Land Art al Belvedere

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LORENZO BARBERIS
Il Settembre monregalese ha visto il bell’evento d’arte organizzato da “Arte Al Belvedere”, che in collaborazione con gli Amici di Mondovì Piazza e la Città di Mondovì ha organizzato una serie di eventi mensili dedicati all’arte.
Questa volta è stato il caso, per Mondovì sicuramente innovativo, dedicato alla Land Art, corrente artistica nata verso il 1967 in corrispondenza al sorgere di una maggiore consapevolezza ecologica.
Annette Rischer-Spalink , Marco Roascio, Serena Volpe, Roberta Astegiano, Guido Gulino, Fabrizio Melis, Marilisa Parodi, Francesco Segreti, Denis Fazio, Patrizia Barnato, Fabiano Speziari, Persea, Gioele Perano e Pierangela Fierro; questi i quindici artisti che hanno interagito con le loro creazioni con lo spazio naturale del Giardino del Belvedere, con risultati decisamente affascinanti.

La Land Art si caratterizza per installazioni rispettose dell’ambiente naturale, e quindi effimere ed affidate a una documentazione fotografica. Si parla, con un bel gioco di parole, di Earth Works (variatio sul tradizionale Artworks, che suona simile).

Nella mostra monregalese, in molti casi troviamo il gioco di un certo gigantismo di elementi naturali che colpiscono lo spettatore riproponendogli comuni elementi naturali magnificati nelle dimensioni. Il caso, ad esempio, dell’Uvazilla di Fabiano Speziari, che vediamo sopra, che crea anche un corretto rimando alla dimensione autunnale.

Il caso, anche, del rastrello gigante di Denis Fazio, dedicato nel titolo allo “zappatore”, quasi con una reminiscenza del sabato del villaggio leopardiano.

E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.

L’opera, però, si ricollega anche a una serie (prevalente) di lavori che operano su materiale ligneo, creando una sorta di dialogo, se vogliamo, con la struttura stessa del giardino del Belvedere: il legno degli alberi, il legno dell’arte.

Roberta Astegiano, oltre ai suoi consueti lavori su legno, porta anche queste installazioni costituite da tronchi d’albero colorati in tinte vivacissime e quasi fluo, che dialogano paradossalmente con il colonnato arboreo del giardino stesso.

L’intervento di Francesco Segreti, organizzatore e ideatore della mostra e di tutto il ciclo di eventi di Arte In Belvedere, utilizza l’elemento ligneo e una connessione ancor più stretta agli alberi del giardino, propria anche di molti altri artisti. Qui l’artista utilizza una delle sue sculture per costruire una specie di testa+proboscide (con tanto di occhio) ad un albero, quasi tramutandolo in una sorta di Elefante-Ent (Ent-lefante?) alla Tolkien.

In particolare, nell’ampio insieme degli autori che hanno intersecato i loro lavori al piano ligneo, emerge un significativo sotto-insieme che hanno generato strutture appese agli alberi, mettendo in gioco un elemento di Terra (il Legno) e un elemento di aria (il Vento).

A questo ambito appartiene ad esempio la struttura di bambù costruita da Persea e Gioele Perano, “L’albero della vita”, da cui penzolano percorsi possibili esistenziali in ceramica sovente chiusi dalla croce Ankh, simbolo egizio stesso della Vita.

Le “Insidie” di Patrizia Barnato creano invece una ragnatela ciclopica sospesa tra due piante, confermando anche un certo gusto del gigantismo proprio della Land Art.

L’idea di una struttura “pendente” affascina molti artisti, ognuno dei quali la realizza in un modo differente e peculiare. Marilisa Parodi ad esempio, con “Dentro”, appende a un albero un intricato bozzolo che si fa quasi simbolo del problema dell’”aprirsi” (dell’arte, dell’artista, dell’uomo) alla comunicazione.

Anche le opere di Fabrizio Melis riflettono sull’elemento ligneo, sia tramite sculture-readymade dove il legno è impreziosito da pietre colorate (molto bello in particolare il serpente); sia tramite una struttura (di legno, e appesa al legno di un albero) su cui i passanti possono “scrivere un pensiero ed affidarlo al vento”.
 
Altre opere sfruttano invece la struttura muraria della Torre del Belvedere, che sta al centro del giardino come un colossale menhir muratorio (gli alberi che la circondano, dunque, formerebbero una sorta di cromlech naturale, il cerchio sacro delle strutture celtiche del tipo di Stonehenge). Guido Gulino vi appone la sua Lucertola Muraiola, ad esempio (che però appoggia anche su una struttura di tronchetti troncati).
Appese alla torre, dal lato opposto, le Maschere di Serena Volpe, celebrazione di antiche forze matriarcali quali possibili fate, streghe, masche (masche/re appunto); la loro disposizione sul muro ricorda il tema – molto diffuso a Mondovì Piazza, dei “bafometti”, volti inquietanti, mascheroni (appunto) posti a sigillo dei portali delle case signorili del borgo.

Per concludere, notevole infine l’installazione di Annette Rischer-Spalink, che crea un tessuto di passi blu elettrico sul prato che circonda il piccolo cippo dei caduti della Resistenza. I passi blu dell’autrice sono, originariamente, una riflessione sulle migrazioni, ma come ogni opera d’arte (in particolare l’installazione della land art, associata a una naturale fluidità nel suo rigenerarsi effimero ogni volta) è passibile di più letture e significati.

Un incontro dunque particolarmente interessante tra quelli organizzati da Arte al Belvedere, che mi pare abbia riscosso anche un maggiore successo di pubblico, grazie anche alla continuità dell’iniziativa che ci ha portato a un appuntamento mensile ricorrente con l’arte, in grado di offrire però ogni mese spunti di riflessione e di interesse diversi, stimolando così la curiosità del visitatore e il suo piacere nel ritornare (che verrebbe spento dalla pura riproposizione dell’identico).

L’installazione poi si presta molto bene sia a colpire l’osservatore (non in senso vacuo e spettacolare, però, ma portandolo anche inconsciamente a riflettere su cosa l’arte – e altro – effettivamente sia) sia ad amalgamarsi con lo spazio del Giardino del Belvedere.

A questo proposito, sarebbe interessante una call tematica di Land Art connessa al Tempo, dato che il Giardino è il fulcro – con la Torre dotata di orologio visitabile, e le numerose meridiane storiche ivi ricostruite: anch’esse installazioni, a loro modo – di un Parco del Tempo che poi sussiste, in modo diffuso, su tutta la città alta (e anche in Mondovì Breo) tramite la texture di meridiane di cui è dotata Mondovì (eccezionali quelle gesuite sul Collegio Gesuita, l’ormai ex tribunale di Mondovì).

Ma in ogni caso, sono convinto che Francesco Segreti abbia già in mente altri incontri d’arte, altri eventi che solo il tempo – appunto – potrà svelarci.