In occasione dell’apertura della mostra “La Rocca dei Guerrieri” a Rocca de’ Baldi (CN) Margutte ripropone l’articolo/intervista alla ceramista Persea pubblicata nel 2013.
ATTILIO IANNIELLO
Sono nata ad Imperia dove mio padre, originario di Pianfei, si era trasferito agli inizi degli anni Sessanta per motivi di lavoro. Lì, in quel bell’angolo della riviera ligure di Ponente, conobbe quella che sarebbe diventata mia madre, si sposarono ed arrivai io – racconta Tiziana Perano –. A 12 anni fui vittima di un grave incidente che mi costrinse a vivere diversi mesi in ospedale ed in seguito ad una lunga convalescenza. I miei genitori, in quell’occasione, fecero di tutto per creare in me degli interessi che mi facessero superare lo shock dell’evento.
Nel corso del tempo tra i vari interessi dell’adolescente Tiziana uno in particolare si faceva spazio nella sua mente e nel suo cuore: la ceramica. A 14 anni, infatti, iniziava a frequentare il laboratorio del ceramista Gianni Senardi, a sua volta allievo di Jean Santilli (in arte Messer Nicolò), uno degli artisti di Bussana Vecchia[2].
Quando Gianni Senardi si ritirava dall’attività, lasciava il proprio laboratorio a Tiziana Perano, la quale decideva di tornare in Piemonte, nella terra paterna:
Una mia prozia ci aveva lasciato un cascinale in località Pratoferrero sul confine tra i comuni di Pianfei e Villanova Mondovì – ci dice Persea –. Decisi di trasferirmi in quel luogo e nel novembre del 1991 traslocai il laboratorio che mi aveva lasciato Senardi a Protoferrero. Ci vollero alcuni mesi di intenso lavoro per organizzare il mio nuovo studio, ma alla fine ripresi la produzione di ceramiche, e già nel febbraio del 1992 iniziavo a frequentare i diversi mercatini artistici per proporre le mie creazioni. Durante uno di questi mercatini si avvicinò al mio banco Roberto Masante dell’associazione “Amici di Piazza” che mi invitò a partecipare alla Mostra dell’Artigianato. Nell’estate del 1992 quindi partecipai per la prima volta a questa importante iniziativa e da allora tutti gli anni ho esposto le mie opere alla Mostra. Sono contenta di partecipare a questo evento perché amo Piazza, amo questo luogo carico di fascino dovuto alla sua storia, a questi suoi palazzi e chiese con suggestioni sia medioevali che barocche. A Piazza ho avuto anche per quattro anni, una bottega. Era situata in via Vico, di fronte al palazzo dove è situata la vecchia sinagoga monregalese.
Inizialmente Persea produceva ceramica tradizionale con una preferenza per la tecnica Raku[3]. Ben presto però, seguendo il suo desiderio di conoscenza, di ricerca di spiritualità, e seguendo il suo duplice amore per l’arte preistorica e per la natura, l’artista incominciava ad elaborare manufatti dalle forti connotazioni simboliche.
Tra le prime realizzazioni del nuovo percorso artistico ci furono le maschere. Come spesso accade nella vita di tanti, l’idea di confrontarsi con la “maschera” nasceva anche dalla lettura di un libro di fantascienza («sono sempre stata una lettrice di fantascienza, ero una appassionata della collana “Urania”» dice Tiziana Perano), “Una maschera per il generale”, scritto da Lisa Goldstein. Il libro narra la storia di una società schiacciata dalla dittatura di un generale. Nel clima di uniformità e di conformismo creato dalla dittatura però si formano gruppi di resistenza che indossano maschere con effigi di animali che diventano simboli dei diversi gruppi e delle idee di libertà che essi proclamano.
Al di là della lettura del libro della Goldstein, Persea ripercorre tutta la multiforme simbologia della maschera. L’uomo fin dalla preistoria ha dato alla maschera il ruolo di rappresentare ciò che l’uomo stesso vorrebbe essere, o di diventare la porta verso il mondo del divino, il mondo degli spiriti della natura.
