E anche per quest’anno
E anche per quest’anno ragazze ci han fregato
con tutte le sue chiacchiere in risaia ci han mandato
e noi povere donne ci tocca lavorar
a mantenere i ricchi in paese a spasseggiar.
Ci sono dei padroni che non sono mai contenti
comandano bestemmiano con la bava fra i denti
dicendo: “queste donne lavor non lo san far
dovrebbero far presto come il treno a camminar”.
Se si parla del trapianto l’è una roba da spavento
voglion le file dritte anche se siamo in duecento
se c’è una povera donna che la si sente mal
van col rallentamento per portarla all’ospedal.
C’è poi un’altra cosa da fare ben presente
con pane riso e vitto non si capisce niente
e riso e sempre riso con acqua in quantità
e Scelba è al governo coi signori a comandar.
E tutto quel sudore che noi quaggiù versiamo
saranno poi le lacrime dei figli che abbiamo
e grideranno “mamma vogliamo da mangiar”
allora lotteremo per il lavoro e libertà.
Alla Thyssen
Sei dicembre di notte a Torino
brucia la Thyssen lavoro assassino
condannati son sette operai
una vergogna da non scordare mai
Da molte ore pestava la pressa
ma a fine mese si deve arrivare
straordinario giogo infernale
ribolle l’olio è scintilla fatale
La linea cinque dell’acciaieria
era sbarrata impossibile uscire
alte le grida dell’agonia
sorda la fiamma ci porta via
Restano i figli le madri le mogli
bocche serrate da orrendo dolore
mano tremante in mezzo alla via
il caporale lasciò che sia
Poi si è trovata una lettera infame
quegli operai fan sol delle trame
son morti tutti per lor distrazione
e adesso vanno alla televisione
Gruppo Thyssen è rendita certa
la sicurezza si può risparmiare
il profitto val bene una messa
sì quella funebre di noi operai
Miniera catena officina
lugubri uffici, ponteggi sospesi
stanchi logori morti ed offesi
questa barbarie s’ha da fermar
Tre morti al giorno ci fate soffrire
le morti bianche son pura invenzione
responsabile è solo il padrone
e questo invero abbiam da gridar (2 v.)
Dalle belle città
Dalle belle città date al nemico
fuggimmo un dì su per l’aride montagne,
cercando libertà tra rupe e rupe,
contro la schiavitù del suol tradito.
Lasciammo case, scuole ed officine,
mutammo in caserme le vecchie cascine,
armammo le mani di bombe e mitraglia,
temprammo i muscoli ed i cuori in battaglia.
Siamo i ribelli della montagna,
viviam di stenti e di patimenti,
ma quella fede che ci accompagna
sarà la legge dell’avvenir.
Ma quella fede che ci accompagna
sarà la legge dell’avvenir.
Di giustizia è la nostra disciplina,
libertà è l’idea che ci avvicina,
rosso sangue è il color della bandiera,
dell’Italia noi siam la forte schiera.
Sulle strade dal nemico assediate
lasciammo talvolta le carni straziate.
provammo l’ardor per la grande riscossa,
sentimmo l’amor per la patria nostra.
Dai monti di Sarzana
Momenti di dolore
Giornate di passione
Ti scrivo cara mamma
Domani c’è l’azione
E la brigata nera
Noi la farem morir.
Dai Monti di Sarzana
Un dì discenderemo
All’erta partigiani
Del battaglion Lucetti
Il battaglion Lucetti
Son libertari e nulla più
Coraggio sempre avanti
La morte e nulla più (2v)
Bombardano i cannoni
Dai monti sarzanelli
All’erta partigiani
Del battaglion Lucetti
Più forte sarà il grido
Che salirà lassù
Fedeli a Pietro Gori
Noi scenderemo giù (2v)
Inno del sangue (Bava Beccaris)
Alle grida strazianti e dolenti
Di una folla che pan domandava
Il feroce monarchico Bava
Gli affamati col piombo sfamò
Furon mille i caduti innocenti
Sotto il fuoco degli armati Caini
E al furor dei soldati assassini
“Morte ai vili” la plebe gridò
Deh non rider, sabauda marmaglia
Se il fucile ha domato i ribelli
Se i fratelli hanno ucciso i fratelli
Sul tuo capo quel sangue cadrà
La panciuta caterva dei ladri
Dopo avervi ogni bene usurpato
La lor sete ha di sangue saziato
In quel giorno nefasto e feral
Su piangete mestissime madri
Quando scura discende la sera
Per i figli gettati in galera
Per gli uccisi dal piombo fatal
Giulia di Fornovo
Alla riva alla riva di lu mare
ce sta ‘na donna ca fermò lu sole,
fermò lu sole,
ce sta ‘na donna ca fermò lu sole.
