GABRIELLA MONGARDI.
Se il titolo ideale deve formulare la domanda a cui il testo dà la risposta, il titolo e i sottotitoli di questo piccolo capolavoro di Nicola Duberti sono perfetti. Quali sono infatti Le stagioni delle cose? La stagione del ballo, La stagione delle bambole, La stagione del vino, La stagione della scienza, La stagione del viaggio, La stagione dei bilanci. I titoli delle sei sezioni del libro sono contemporaneamente risposta e domanda: in quanto domanda riceveranno risposta dalle poesie, a loro volta dotate di un titolo, che ne è parte integrante e ne orienta la lettura, come gli accidenti in chiave sul pentagramma indicano la tonalità di un brano musicale. E in senso musicale si può intendere la dicitura in esergo su “tempo e tempi”… Le poesie non vanno quindi lette ciascuna-per-sé, ma come tessere di un mosaico – o cellule di un tessuto - che solo nel disegno d’insieme acquisiscono il loro vero significato, la loro funzione ultima.
Ma questa compattezza strutturale quasi didascalica non deve spaventare: il libro è piuttosto una scatola cinese, che dischiude sempre nuove sorprese ad ogni livello di lettura, proprio per le variegate tonalità che lo innervano, oniriche e surreali, giocose e drammatiche, ironiche e amare, argute e dolenti, attraverso cui filtra uno sguardo disincantato e spiazzante sulle cose. E sulle parole.
Le stagioni delle cose si potrebbe altrettanto legittimamente intitolare “Le stagioni delle parole”, dato che al mutare delle cose mutano le parole, in un vorticoso trascolorare di lingue e di registri, dal colloquiale (Non rompetemi) al letterario al fiabesco, dal dialetto alla scienza al calembour più esilarante, ma mai gratuito (Serata su-Dante; voci argentine; Il mito della razza…).
Basti come esempio di questo poetare, così profondamente originale, l’ Invocazione alle Muse posta in limine alla raccolta. Le muse del poeta moderno sono le nuvole, montaliane figure di Indifferenza perché totalmente ignare del male e della morte. Il testo, nelle sue quattro quartine di versi liberi (endecasillabi, settenari, quinari con qualche rima), si apre con una concatenazione di potenti metafore ‘pastorali’ in chiaroscuro e si rastrema progressivamente ad un linguaggio solo denotativo, per chiudersi con la dolente rima piovete/sapete a incorniciare lo sconsolato endecasillabo “a minore” cosa succede qui dove si muore e a sottolineare l’antitesi irriducibile tra le nuvole e l’uomo.
Ecco, queste poesie sembrano scritte appunto per spiegare alle nuvole quello che non sanno, “cosa succede qui dove si muore”… Succede che un bambino cadendo si sbucci le ginocchia, che faccia agli adulti domande imbarazzanti e in ospedale incontri strani personaggi; che un ragazzo incespichi nel gioco dell’amore e si rifugi tra le braccia della nebbia; che un uomo muoia mentre pianta l’aglio, un altro si ubriachi, altri ballino il tango, altri partano per un’isola magica…
Succede che un poeta-alchimista come Duberti prenda la nostra lingua di tutti i giorni, l’italiano, la mescoli con altre solo a lui notte, ne ricombini le parole con straordinaria perizia metrica, secondo formule misteriose di cui le rime sono l’epifania e ce la renda arricchita di un sapere nuovo e di un nuovo sapore.
Un libro come questo riconcilia con la poesia, la fa uscire dalla torre d’avorio, dal ghetto in cui si è (auto?)segregata, senza però snaturarla. Perché custodisce al suo interno una luminosa “lezione di tenebre” che tocca al lettore scoprire. Sfogliando queste pagine, per decidere qual è la sua poesia preferita. Non sarà una scelta facile.
Il libro sarà presentato sabato 29 alle ore 18 a Mondovì Breo, presso la libreria Confabula
(da La stagione delle cose si può leggere su Margutte Tredici modi di vedere la nebbia)