Nel laboratorio di Pratoferrero l’evoluzione successiva portava Persea a scoprire la simbologia degli animali. Iniziava la costruzione di un bestiario fantastico dove suggestioni sciamaniche e totemiche sia della cultura degli Indiani d’America sia della cultura orientale, si accompagnavano alla ricerca esistenziale di senso dell’artista.
Poco per volta sono nati nel mio laboratorio raffigurazioni di animali. ognuno di questi portava con sé valori simbolici spesso non univoci ma addirittura alternativi – spiega Persea –. Bene e male a volte sono rappresentati da un unico animale, sta all’osservatore coglierne la valenza positiva o negativa. È l’uomo che deve fare suo il simbolo sapendo comunque che c’è sempre un lato oscuro in se stessi con cui dobbiamo fare i conti per superarlo. Spesso ha ripetuto nelle mie opere la figura dell’elefante perché questo grande animale, simbolo persino di divinità indiane, ha istintivamente degli atteggiamenti che lo avvicinano alla nostra sensibilità umana: mi riferisco al loro andare a morire in un unico posto ed al fatto che passando accanto ad ossa di un membro della sua specie, le accarezza con la proboscide come se rendesse omaggio al defunto, come se avesse una specie di “culto dei morti”.
La ricerca simbolica portava nel corso del tempo Persea ad incontrare ed approfondire forme divinatorie, quali per esempio i Tarocchi[4], intese soprattutto come “sussidi” di ricerca interiore, “ausili” di conoscenza di sé.
Seguendo questo erto sentiero l’artista incontrava la cultura celtica e le Rune, ventiquattro segni incisi che rappresentano tutte le possibili vicende umane esistenziali e spirituali; segni inoltre, che la tradizione celtica voleva fossero doni degli dei.[5]
Secondo alcune fonti il termine “runa” significa “sussurro”, una realtà quindi che non si impone in modo turbolento come un vento impetuoso; al contrario il “segreto” delle Rune si manifesta come brezza che accompagna la crescita degli individui, che ne favorisce lo sviluppo sia fisico che psichico, spirituale e, di conseguenza sociale.
Il tema caro ai Celti della dignità e libertà individuale, che arricchiva però la coesione sociale (tribale), veniva recepito in modo radicale da Persea che declinava tutte le conoscenze acquisite attraverso le sue peregrinazioni nei territori sapienziali celtici nella realizzazione dei “guerrieri”:
Ho scoperto la cultura celtica solo recentemente, attraverso lo studio delle Rune – afferma Persea –. Mi ha colpito in modo particolare che l’ultima delle ventiquattro Rune ha l’alba come significato. Questo dà il senso di nuovo inizio, di una nuova possibilità, del compito di ognuno di noi di cercare ancora, di andare oltre qualsiasi confine. Il frutto di questa conoscenza del mondo celtico è stato la realizzazione del “guerriero”. Dopo il primo guerriero gli altri sono nati così quasi da soli uno dopo l’altro.
Il lavoro sui “guerrieri” nasce effettivamente nel 2013 ed in poco tempo produce una cinquantina di pezzi caratterizzati da una «raffinatezza elevata»[6].
La dottoressa Eloisa Boasso in un articolo, dal titolo “Il coraggio del cambiamento”, che accompagna la brochure di presentazione della mostra dei “Guerrieri” di Persea, tra l’altro scrive:
Sono i guerrieri dei nostri giorni, i piccoli eroi quotidiani che non amano la guerra e non la cercano ma, di fronte ad una prevaricazione, decidono di difendersi. Sono gli uomini e le donne che scelgono di potercela fare, di essere forti, di crederci e di provarci nonostante tutto, che lottano e non si lasciano appiattire dall’indifferenza, dal retaggio culturale, dalle scelte di comodo. Guerrieri che non fanno la guerra, che amano la vita e la difendono, che sanno dire: “Non sono d’accordo”, che non rinunciano alla libera scelta nel rispetto della propria personalità e di quella altrui.
