LORENZO BARBERIS
Si è inaugurata a Fossano una mostra decisamente interessante, “She. Donne e Madonne”, che include opere dalla collezione di oleografie di Luciano Casasole assieme ai dipinti dei pittori fossanesi Franco Blandino e Anna Branda.
La Mostra, allestita nella villa liberty di Corso Trento 7 a Fossano (Piazza d’armi), ha il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura della Città di Fossano. Inaugurata sabato 7 maggio, alle ore 18, durerà fino a domenica 29 maggio, con il seguente orario: sabato ore 16,00—19,00; domenica 10,30 – 12.00 e 16,00 – 19,00 (ingresso libero).
L’inaugurazione della mostra.
Casasole, Anna Branda, Blandino con l’ass. Cortese e l’on. Taricco.
L’inaugurazione ha interessato i cittadini fossanesi, ma anche visitatori da Bra, Savigliano, Cuneo e Mondovì, e tante personalità del mondo della cultura e della politica: dall’on. Mino Taricco a Gianna Gancia, dal Vicesindaco di Fossano Paglialonga all’Assessore Cortese, dai Consiglieri Mantini, Brizio e Vallauri a Giacomo Pellegrino e Angelo Mana, da prelati come Mons. Mondino, don Pellegrino, don Del Santo e Don Damilano al critico d’arte Carlo Morra, da artisti come Giorgio Maria Marengo ed Ada Perona a poeti come Egidio Belotti, Flavio Vacchetta e Ada Firino, e tanti altri volti noti.
Il significato della mostra è stato spiegato da Franco Blandino: una celebrazione della Donna nella sua originalità e nella sua femminilità, nell’immaginario e nel quotidiano, fino alla sublimazione nella religione, come Madre di Dio.
Il pregiato sito della mostra, la villa liberty già delle Marchesine Rossi e del Colonnello Pizzolla, ha costituito un altro elemento di pregio di questa esposizione, che ha permesso di collocare la collezione di oleografie Casasole in un contesto particolarmente evocativo e adeguato, con la ricostruzione di una camera da letto d’epoca anche nel mobilio, oltre che nelle oleografie presentate.
Qui sopra vediamo un angolo ove appaiono otto diverse copie della “Madonnina” di Roberto Ferruzzi (1897), il soggetto “sacro” più riprodotto al mondo (con quest’opera il Ferruzzi vinse la seconda Biennale di Venezia). L’originale, con un curioso e simbolico destino, è andato perso in mare durante un trasporto.
La presenza delle antiche oleografie è sicuramente un aspetto singolare e particolarmente evocativo dell’esposizione.
Nate nel 1838 e prodotte con larghissima diffusione fino al 1940, le oleografie rappresentano un importante e forse a volte sottovalutato momento minore della storia dell’arte, che meriterebbe forse più attento studio e riscoperta. “Hanno in realtà un significato toccante – scrive C. Visentin, direttore della Fondazione Bergamo nelle storia – dal momento che, in tempi di grande povertà, in molte case di contadini e operai l’oleografia del santo ha rappresentato spesso la prima e unica apertura all’immagine e al colore, all’arte e alla bellezza”.
La Madonna è, ovviamente, uno dei soggetti prediletti dell’oleografia, con particolare riferimento alla sua maternità, come in questa bella immagine stampata su tela quasi a evocare, con una singolare variazione, il tessuto di un arazzo più che un dipinto ad olio.
Presente anche il tema del Sacro Cuore Immacolato di Maria, che appare in diverse figurazioni; un tema ancor più frequente è quello della Sacra Famiglia, come è logico per figurazioni che dovevano essere beneaugurali e protettive del contesto famigliare.
La particolare ricchezza di questo tema permette interessanti confronti tra le varie declinazioni di questa iconografia, che meriterebbe uno studio più dettagliato e sistematico. Si nota come sia insistita, in molte figurazioni, l’anziana età di Giuseppe, in connessione alla verginità perpetua di Maria (tra i più evidenti, questo dipinto dove un vecchio Giuseppe offre a Maria e al Bambino un giglio, simbolo della purezza).
Una figurazione più giovanile di Giuseppe, associata a una maggiore presenza del suo ruolo di lavoratore, avviene nel primo Novecento come risposta cattolica all’operaismo socialista e comunista, facendo del padre adottivo di Cristo figurazione dell’ideale lavoratore cristiano. Naturalmente il Giuseppe Lavoratore del legno crea anche un’allusione alla Croce che si va preparando, come nel fanciullo che gioca con un agnellino la scena tenera evoca anche il suo ruolo di Agnus Dei sacrificale.
In questo senso, appare insistita anche la figurazione della scure, strumento possibile ma non così tipico del falegname, che nella sua latente aggressività diviene forse anche profezia della spada di Damocle che incombe inesorabile nel futuro del Fanciullo. In un solo quadro, invece, appare associata a Giuseppe la squadra, simbolo massonico, declinato nelle figurazioni dell’Ottocento.
