cardiaca , la pressione arteriosa, aumenta il tasso di colesterolo buono.
Anche contemplare il giardino, il verde, negli ospedali, nelle residenze per anziani, produce benessere psicofisico, attraverso un “risanamento dell’attenzione” che riduce lo stress che si accompagna a qualunque malattia. Sappiamo che riducendo lo stress miglioriamo il sistema immunitario. Se si riduce il cortisolo e la noradrenalina, se aumentano le endorfine migliora di conseguenza la qualità della vita. È noto che i grandi vecchi che vivono in campagna hanno una percentuale di autosufficienza superiore rispetto ai coetanei che vivono in città.
Per venire al nostro tema, le rose sono forse i fiori più famosi al mondo, con un enorme seguito di ammiratori, coltivatori, associazioni a loro dedicate. Per avere una misura del loro successo, basta ricordare che oggi sono disponibili sul mercato più di 20.000 tra specie e varietà di rose e che un ibrido di rosa Tea – M.me Meilland, nato nel 1942 a Lione, definito il rosaio del XX secolo, si può considerare il primo esempio di rosaio globale. Importato in America, fu premiato il 15 agosto 1945 (il giorno della resa del Giappone) e battezzato “Peace”; si diffuse anche in Germania col nome di “Gloria Dei”, mentre in Italia fu chiamata “Gioia”: si calcola che di questa rosa sia stato superato il traguardo di 50.000.000 di esemplari riprodotti nel mondo. Tale e tanto successo ha talora stravolto questa rosa, l’ha imprigionata nel suo mito, rendendola vittima delle velleità e delle follie degli ibridatori, in cerca sempre di nuove varietà da concorso di bellezza.
LA ROSA NELLA STORIA
Le prime testimonianze storiche che abbiamo risalgono all’epoca dei Sumeri (Sargon I, terzo millennio a.C.) e poi via via troviamo le rose citate nell’Iliade (ornano lo scudo di Achille) e in Erodoto (che ne attribuisce l’introduzione in Grecia a Re Mida), in Anacreonte e in Saffo, che la per prima la chiama “la regina dei fiori”. Confucio nel V sec. a.C. cita un olio di rosa estratto dalle rose coltivate nei giardini imperiali, il cui uso era riservato solo agli imperatori e ai dignitari di corte. A Roma – dove arrivò pochi anni prima della nascita di Cristo – la rosa veniva usata nei templi per adornare le statue degli dei, sulle tombe e nei banchetti (è famosa la pioggia di rose ai banchetti di Nerone, che addirittura una volta soffocò un commensale); durante i Giochi le vie di Roma erano coperte di petali di rosa, sicché la sua coltivazione era diffusissima non solo in Italia ma in tutte le Province dell’Impero, dove il clima lo permetteva. Plinio il Vecchio descrive minuziosamente la rosa Centifolia, la Alba, la Moscata, la Gallica officinalis.
Già Seneca ed i filosofi stoici condannarono l’uso smodato delle rose, ma furono i primi Cristiani che riversarono sulla rosa, simbolo del Paganesimo e della crapula, attacchi rabbiosi. Tertulliano scrisse contro il fiore un intero volume e Clemente Alessandrino nel III sec. d C. nei suoi scritti teologici vietò ai Cristiani di ornarsi di rose. Ma pare che già allora i Cristiani non seguissero alla lettera i loro teologi e continuassero a coltivare rose di nascosto, introducendole nelle chiese e nei riti. Gradatamente la Chiesa si rese conto che era meglio assimilare, cambiando di segno, certe espressioni del Paganesimo: così all’inizio del XII, in onore della “Rosa” Maria, si arrivò al rosario, e nelle litanie la Madonna venne chiamata “Rosa mistica”, “Rosa senza spine”. Nei secoli bui le rose trovarono rifugio nei monasteri, che ebbero il merito di conservare e trasmettere ai posteri varietà e specie che altrimenti sarebbero andate perdute. Era regola che almeno uno dei monaci di ogni comunità dovesse intendersi di botanica e delle virtù medicinali delle erbe. Per nostra fortuna molti di questi dotti monaci contrabbandarono come medicinali anche molte varietà di rose…
Al di fuori della Chiesa, Carlo Magno impose la coltivazione dei rosai nei castelli, e anche gli Arabi manifestarono per la rosa una particolare predilezione: quando il loro impero si estese dall’India alla Spagna ne importarono in Europa specie e varietà asiatiche e viceversa. Il culto della rosa dilagò in Francia e in Inghilterra, dove la rosa divenne un fiore araldico e nel 1460 raggiunse la sua massima “popolarità” con la Guerra delle due Rose tra gli York, che nel loro stemma avevano una rosa bianca, e i Lancaster, che avevano una rossa gallica.
