Intervista a Graziella Dotta
SILVIA PIO (a cura)
Hai scritto tre libri. Quali elementi accomunano i tuoi romanzi e quali li rendono diversi?
Sicuramente l’elemento che troviamo in tutti i miei romanzi, e sarà così anche con quelli che verranno in futuro, è la presenza degli animali domestici che accompagnano i protagonisti. Nel primo, “Nessuno cambia mai”, la protagonista vive in simbiosi con il suo labrador Jack. Nel secondo, “Il filo che ci lega”, la protagonista Clara vive con la gatta Bisyche ha un ruolo ben preciso nella sua rinascita, mentre la coprotagonista Marina si innamora di una boxerina di nome Claretta. Nell’ultimo, “Baci, Giulia.”, la protagonista Giulia vive con il gatto Baloo e la femmina di levriero Angel. Ognuno di questi animali ha una sua storia vera che si intreccia a quella dei personaggi. Per me è molto importante la loro presenza nelle vicende che racconto, come d’altra parte lo è nella mia vita. Nell’ultimo romanzo ho voluto raccontare attraverso la voce di Giulia la storia vera dei levrieri spagnoli. La questione mi tocca profondamente in quanto io stessa ho adottato una dolcissima femmina di levriero spagnolo e tengo molto a far conoscere la tragica situazione spagnola al maggior numero di persone possibile.
Un altro elemento comune, forse un tantino più nascosto, è il papà delle protagoniste. Lui non c’è più ma è sempre lo stesso, un papà da ricordare che si chiama Pietro come mio padre. Come se io e le mie protagoniste fossimo tutte sorelle. E in effetti è così che le sento.
Due parole sulle protagoniste. Qual è la protagonista a cui sei più legata e perché?
È difficile scegliere una figura tra le altre. La prima, Niki, è la più giovane, istintiva, pericolosa ma capace di fermarsi ad un passo dal baratro. Inflessibile nelle sue convinzioni, il suo rapporto con il labrador Jack è quello che preferisco. Ne “Il filo che ci lega” le protagoniste sono due: Clara, la giovane OSS con un passato da donna in carriera, e Marina, la ballerina in pensione. Mi sono identificata pienamente in Clara quando ne raccontavo la storia mentre Marina è stata per me un punto di riferimento.
L’ultima protagonista è Giulia, più vicina temporalmente, con un bagaglio di esperienze comuni a molte di noi, una grande forza d’animo e una enorme voglia di ricominciare e di tornare alla sua vita.
Io sono stata Niki, sono stata Clara e sono stata Giulia, ma la figura a cui sono legata maggiormente credo sia Marina. Per creare Marina ho mixato due persone che amo, una mi ha lasciata qualche anno fa e compare nella dedica de “Il filo che ci lega”, l’altra è tuttora una mia grande amica e sostenitrice e compare sempre nei miei ringraziamenti. Ecco, Marina è come una zia per me e mi rimane accanto in ogni mia veste. Che io torni ad essere Niki o Clara o Giulia o che io rimanga semplicemente Graziella, Marina per me è sempre il mix tra Carmelina e Ada.
Riesci ad individuare una pagina in ciascun romanzo che in qualche modo lo definisce, una pagina da ricordare?
È difficile riuscire a concentrare in poche frasi le storie che volevo raccontare ma ci provo.
“Nessuno cambia mai”: al di là del rapporto Niki / Jack di primaria importanza, credo che la parte più significativa sia la riflessione di Niki che dà il titolo al romanzo.
«Nessuno cambia mai. Non cambia lei che continua a illudersi. Non cambio io che continuo a voler salvare il mondo e vivo eternamente insoddisfatta. Non cambia lui che nasconde dentro di sé un mostro. Nessuno cambia mai. Quando lo capiremo?»
“Il filo che ci lega”: anche qui, al di là dell’amicizia tra le due donne, del loro passato e della parte diciamo storica incentrata sulla storia italiana degli anni di piombo, mi piace ricordare un pensiero di Clara all’uscita da Teatro alla Scala in compagnia di Marina e di Aldo.
«All’uscita dal Santuario mi sono girata un’ultima volta per ammirare ancora la sala.