Moltissimo si potrebbe ancora dire su questa sezione della mostra; chiudiamo però con quest’unica figurazione slegata dalla figura mariana o comunque dal femminile sacro in senso stretto: troviamo qui infatti un (femmineo?) angelo custode che veglia su due bambine in una situazione di pericolo tutt’altro che infrequente nel mondo rurale ottocentesco, sospese come sono su un ponte pericolante, il corrimano spezzato (proprio dove non trova appoggio la mano della bambina che regge i fiori).
Passando alla parte “contemporanea” della mostra, le opere di Franco Blandino costituiscono in un certo senso anche un efficace trait d’union tra classico e moderno.
Blandino, torinese d’origine, medico a Fossano, ha collezionato numerosi premi sia nella pittura che nell’illustrazione, con mostre a Bra (2012), a Montaldo Roero, a Ceva, a Cuneo presso la Sala Giolitti della Provincia e ad Alba, nella Chiesa di San Domenico, nel 2013; della recente personale di Mondovì nel 2015, che ha portato per la prima volta l’autore in città, abbiamo scritto qui su Margutte, di cui Blandino è l’illustratore ufficiale.
Nelle opere pittoriche di Franco Blandino presentate nella mostra si nota un corposo nucleo dedicato alla sua ricerca più recente, quella dell‘Estetismo della Luce, che riprende l’uso di una texture oro e azzurro cielo formata come da tasselli di mosaico resi, è ovvio, pittoricamente.
Una scelta che rimanda a quella effettuata dalla Secessione Viennese, e in primis dal suo massimo esponente, Gustav Klimt, ai primi del ’900, che avevano recuperato un simile stilema dai mosaici bizantini. Lo scopo (come avviene anche in Blandino) era quello di eliminare particolari dello sfondo e dei drappeggi dei vestiti, che risultavano ormai un appesantimento e una distrazione rispetto al tema principale della figura, distaccandosi da un figurativo tradizionale ormai divenuto un po’ esausto nel tardo ’800, con esiti talora oleografici (ben documentati, peraltro, anche in questa mostra, tramite la collezione di Luciano Casasole).
Questa sintesi visuale di Blandino consente inoltre all’autore di stratificare in modo raffinato e complesso i simbolismi insiti nei suoi quadri. Questa Madonna col Bambino si mostra come vediamo malinconica nel presagire il destino grande e terribile del Figlio: ma oltre alla resa psicologica del volto di Maria (in contrasto con la serenità del Fanciullo) molti indizi sono celati sullo sfondo: la Colomba dello spirito, la Croce, subito sopra l’Eucarestia, i Pesci (simbolo acrostico del nome di Cristo per i primi cristiani).
Alla femminilità sacra di Maria, Blandino oppone quella profana e pagana di altre figure; non però quelle esplicitamente classiche delle sue Sirene, ma altre provenienti sempre dall’ambito biblico, in perfetta antifrasi alla Madonna.
Ad esempio, in Salomé la tessitura musiva si contorce e si sovrappone ai veli usati dalla danzatrice nel suo ballo di seduzione, con cui ottiene da Erode la testa del Battista sul proverbiale piatto d’argento (Salomé era un tema particolarmente caro al Decadentismo e al Simbolismo, che si intrecciano ai bizantinismi della Secessione: e anche Klimt ha realizzato celebri versioni di questo tema intriso di sensualità e morte).
La Salomè richiama un’altra “donna peccaminosa”, ovvero la Eva di Blandino, dipinto seminale di questa ricerca “bizantina”, in cui la scomposizione dello sfondo in tassellature è ancora ai suoi inizi e si mescola al permanere di alcuni elementi di paesaggio. Con soluzioni diverse, è centrale l’elemento dello sguardo carico di malizia che la donna rivolge allo spettatore, nel caso di questo dipinto triplicato dalla triangolazione con l’Occhio Onniveggente divino, dissimulato in alto al centro del dipinto, e con lo sguardo del serpente che, vitreo, punta come una sinuosa freccia verso la donna che mangia del frutto del Bene e del Male (l’occhio del serpente e l’Occhio di Dio sono vicini, quasi l’aurea pupilla divina divenga, in modo egizio, una aureola del serpente stesso). Non mancano anche qui dettagli significativi celati sullo sfondo, come l’Angelo che sovrasta la fronte di Eva, preannunciando la cacciata.
Un lavoro tra texture musiva e tessuti è anche quello che appare nel tema della Sposa, sospesa tra castità e malizia. Le stoffe bianche qui evocano la purezza, ma il gesto con cui la Sposa le solleva, per camminare, diviene anche una profferta seducente.