Nei giardini europei, fino alla fine del XVIII sec. le più importanti rose coltivate erano le Galliche, le Moscate, le Damascene, le Centifolie, che fiorivano una sola volta all’anno, a primavera. Proprio in quel periodo arrivarono le prime quattro rose dalla Cina che impressero una vera svolta nella storia di questa pianta, perché le Cinesi iniziavano a fiorire a maggio e, dove il clima lo consentiva, andavano avanti tutto l’anno: così fu la linfa cinese che diede ai nuovi ibridi la capacità di rifiorire, caratteristica fino ad allora sconosciuta in Europa. Successivamente, da un vivaio cantonese, fu importata la rosa Tea e da queste cinque piante cinesi derivarono tutte le principali varietà di rose del XIX sec. – quando si dice la globalizzazione! Nel periodo napoleonico la Francia ebbe il primato delle rose grazie all’Imperatrice Giuseppina Bonaparte, che dal 1804 al 1814 collezionò tutte le specie di rose allora conosciute.
Dall’età napoleonica ad oggi la rosa ha subito una continua evoluzione: oggi il grosso delle rose coltivate sono ibride di Tea, polyantha e floribunda, e tra i rosaisti più famosi si annoverano i Barni in Italia, i Meilland in Francia, David Austin in Gran Bretagna.
VARIETA’ DI ROSE
La classificazione delle rose è un’operazione complessa e ancora controversa. Come autorevolmente scrisse Linneo nel 1753 “Le specie della Rosa sono molto difficili da classificare, e coloro che ne hanno viste poche sono in grado di distinguerle meglio di quelli che ne hanno esaminate molte” A proposito di Linneo, è d’obbligo spendere due parole. Linneo, autore di un’opera enciclopedica “Species plantarum” è il padre della botanica moderna. Inventò il sistema di nomenclatura binomia adottandolo per le piante prima e tutti i viventi poi; impose il latino come lingua ufficiale dei naturalisti; insegnò botanica e anatomia a Stoccolma; medico di corte, ebbe il titolo nobiliare per motivi botanici. Su una cosa comunque gli studiosi concordano, che le specie della rosa sono circa 200.
Tra queste una posizione di assoluto rilievo la occupano quelle create dalla sola natura – le cosiddette “botaniche”, dette anche spontanee o selvatiche – le “mamme” di tutte le altre rose nate in seguito a ibridazioni naturali o fatte dall’uomo. Con una similitudine si potrebbe dire che tra le rose botaniche e quelle create dall’uomo intercorre la stessa differenza che c’è tra il viso acqua e sapone di una bella ragazza e il viso di una modella dopo una seduta di trucco. Secondo alcuni studiosi le rose sarebbero apparse sulla terra prima dell’Homo sapiens, da 60 milioni a 1 milione di anni fa. Di certo si sa che la Natura le ha distribuite solo nell’emisfero boreale del nostro pianeta: delle specie censite il 70% è originario di Cina, Giappone e Medio Oriente, il 30% è ripartito tra Europa e America Settentrionale. Quasi tutte hanno il fiore semplice (5 petali), un portamento informale e in autunno bacche molto decorative (cinorrodi). Tra queste non posso non citare la Rosa canina (straordinario portainnesti); la Rosa gallica con le sue varietà centifolia (quella dei pittori fiamminghi), officinalis, muscosa; la Rosa moscata, dal profumo di muschio. Da questa rosa, grazie al lavoro di ibridazione di un pastore anglicano, Pemberton, sono derivate varietà rifiorenti molto decorative e profumate che ancora rallegrano i nostri giardini (Cornelia, Felicia, Penelope).