Se chiudo gli occhi rivedo ogni cosa. Ma è meglio di no perché sto guidando sulla via del ritorno. Marina è accanto a me con gli occhi chiusi, si è sfilata le scarpe e ha appoggiato i piedi sulla borsa a terra davanti al sedile. Aldo è seduto dietro, si è allentato il papillon e sta russando sommessamente. Che due magnifici compagni d’avventura! Avrei voglia di guidare fino alla villa alle porte della città, quella con il parco enorme, dove vivono loro e occasionalmente mi ospitano, parcheggiare nel vialetto d’ingresso ed accompagnarli in casa, fino alla loro camera prima di ritirarmi in quella riservata a me.
Non importa che io non sappia neanche di quale città si tratta, lo farei con tutto il cuore, dovessi guidare fino alla fine dei miei giorni, per trattenere qui all’interno di quest’auto, quest’amicizia intatta, questo momento perfetto.
Ma non lo posso fare. La realtà bussa alla mia porta sotto forma di semaforo. Rosso. L’unico acceso in questa notte stellata. Mi fermo, e li guardo un’ultima volta prima di svegliarli. Siamo quasi arrivati.»
“Baci, Giulia.”: oltre ai sentimenti di Giulia, oltre alla tragica storia dei levrieri spagnoli, il discorso di Milan, il vecchio sarajevita che ospita Giulia, è la parte che mi è più cara.Un discorso profondo e coinvolgente dal quale emerge l’orgoglio di un vecchio che si sente ormai vinto.
«No Ana, non voglio più tacere. Ho passato la mia vita a cercare di insegnare ai ragazzi l’orgoglio di appartenere a questa magnifica città, esempio di pacifica convivenza tra razze e religioni diverse. Questa città che ora mi si accartoccia fra le mani. Cos’altro potrei fare se non prenderne atto, fumare fino a stordirmi e dormire più di quanto abbia mai fatto in tutta la vita? Ho fallito. Non hanno capito. Ho perso la mia partita, ha vinto l’odio. Persino mio figlio pensa che io sia ormai un vecchio rimbambito, pensa che io non sia in grado di badare al suo piccolo, non si fida di me. Non ho nulla contro di te, giovane Giulia, tu sei solo il mio pretesto, non cerco le tue lacrime, vorrei solo aprire i vostri occhi.»
Da dove vengono le tue storie?
In tutte le mie storie c’è qualcosa di me o della mia famiglia. Parto sempre da un’idea di base che poi si sviluppa, a volte anche in modo inaspettato. Una volta delineati, i personaggi cominciano a vivere di vita propria e succede ad esempio che una ragazza come Niki, nata per diventare una killer, finisca per tirarsi indietro prima di oltrepassare il confine. È stata una scelta sua alla quale io ho dovuto adeguare la storia. Non so fino a che punto potrei raccontare un personaggio tanto distante da me o comunque per me indecifrabile. Quindi non sono riuscita a creare la storia cruda e dura che volevo in un primo tempo probabilmente perché non è nelle mie corde. Mi piace molto invece indagare i sentimenti e gli stati d’animo dei miei personaggi, mi identifico in loro per avvicinarmi al lettore. Mi piacerebbe riuscire a suscitare qualche emozione e regalare una vita un po’ più lunga ai miei personaggi nel ricordo dei lettori.
Giuliana Bagnasco a propostito di “Baci, Giulia”:
Una vicenda raccontata con sguardo partecipe e commosso, senza cadute nella trappola dell’elegia: una bella figura di donna, un percorso drammatico, l’incursione nei sentimenti più profondi. Una scrittura che coniuga la storia al presente con ritorni al passato, una prosa misurata ed incisiva. Spira tra le pagine un’aria di ineluttabile passione del personaggio femminile con qualche annotazione graffiante verso Matias, il fotografo, che durante la guerra a Sarajevo per la febbre da scoop porta via ai cadaveri la dignità. Il foro nella testa di un corpo o i capelli sporchi di sangue testimoniano l’efferatezza di un conflitto e la morbosità del reporter. Dai fotogrammi di Sarajevo, città cosmopolita fino al 1992, quando i serbi e i bosniaci, i musulmani vivevano pacificamente, si passa al campo di guerra con famiglie distrutte, amici separati. Un universo intimo e familiare da un lato, dall’altro lo sguardo si estende recuperando spezzoni di Storia.
Su Margutte: Il filo che ci lega