Un messaggio di grande forza e di equilibrio personale. Non a caso, i guerrieri, sono costantemente ornati e protetti dal sigillo di Salomone, rappresentato da due triangoli (il collegamento al cielo e quello alla terra) con al centro il punto di perfezione. Molti simboli preistorici, come le Rune celtiche, accompagnano i guerrieri, sottolineandone il carattere pagano e profondamente legato alla terra.
L’aspetto longilineo, dalle proporzioni quasi da icone bizantine, rende i guerrieri di Persea come pontefici, costruttori di ponti tra la terra dove sono profondamente radicati e il cielo verso cui tendono. Ma il cielo non si può conquistare se non con il coraggio che solo l’amore può infondere ed ecco allora che nella collezione di Persea si trovano, per usare le parole della dottoressa Eloisa Boasso:
Guerrieri innamorati, coppie attorcigliate, senza volto eppure così espressive e comunicanti tra di loro. Coppie che si guardano senza occhi, con il corpo. Come il guerriero e la sirena. Troviamo qui l’uomo innamorato: un uomo coraggioso perché ama, perché difende il suo amore, perché sa mettersi in gioco, e a volte anche cedere, andando contro i pregiudizi.
Tra i “guerrieri” emergono anche nell’esposizione spade ed elmi lasciati lì in bella mostra quasi in atteggiamento di attesa di qualcuno che voglia, che sappia, che desideri prenderli per iniziare la propria “buona battaglia” contro tutto ciò che nel loro cuore o al di fuori impedisce loro di essere se stessi. Elmi e spade simboliche quindi che non sono nate per ferire qualcuno ma per essere segno di coraggio, segno di lotta per il cambiamento, per la liberazione propria e altrui, per il raggiungimento di quella pace che è benessere individuale psichico e spirituale e, allo stesso tempo, benessere sociale. Del resto il simbolo della spada, associato a quello dei guerrieri, fa immediatamente venire in mente le saghe dei cavalieri alla ricerca del sacro Graal, la spada nella roccia che solo Artù riusciva ad estrarre o, nella nostra Toscana, la spada che il cavaliere Galgano, stanco di battaglie, piantò nella roccia per trasformarla da strumento di morte a simbolo di vita (ora il luogo si chiama San Galgano).
La spada che recide le illusioni di apparenti “benesseri” puramente quantitativi per cercare di avvicinarsi sempre più alla vera felicità diventa anche simbolo del lavoro di Persea, la quale nella sua quotidianità di quando in quando esce dal suo laboratorio per condividere con altri la sua passione artistica.
Persea infatti ha frequentato i corsi di primo e secondo livello del progetto “Giocare con l’Arte” di Bruno Munari presso il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. Il metodo munariano, dedicato in particolare modo ai bambini, ha lo scopo di avvicinare all’arte in modo ludico sviluppando la capacità di osservare con gli occhi, con le mani, con tutti i sensi la realtà, e stimolando la creatività. Il metodo si sviluppa secondo il principio didattico: “Non dire cosa fare ma come farlo”.[7]
Persea quindi elabora progetti formativi che propone a scuole, musei ed altri enti pubblici e privati affinché bambini, attraverso l’arte, attraverso la manipolazione dei vari materiali possano acquisire conoscenze generali ed approfondire, liberandola, la propria personalità, e possano diventare, per rimanere nel tema dell’ultima ricerca artistica perseiana, dei piccoli guerrieri di pace.
Le foto in questo articolo sono tratte dalla mostra di Rocca de’ Baldi, aperta tutte le domeniche di agosto dalle 14,30 alle 18,30.
Altri progetti di Persea sono stati: Il Piccolo Mondo, Oltre, I colori della vita nella poesia delle stagioni.
Per informazioni:
Nucleo Pratoferrero, 20
12089 Villanova Mondovì (CN)
Italia
E-mail: perseaceramiche@libero.it
Note
[1] Il nome Persea, scelto dall’artista per firmare le proprie opere, ha un’origine sentimentale. Nasce infatti dal ricordo di un gattino che le fu regalato quando aveva poco più di dodici anni e che si chiamava Persi.