Un dipinto che dialoga con un analogo taglio di particolari nella Schiava, in cui Blandino rinuncia alla texture per l’all-white, facendo risaltare ancora di più le gambe femminili decisamente sensuali, con sandali “alla schiava” appunto e una simbolica catenella (la malizia, forse, sta anche in quella superficie a specchio sotto le gambe della donna).
Specchio che ritorna in un’altra figurazione della Vanitas, questa volta in all-black, soluzione tipica già di un periodo più antico di Blandino, con un rimando al caravaggesco. Qui lo specchio, a margini vivi, è stretto nella mano della donna, parzialmente spezzato, riflettendone una minima parte del volto (le labbra, quasi a controllare il rossetto impeccabile e rosso come lo smalto delle mani).
Un secondo nucleo di opere, infatti, è relativo a questa produzione a sfondo nero, in grado di far risaltare le figure nel loro emergere da uno sfondo oscuro, conturbante, quasi un incubo alla Fussli nella tecnica di fortissimo contrasto chiaroscurale che rimanda ai secenteschi.
Non può mancare, ovviamente, la grafica, che ha un ruolo importante nella produzione di Blandino (anche, di recente, come illustratore ufficiale del nostro Margutte, come detto), e in cui la figura femminile appare spesso un tema importante.
E chiudiamo su Blandino con due curiosità: la prima è questa tavolozza, usata dall’autore, che è stata utilizzata ora come base d’appoggio per un sua rara sculturina in creta, un bassorilievo di volto femminile che diviene la personificazione della sua Musa, la Pittura.
La seconda è questa meravigliosa scacchiera decorata dall’autore (ogni pezzo, come vuole consuetudine, è diverso dagli altri per piccoli particolari, anche i pedoni e i “pezzi doppi” come torri, alfieri e cavalli). A suo modo, un perfetto coronamento della riflessione sulle “Madonne”, in quanto la transizione degli scacchi dal mondo arabo a quello cristiano verso il XII secolo (per tramite delle crociate e, per chi ama queste suggestioni, in particolare del mondo templare) ha coinciso con la trasformazione del pezzo più potente, il Visir (il Generale degli scacchi indiani) nella Regina degli scacchi europei: segno di una diversa concezione del ruolo femminile anche sulla scorta, ovviamente, del ruolo di Maria, Regina del Cielo, nella religione cristiana, a differenza di un monoteismo totalmente maschile.
Se il lavoro di Blandino viene a costituire quasi una mediazione ragionata tra antico e moderno, tra classico e avanguardia, tramite la sintesi della poesia luministica di sapore bizantino, il lavoro di Anna Branda si segna chiaramente in un solco novecentesco, declinato con competenza e autonomia della ricerca.
L’opera dell’autrice si distingue inoltre per la grande e raffinata delicatezza con cui il tema femminile viene colto e interpretato, con suggestioni – mai meramente derivative – che rimandano ai grandi nomi storici del Novecento italiano, da De Chirico a Campigli, con qualche suggestione forse anche di Carrà e Sironi.
(particolare)
Nata ad Alassio e fossanese di adozione, Anna Branda ha insegnato Figura disegnata e Discipline Pittoriche al Liceo Artistico “Ego Bianchi” di Cuneo, e vanta al suo attivo numerose presenze in mostre personali e collettive del cuneese (collettiva nella Chiesa di San Giovanni di Cuneo, a Saluzzo, nel Palazzo Civico di Demonte e nel castello di Roccadebaldi, con gli insegnanti del Liceo Artistico in “E. Bianchi” “Arte tra i banchi 1963-2013″, presso il Museo Civico “Antonino Olmo” di Savigliano ed a Carrù. Mostre al Museo Palazzo Martina di Monforte d’Alba e nella chiesa di S. Gregorio a Cherasco. Personale presso il palazzo municipale di Beausoleil.)
Le figure femminili di Anna Branda sono quindi, come si può vedere, presenze sospese, quasi metafisiche, costruite con una impalpabile leggerezza e al tempo stesso dotate di una forza sottile, ma reale.
Tra le altre, colpisce l’eleganza di questa donna connessa a un Cerchio che può darsi come forma pura, ma anche come specchio, oppure cerchio rotolante come lontano ricordo di un’infanzia passata, d’altri tempi, tema frequente nelle assolate piazze d’Italia di De Chirico.
Il tutto in una precisione leggiadra degli equilibri spaziali, ottenuto con quella studiata assenza di sforzo che i cinquecenteschi avrebbero definito “sprezzatura”.
Oltre i dipinti, notevole anche il disegno, forma espressiva verso cui Anna Branda confessa una particolare predilezione, in ritratti attenti, nitidi, precisi.
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Insomma, una mostra interessante e ricca di molteplici spunti, che vale indubbiamente una visita.