Da mutazioni e ibridi di rose botaniche sono quindi nate le rose antiche, le regine dei giardini dell’Ottocento: una per tutte la Louise Odier (Bourbon).
Il punto di partenza delle rose moderne sono gli ibridi di Rosa Tea polyantha e floribunda, a cespuglio o sarmentose, ad esempio la Pierre De Ronsard, una rosa Meilland con corolle molto piene e opulenti e bordi dei petali rossicci, la Iceberg bianca senza profumo, la Clair Matin (Meilland 1960, dalle delicate sfumature albicocca), la Mermaid (Paul 1918), a fiore semplice giallo zolfo, con un nido di stami.
Spettacolare la copiosissima fioritura (una volta sola nell’anno) dell’Alberique Barbier (1900, wickuraiana), con i suoi lunghi getti flessibili e il fogliame morbido verde brillante, su cui spiccano le corolle color avorio, molto adatta per rivestire pergole (nel parco della Reggia di Venaria) o muri ben esposti.
A partire dagli anni ’50 compaiono e si impongono sulla scena le rose inglesi. Frutto di un’idea geniale di David Austin, un grande vivaista ed ibridatore inglese, sono rosai ottenuti incrociando una rosa antica con una rifiorente, con il risultato di riunire le migliori qualità di entrambe: profumo, forma delle corolle, ricchezza di petali e rifiorenza. Adatte a formare gruppi isolati o bordure, hanno portamento elegante a cespuglio, splendide corolle a forma di coppa o di peonia, ogni sfumatura di colore e lunghi, ripetuti periodi di fioritura.
Una parola ancora meritano le Rose in miniatura, alte 30-50 cm., nate nell’Ottocento dalla Rosa Chinensis minima, con sfumature di porcellana, che hanno avuto grande successo in tempi recenti per la duttilità, la lunga rifiorenza, l’ampia gamma di colori. Tra i produttori la parte del leone la fanno i francesi Meilland (rose meillandine) e l’italiano Nino Sanremo.
COME SI COLTIVANO LE ROSE?
Se è vero che le rose sono piante robuste, vigorose, che danno risultati immediati, è anche vero che non possono essere lasciate a se stesse, ma richiedono pochi ma precisi interventi colturali. Innanzitutto preferiscono un luogo esposto al sole, un terreno piuttosto pesante e compatto, moderatamente calcareo o argilloso, ben concimato, in cui affondano in profondità le loro poche radici a fittone. In generale sopportano bene il freddo e il secco; se si devono bagnare, mai bagnare le foglie per evitare malattie.
La maggior parte degli ibridi vogliono energiche potature primaverili prima della ripresa vegetativa, a differenza delle specie antiche o botaniche. Il taglio della potatura va fatto 3-5 mm. sopra l’ultima gemma, e inclinato verso il lato opposto a dove sorge la gemma. I rosai non rifiorenti devono invece essere potati dopo la fioritura, in modo da lasciare solo i rami vigorosi che porteranno i fiori nella stagione successiva.
Le rifiorenti necessitano di ripetute concimazioni con concime organico ben maturo, ricco di microelementi, e di un’abbondante pacciamatura autunnale. È buona regola rimuovere i fiori appassiti per stimolarne la crescita di nuovi; questo non vale ovviamente per le varietà da bacche.
Le rose si possono propagare per innesto, talea o seme; il metodo più usato dai non professionisti è la talea semilegnosa, da farsi in luglio-agosto, anche se le rose da talea sono meno robuste: difatti i floricoltori utilizzano l’innesto a gemma. La propagazione da seme è usata per avere a disposizione dei portainnesti o nuovi ibridi. Molte rose sarmentose si possono anche riprodurre con il sistema della propaggine.
COME SI CURANO?
