BRUNA BONINO (a cura)
CIELO D’ESTATE
Dimmi che scruti anche tu
quest’orizzonte,
dove le lacrime dei sogni
e dei desideri
possono confluire.
Dimmi che senti anche tu
questo vento leggero
che mi accarezza il corpo
come faceva il tuo respiro.
Dimmi che vedi anche tu
questa notte iperbarica,
gran tesoriera del nulla,
scrigno maligno d’ogni segreto
dell’animo umano,
oscura consolatrice
di quei cuori in pena a cui,
nel profondo silenzio,
concede un perdono esiziale.
In me fragile pace,
nei tuoi occhi dolci
cielo d’estate.
*
COLPI DI GRAZIA
Così fluttuante e leggiadra
come fiore di campo
appari davanti al mio sguardo
che, insoavito, ti abbraccia.
Così eterea e infuocata
come raggio di Luna
palpiti dentro al mio desio
che, accaldato, ti punta.
“Che il fiore mi sfiori,
che il raggio m’irradi
nei miei radi giorni”
sussurra il mio sguardo-desio
mentre il cuore patisce
dei tuoi colpi di grazia.
*
SPUTO ALLA VITA
Sobillato da assurde congetture
sputo alla vita
languidamente,
ed allungando le labbra colgo
margherite;
mentre distinguo il volgo
dal borgo
e i militi
dai petali,
defeco versi
in lunghe dita nervose.
*
MARE
Giunto al picco dell’ignoto, solenne mi sovrasta
il conscio desiderio di tornare su strade inferiori,
giù dove l’immensità è limpida e si chiama mare.
Sabbia e alghe dan sapore del tutto entusiasta
e soavi e tempestosi sogni d’afrori
di genetliaca, salina brezza cui dolce è il sognare.
*
GUERRE DI RELIGIONE
Le parole sono lettere ma odiano:
esprimono il calore dentro noi
spesso edulcorato dalla mente.
Le parole sono simboli ma azzannano
come lupi lambenti sangue d’altre bestie,
e cinque denti sono anche un morso.
È perché c’è troppa amarezza:
il giusto non è sempre madido;
sebben sia ferro, già si spezza.
Caduceo caduco e candido
il derma del truce duce
che vi conduce
l’anima in luce,
concetti in nuce
appeso in croce:
dolore atroce
alla testa e alla foce.
*
LOST IN TRANSITION
Un oggetto perso
e mai più ritrovato
esiste o non esiste?
Ecco, in questo confine
ho posto la mia residenza.
Colpi di Grazia (Aletti editore), una nuova avventura poetica per lo scrittore siciliano che da un anno e mezzo vive ed insegna ad Alba. Dopo il successo della sua prima raccolta in versi, Invettive Apotropaiche (Temperino Rosso editore 2015), Bennardo torna sugli scaffali con questa nuova opera, frutto di una ricerca poetica maturata sotto le torri della città.
Parlaci del tema principale espresso nel tuo libro, Francesco.
È un grande romanzo in versi dedicato all’amore ma anche un percorso di formazione e di crescita, fra sofferenze, gioie e consapevolezze. Mi sono concentrato soprattutto sulle emozioni, indagate sia con semplicità e trasparenza, sia con il classico e sicuro armamentario retorico.
C’è spazio anche per Alba.
Alba come luogo d’adozione ritratta in tutta la sua evocatività, fra sfumature malinconiche e speranzosi scorci di natura: il paesaggio cittadino fa da sfondo al complesso teatro interiore, quasi ad abbracciarlo e a suggerirmi stati d’animo ed emozioni.
Cos’è per te la poesia?
Qui mi dilungherò un poco.
L’onniscienza non rientra tra le caratteristiche potenziali degli esseri umani: anche volendo restringere il campo alla “sola” verità pura, essa – come sosteneva Kierkegaard – appartiene esclusivamente a Dio (e la conclusione logica di questo ragionamento è la stessa sia che si creda sia che non si creda). Nel cuore di ognuno di noi si nasconde qualcosa che nessuno, nemmeno noi stessi, potrà mai interamente afferrare, scoprire e decifrare; la psicologia conferma questo ragionamento: in caso contrario, infatti, non esisterebbe il subconscio. Ciò non deve generare né sfiducia, né impotenza, né apatia, poiché ogni persona ha il diritto/dovere di esprimersi in una delle sue più grandi facoltà: l’andare alla ricerca della verità, cioè il tentare di trovare sempre nuove informazioni, possibilità, soluzioni.
