La Cintura di Prato

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GIANCARLO BARONI.

Qual è la cosa più preziosa e sacra di Prato?

E’ una sottile striscia di lana di colore verde e filo d’oro custodita in un reliquiario di cristallo. Sta chiusa, come in un forziere e in uno scrigno, dentro l’altare della prima cappella a sinistra del Duomo. Si crede sia il Sacro Cingolo o Cintola che la Madonna, nel momento della sua Ascensione, donò all’apostolo Tommaso.

Filippo Lippi, a metà Quattrocento, dipinse (tempera su tavola al Museo di Palazzo Pretorio) la Vergine mentre affidava la cintura a un giovane san Tommaso inginocchiato.

Ma come arrivò a Prato, da Gerusalemme, questa straordinaria reliquia? Gli affreschi di fine Trecento di Agnolo Gaddi, nella cappella del Sacro Cingolo, e la predella dipinta circa cinquant’anni prima dall’allievo di Giotto Bernardo Daddi (ora nel Museo di Palazzo Pretorio),  lo illustrano. L’apostolo Tommaso consegnò la cintura ad un sacerdote di Gerusalemme; il sacerdote la lasciò ai suoi eredi finché la cintura arrivò nelle mani del pratese Michele, portata in dote dalla moglie Maria; nel 1141 i due sposi raggiunsero Prato su una imbarcazione e, trent’anni dopo, Michele, in punto di morte, consegnò la cintura alla Pieve di Santo Stefano che diventerà poi l’attuale Cattedrale.

La presenza di una reliquia così importante ha dato prestigio alla città, ne ha rafforzato l’identità, favorì l’arrivo di pellegrini anche illustri, abbellì di opere d’arte la chiesa che la ospitava. Negli anni Trenta del Quattrocento, Donatello e Michelozzo, su un angolo della facciata, crearono un pulpito marmoreo scolpito con gioiosi e festanti angioletti danzanti. Questo capolavoro serviva, e tuttora serve, per mostrare alla folla raccolta nella Piazza la venerata reliquia mariana; la forma semicircolare del pergamo favoriva e favorisce l’ostensione della reliquia. La cerimonia si ripete cinque volte l’anno (Natale, Pasqua, 1° maggio, 15 agosto e soprattutto l’8 settembre per la Natività della Vergine); l’ostensione è una festa contemporaneamente religiosa e laica che coinvolge tutta la città e l’intera collettività. Due delle tre chiavi dell’altare che custodisce la Sacra Cintola appartengono al Comune, la terza è nelle mani dei canonici della Cattedrale; il Sindaco segue il Vescovo sul pulpito.

Il patrono di Prato, a cui il Duomo è dedicato, è santo Stefano; la Sacra Cintola lo mette solo parzialmente in ombra. Nella cappella maggiore della Cattedrale risalta il ciclo pittorico di Filippo Lippi “Storie dei Santi Stefano e Giovanni Battista”. A proposito del monaco-pittore, si racconta che la giovane e incantevole suora Lucrezia Buti, nel 1456, proprio durante una delle ostensioni del Sacro Cingolo, uscì dal convento per andare a convivere con Filippo. Dalla loro relazione nascerà   a Prato Filippino, a sua volta eccellente artista.

Fra la cintura di Maria e la millenaria tradizione tessile di Prato il legame è evidente e attraversa i secoli. L’elegante dimora costruita a fine Trecento dal mercante Francesco Datini (che aprì compagnie commerciali a Pisa, Genova e Barcellona e una banca a Firenze) ci ricorda che il suo proprietario fondò proprio a Prato la compagnie dell’Arte della lana e  dell’Arte della tinta. L’ex Cimatoria Campolmi, fabbrica che da circa metà Ottocento si affermò nella lavorazione del tessile, ospita dal 2003 il Museo del Tessuto, prestigiosa collezione e testimonianza della storia pratese. Nel romanzo Storia della mia gente, pubblicato nel 2010, Edoardo Nesi scrive: “mentre il distretto pratese e tutta l’Italia del tessile manifatturiero sono entrati da tempo in una crisi forse irreversibile dovuta alla libera circolazione mondiale dei tessuti cinesi, proprio a Prato, nei capannoni lasciati vuoti dalle microaziende fallite dei pratesi…si è installata una delle comunità cinesi più grandi d’Europa”. Dagli inizi del Duemila globalizzazione e concorrenza cinese hanno fatto la loro tempestosa irruzione anche qui, provocando paure, tensioni, insofferenze, ostilità, conflitti; problemi che si spera possano gradualmente migliorare. Con queste parole si chiude il libro di Nesi: “Non so bene dove stiamo andando, ma di certo non siamo fermi”.

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A chi crede
solo a quello che vede
e tocca con le mani

lascio la mia cintura
sottile corda tesa
fra la terra e il mistero.

G.B.

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Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.

Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.