Coltivare le rose non è troppo difficile, ma bisogna tenere bene a mente che sono facile preda di malattie crittogamiche e da virus, alcune anche difficili da eliminare; è quindi meglio prevenirle. Le rose, come tutti i viventi, sono più facilmente attaccabili dalle malattie quando sono già indebolite perché mal impiantate, in terreni inadatti, non sufficientemente nutrite, troppo innaffiate. Curioso è che le piante di rose coltivate in città sono più sane di quelle coltivate in campagna, perché l’aria inquinata delle città non offre le condizioni favorevoli allo sviluppo di molti microorganismi patogeni.
La parte del leone la fanno i funghi: il mal bianco od oidio attacca facilmente le rose e si manifesta come una polvere bianca che copre foglie e giovani getti; la macchia nera, molto più insidiosa, si manifesta con macchie nere cerchiate di giallo e marrone sulle foglie, macchie che si ingrandiscono fino a farle cadere; la ruggine sono funghi arancioni che si attaccano alla pagina inferiore delle foglie; vanno prevenute con trattamenti precoci in primavera.
Praticamente tutte le rose sono infestate dagli afidi verdi o pidocchi, che vengono combattuti con irrorazione di estratto di tabacco o di macerato di ortica o di derivati del piretro. Poi ci sono i maggiolini e le cetonie che si annidano nel centro del bocciolo, nutrendosene voracemente: conviene toglierli a mano o spruzzarli con i prodotti usati per gli afidi. Le cocciniglie si trovano particolarmente su fusti vecchi e legnosi e sulla pagina inferiore delle foglie, hanno forma di piccole scaglie biancastre o brunastre e si contrastano con l’olio bianco. Anche la mosca della rosa reca danno, facendo incisione negli steli fiorali per deporvi le uova da cui nascono larve che divorano le foglie più tenere.
LE DAME DI COMPAGNIA
Come tutte le regine, anche le rose hanno le loro dame di compagnia, cioè altre piante che si prestano ad una favorevole consociazione, dando un contributo all’estetica del giardino e nello stesso tempo fornendo un aiuto al giardiniere per la manutenzione. Anche se su questo argomento non tutti i coltivatori di rose sono d’accordo, io sono tra quelli che sostengono che le rose hanno bellissimi fiori ma brutti piedi, che pertanto vanno coperti con erbacee o altre piante adatte, di non grossa taglia, per non sovrastarle. Le piante che si accompagnano meglio alle rose sono le salvie, le lavande, gli allium, il tagete (che pare tengano lontani i parassiti) oppure basse siepi di bosso, un tappeto di edera selvatica o – come ho avuto modo di sperimentare ultimamente – le aquilegie con le loro foglie molto decorative e i loro fiori che si aprono in anticipo rispetto alle rose.
PROPRIETA’ MEDICINALI
I principi attivi della rosa si ricavano dai petali essiccati e dai cinorrodi delle rose selvatiche. Dai petali si estraggono, oltre all’olio essenziale, tannini, flavonoidi e antociani. L’essenza di rose è uno dei prodotti cosmetici più utilizzati fin dall’antichità. Un tempo si estraeva dalla rosa canina, oggi dalla rosa damascena coltivata in Bulgaria, in Turchia, in Egitto; per ottenere 1 kg. di essenza servono 3-4 tonnellate di petali. L’olio essenziale, che ha un effetto antinfiammatorio e battericida, entra nella composizione di colliri, in profumeria e in cosmesi.
I frutti contengono vitamina C in quantità fino a 100 volte superiore rispetto a quella contenuta nelle arance; ben a ragione quindi la polpa di rosa era usata per prevenire e curare lo scorbuto. Oltre alla vitamina C, nei frutti troviamo una discreta concentrazione di vitamine A B K e inoltre carotenoidi, zuccheri, tannini e una sostanza con proprietà antibiotiche. Si possono utilizzare sia essiccati per preparare gradevoli infusi, sia come confettura o gelatina.
Oltre all’uso fitoterapico, la rosa trova anche un’utilizzazione in campo gastronomico, in marmellate, salse, gelati…
QUI Nel nome della rosa – 2