FULVIA GIACOSA.
Il compito di istituzioni pubbliche e private di ogni luogo, soprattutto se lontano dai grandi centri di promozione artistica, dovrebbe essere quello di sostenere la produzione di coloro che in quel territorio vivono, operano e con la loro professionalità introducono un valore aggiunto nella crescita culturale di un territorio.
Per tale ragione meritano un ringraziamento la Fondazione Delfino (sede ospitante), il curatore Enrico Perotto e gli undici artisti che hanno aderito alla mostra “Leda e il cigno. Finzioni e visioni da un mito”. Questi ultimi hanno in comune l’attività di docenza nel Liceo Artistico cuneese: alla cittadinanza essi si rivolgono nel tentativo di superare una tendenza ancora forte di un discorso tra i “soliti noti”. Li accomuna il desiderio di condivisione, che è cosa ben diversa dalla ricerca del “consenso” , oggi spesso tanto vischioso quanto fluido.
La decisione di raccogliere le singole esperienze sotto la sigla LEDA viene spiegata dal curatore: “Libere Espressioni D’Arte” o “Libere Espressioni dei Docenti dell’Artistico”; ne è venuto fuori (tramite l’acrostico LEDA) un invito a misurarsi con il personaggio del mito, filo conduttore della mostra e fonte di originali riletture nelle opere esposte. Cosa non semplice per la notorietà della storia di uno degli amori di Zeus – e neppure di quelli troppo poetici, anzi di carnale violenza – che comporta il rischio della banalizzazione.
Anche in questa occasione, invece, emerge la capacità di molti di difendere e ribadire la coerenza del proprio percorso creativo, nonostante la necessità di comprimerlo in un tema specifico. Il registro illustrativo è presente in alcuni lavori, sia pure con un linguaggio contemporaneo che ammicca alla grafic novel (Manuela Fonti), rivitalizza l’accuratezza disegnativa con un volto attuale e concrezioni coralline nei capelli (Anna Salomone), esplora altre culture scolpendo in gesso una nera Leda africana accarezzata dalla grande ala bianca del cigno (Patrizia Stralla), prosciuga letteralmente l’eterna bellezza di Leda in una delle sue “Didi”, fragile adolescente d’oggigiorno la cui pelle raggrinzita è denuncia di un mondo che non sa più preservare innocenza e speranza (Cristina Saimandi); non manca, infine, un augurale omaggio pittorico alla regina di Sparta – un surreale quadrifoglio con uno dei petali piumato (Tiziano Ettore).
Giorgio Giordano non smentisce la capacità di costruire saldamente la figura col colore intenso e la pennellata scattante, cosicché Leda da icona dell’immaginario mitico si trasforma in una donna in cui scorre la vita vera. Appassionato di geologia e conoscitore delle rocce, Marco Odello asseconda la durezza della verdastra ofiolite (la roccia che deriva dall’antica crosta oceanica) per la capigliatura di Leda, ne fa una solida base che pare un monte in miniatura con le sue schegge appuntite e, nello stesso tempo, sfida il materiale e ottiene una levigatezza assoluta nel volto della fanciulla, esaltandone l’abbandono appena suggerito ma proprio per questo intenso e puro; del cigno resta ormai nulla più che un ricordo, in una piuma in marmo di Carrara appuntata come un fermaglio sui capelli.
Altra opera tridimensionale è la terracotta patinata di Emanuele Greco nel solco delle sue figure femminili frutto di una osservazione partecipata: qui la fanciulla accucciata, con un corpo ordinario di donna e non certo di mitica regina, guarda al dio-cigno che ormai si è involato e di cui resta a terra solo una piuma; nel braccio teso e nella mano semichiusa c’è una nota del tutto terrena che mescola rimpianto, incredulità ed accettazione.
Grazia Gallo, nel suo stile inconfondibile, dedica al tema la tavola “Congiungimenti”, un cosmico, dinamico e direi erotico incontro di due “essenze” su un fondo infuocato; ma ancora più intrigante è “Intra vista”, con un telaio di finestra al di là del quale scorrono taches verdognole dal sapore orientale (l’erotismo dello sguardo rubato?) che convivono con microscopiche grinze di materia, quasi pizzicata, con abrasioni, graffi, scavi e vaghi residui scritturali, cosicché ciò che sta apparentemente al di là della finestra altro non è che la ri-flessione di ciò che sta al di qua, nell’artista che si lascia guardar dentro.
Giuseppe Formisano fa tesoro della lunga esperienza grafica utilizzando strumentazioni contemporanee; la sua “Leda-Danae” – due famosi amori di Zeus – riutilizza la “Danae” di Artemisia Gentileschi, la isola dal contesto narrativo della pittrice seicentesca per avvolgerla in una gigantesca piuma rossa disegnata filo per filo con la penna digitale, la “veste” di segni-tatuaggi che rimandano ad altri suoi lavori: ne vien fuori una figura che proviene dal tempo ma da esso si libera per entrare in una dimensione totalmente a-temporale, con un meccanismo di attraversamento della storia artistica che sopravvive nei suoi frammenti (persino il fondo scuro è in realtà la pianta di un tempio greco): la figura è in ultima analisi metafora contemporanea dell’arte stessa che ha ormai superato le categorie gerarchiche di presente e passato, di avanguardia e tradizione.
Il punto di partenza per l’opera di Daniele Guolo è il sonetto di Yeats “Leda and the Swan”, e ci vorrebbe ben altro spazio per renderle merito. In alto e in basso due piccole “cornici” di piume a pastello rosso conducono al tema, come tante volte succede nei lavori dell’artista; un ramo di gigli, simbolo della purezza della Vergine (il sonetto di Yeats doveva titolarsi inizialmente “Annunciation”), intaccato da due rosse criocere del giglio in fase di accoppiamento, è affiancato da due forme a uovo contenenti un’anfora ed un cratere antichi e incrinati, notoriamente vasi funerari femminile e maschile, il tutto reso a grafite con una sapienza di mestiere non certo comune. La corrosione, sulla natura come sulle opere dell’uomo, dice la fragilità delle cose e l’inevitabile eclissi a cui tutto è destinato, passioni comprese con le sue tragiche genie (non a caso dai versi di Yeats viene il titolo dell’opera “Le mura spezzate”, allusione ad Elena, nata da Leda, e alla distruzione di Troia). L’opera, di assoluta malinconica eleganza e sospensione, diventa un pensiero dipinto, fragile come la carta che l’accoglie.
La mostra è visitabile alla Fondazione Casa Delfino, corso Nizza 2, Cuneo, dal martedì alla domenica (16-19) con ingresso libero, fino al 22 maggio 2016. Tel. 0171-695600 . Info: www.fondazionedelfino.it