GABRIELLA MONGARDI.
Una crociera fluviale è davvero un viaggio vicino e lontano.
Vicino perché si svolge a pochi chilometri da casa e tocca città – Cremona, Mantova, Chioggia e Venezia – tutte facilmente raggiungibili da Mondovì in poche ore di autostrada; lontano perché la via d’acqua offre un punto di vista decisamente insolito, rallenta e dilata il tempo, rendendo tutto diverso e nuovo.
Il Po, che dalla sua sorgente ai piedi del Monviso fino a Moncalieri ha la vitalità irrequieta di un torrente alpino, da Torino in poi cambia pelle e a Pavia, dopo la confluenza con il Ticino, diventa un fiume liscio e maestoso come il Nilo, diverso in questo da tutti gli altri grandi fiumi europei. Navigare un fiume riporta immediatamente a Eraclito e al suo ammonimento: “Tutto scorre, nello stesso fiume ci bagniamo e non ci bagniamo”: ma anche a Hesse, al suo Siddharta e alla saggezza del traghettatore Vasudeva, persuaso dell’impermanenza del Tutto: «Quest’acqua correva e correva, correva sempre, eppure era sempre lì, era sempre e in ogni tempo la stessa, eppure in ogni momento nuova!». Che maestro, il Po…
La crociera, che parte da Cremona, mette i navigatori in contatto con diversi ambienti acquatici: quello del Po, che si discende da Cremona fino a Casalmaggiore; quello del Mincio, che si risale dal suo sbocco nel Po presso Sacchetta di Sustinente fino a Mantova e ai suoi laghi fioriti di ninfee e loto; il Canale di Valle, l’idrovia artificiale che collega l’Adige al Brenta e alla Laguna Veneta (da Cavanella d’Adige a Chioggia), e infine la Laguna stessa, da Chioggia a Venezia, la città favolosa, irreale, che “agli sguardi riverenti dei navigatori che si avvicinano presenta quell’abbagliante composizione di edifici fantastici”, per dirla con Thomas Mann.
La navigazione fluviale è anche un viaggio nel tempo, perché lungo quei fiumi gli insediamenti umani risalgono alla notte dei tempi, i popoli si sono succeduti ai popoli (in disordinato elenco: Veneti, Fenici, Etruschi, Celti, Romani, Longobardi, Italiani…) e i fiumi sono rimasti, e gli abitanti delle loro rive hanno dovuto affrontare sempre gli stessi problemi: le piene, le esondazioni, le secche, la navigazione, i ponti… La tecnica oggi ci dà strumenti ben più potenti che in passato, per risolverli: l’uomo può fare argini e conche, piazzare idrovore, porte vinciane o chissà quale altro marchingegno, dragare il letto del fiume dalla sabbia o scavalcarlo con ponti sempre più larghi e più lunghi – ma rimane un essere in balia della Natura, l’ultima parola spetta sempre al Fiume, e alle Maree.
Le maree e il loro moto alterno regolato dalla luna coinvolgono in particolare quell’ambiente unico di acqua salmastra che è l’immensa Laguna Veneta, dove gli uomini hanno l’illusione di camminare sulle acque, ma le imbarcazioni devono muoversi rigorosamente all’interno delle vie segnate dalle ‘bricole’, per non incagliarsi. La Laguna è separata dal mare Adriatico da due lunghissime isole-cordone, Pellestrina e Lido, e comunica con il mare attraverso tre varchi, le cosiddette “bocche di porto” del Lido, di Malamocco e di Chioggia. Su di essa galleggiano circa 200 isole – di cui 124 compongono Venezia – e vivono circa 110.000 abitanti.
Arrivare a Venezia dalla Laguna significa trovarsi immersi in un campo di forze in tensione, entrare in contatto con la natura segreta della città a nessun’altra uguale – lei sì “Venere anadiomene”: significa toccarne con mano, stupiti e increduli, la natura doppia, anfibia, e il rapporto insieme intricato e limpido delle sue due anime, la terrestre e l’acquatica – in perenne conflitto fra di loro, eppure indissolubilmente legate dalla ricerca di quel miracoloso punto di equilibrio tra gli opposti in cui nasce la Bellezza.