E ‘l nome suo è Giulia di Fornovo,
janca janca come l’ovo novo.
A mane j’era na statua de sale,
A sera cede quante fiate vole.
S’affaccia la patrona di la finèstra:
«Non ammazzà la cerva ca è mia».
«Non so’ bbenutu p’ammazzà la cerva
ma so’ bbenutu ca pretennu a tia».
«So’ bbenuti tanti principi e barune,
marcanti e ricchi co l’oro a le mani».
«Mo’ so’ bbenutu io, so’ nu franciullinu
ca ti rintuttu co lo mio parlare».
«Ma a lo paese mio se fila l’oro,
l’acqua e se vende lo pane de grano».
Lu primo jocu ca s’è misso a fare
la donna stramortìu, perse colore.
Così ha finito Giulia di Fornovo,
ch’a la riva di ‘u mare fermò ‘u sole.
Quando avete iniziato la vostra attività corale e con quali motivazioni personali e sociali?
La storia delle Voci di mezzo inizia negli anni ’90 a Milano, grazie ad Angelo Pugolotti, il nostro maestro che se ne è andato nel marzo 2015.
La data precisa della nascita del gruppo è incerta, ma certa è la motivazione: una passione e una conoscenza estesissima del canto popolare e l’idea che questo sia un modo di trasmettere la storia dal basso, quella poco conosciuta, i cui protagonisti sono molto spesso i vinti.
È il messaggio che Angelo ci ha passato e che cerchiamo di portare avanti. È anche per questo che negli anni abbiamo deciso di fare due cose: trasformarci da semplice gruppo di canto in associazione culturale e smettere di cantare solo sui palchi.
È ormai una tradizione, il 25 aprile, trovarsi lungo il percorso del corteo milanese e dare vita a una enorme cantata collettiva, insieme a tutti quelli che vogliono unirsi. La cantata collettiva, che coinvolga chi ascolta e lo invogli a cantare insieme a noi, è uno dei modi che abbiamo per trasmettere la nostra passione e le nostre conoscenze.
Grazie all’associazione culturale promuoviamo anche corsi e laboratori di canto popolare aperti a tutti e stiamo mettendo in piedi un archivio sul canto e la tradizione popolare, anche grazie a tutto il materiale che il nostro maestro ci ha lasciato. Abbiamo anche dato vita a un coro di quartiere in zona Bovisa.
Come avete scelto i canti da proporre nel vostro repertorio?
Il nostro repertorio spazia molto. Ci guidano da una parte il gusto e il piacere di cantare e dall’altra la storia che si cela dietro ogni singolo canto. Il nucleo centrale è costituito dei canti popolari, sociali e di lotta che Angelo Pugolotti ci ha insegnato. Ci sono canti di lavoro, di riscossa sociale, canti d’amore, canti paraliturgici e ballate narrative. Poi, seguendo le passioni personali, le esperienze e gli scambi con altri cori e gruppi non solo italiani, abbiamo allargato il repertorio a canti di altra provenienza, sempre attinti dalla tradizione di trasmissione orale.
Quali iniziative pubbliche o private privilegiate per i vostri spettacoli?
Nella nostra dichiarazione di intenti abbiamo un grande, tassativo no: non cantiamo a iniziative elettorali. Per il resto scegliamo collettivamente dove andare. Abbiamo per esempio evitato accuratamente qualsiasi appuntamento o manifestazione legati ad Expo.
Ci piace cantare nei cortei e nelle manifestazioni, cantare nelle scuole per passare ai ragazzi la nostra passione, cantare per l’Anpi. Ma abbiamo cantato nelle situazioni più svariate, dalle feste degli artisti di strada, alle presentazioni di libri, dalle aule comunali ai monti bretoni, dal rifugio antiaereo di viale Bodio all’auditorium dell’università Bicocca.