Un aspetto peculiare della nostra condizione di umani è che la comprensione dei limiti della nostra conoscenza non ci impoverisce, ma anzi può arricchirci. Pascal affermava che noi comprendiamo più di quel che conosciamo (vari casi della vita quotidiana ce lo confermano; noi possiamo, ad esempio, provare empatia e immedesimazione verso qualcuno che sta poco bene di salute anche se non abbiamo nessuna cognizione della sua malattia) e io ritengo ciò uno dei connotati più belli ed entusiasmanti dell’umanità. Non si tratta di un paradosso, ma dell’esplicazione di un concetto fondamentale: non è l’accumulazione di conoscenze che genera la comprensione, poiché soventemente la comprensione precede la conoscenza.
Come andare alla ricerca della verità? Innanzitutto smettendo di ritenere i fatti eloquenti di per sé. Un fatto non è mai eloquente, per almeno due ragioni: in primis perché nessun fatto è separabile dalla sua formulazione, in secondo luogo perché lo stesso identico fatto viene giudicato in maniera diversa non solo in epoche e culture differenti ma anche nella stessa epoca e all’interno della stessa cultura (s’immagini un padre autoritario e violento che generi due figli, uno sottomesso e uno ribelle: stesso posto, stessa cultura d’appartenenza, stessa epoca, stessa causa scatenante, conseguenze completamente opposte). Il compito dell’essere umano, qualora volesse dimostrare di essere tale, più che definire è descrivere, ed è per questo che poeti, storici, romanzieri e giornalisti dovrebbero avere una marcia in più. Tutti, umanisti e non, devono comunque fare molta attenzione: la scelta di ciascuna parola da usare è una faccenda che riguarda non soltanto la grammatica e lo stile, ma anche la nostra morale.
Infatti la Storia degli esseri umani è anche, se non soprattutto, la Storia delle loro coscienze e, all’interno di essa, la Storia delle parole gioca un ruolo fondamentale, poiché spesso l’analisi delle modalità di definizione e/o di valutazione dei vari fatti sociali ci rende possibile comprendere il quadro generale di un’epoca più dei fatti storici – politici, militari, economici, ecc. – relativi a quella stessa epoca (e la Storia serve proprio a questo: a “comprendere”, non a “conoscere” o, peggio ancora, a “giudicare”). Quando mi viene chiesto di definire la Poesia, io rispondo che essa è un afflato mistico dell’intelletto, cioè un connubio sublime tra razionalità e irrazionalità: in virtù di questa definizione, essa è legata a triplo filo sia al mondo delle coscienze (autocoscienza, introspezione, intenzionalità) sia a quello delle parole (parola scritta, parola orale, parola grafica). Il poeta non è un “professionista” delle coscienze e delle parole ma, semmai, un “artista” delle une o delle altre.
Secondo George Orwell, non esistono uomini o argomentazioni che possano difendere una poesia giacché essa è o autodifendibile (e in tal caso si protegge da sola e quindi sopravvive) o indifendibile, e allora scompare. La sua sopravvivenza deriva quindi dalla cristallizzazione del proprio consenso nella tradizione civile e dalla risposta autentica al quesito sulla qualità; ma si tratta di un consenso e di una risposta che emergono sulla lunga durata, si formano dal pensiero storico delle generazioni e si confermano nell’esperienza esistenziale, come giustamente osserva John Lukacs. Difatti storicamente, soprattutto per quanto concerne le discipline non scientifiche, la verità riesce bene o male a sopravvivere grazie più allo sgretolamento della menzogna che non alla propria autonoma affermazione. Da qui sorge uno dei compiti del poeta contemporaneo: essere “artista” e non “donna/uomo di spettacolo”, superare e distruggere la logica della parola prêt-à-porter buona solo per l’immediato e mirare a cristallizzare la – propria – verità nel corso del tempo; insomma egli deve quindi puntare
Nota biografica
Attualmente professore di storia e filosofia nei licei albesi, Francesco Bennardo è nato ad Agrigento l’8 aprile 1987. Scrive poesie dall’età di 16 anni. Appassionato di storia, ha pubblicato il saggio La massoneria siciliana nel XIX secolo (Antipodes edizioni2016). Come già detto prima, Colpi di grazia è la sua seconda raccolta di poesia. Per usare le parole di Enrico M. Di Palma, autore della prefazione al libro: «l’amore ha i contorni del viaggio d’iniziazione, non solo per quanto riguarda il, ben delineato, percorso narrativo, ma anche per le influenze trasformative che esercita sul verso di Bennardo».
Le foto (escluso il ritratto) sono di Bruna Bonino.