REMIGIO BERTOLINO.
Jean Clair, in un polemico saggio del 2004, si rammarica che dopo il “bello” platonico, il sublime romantico, si sia giunti, negli ultimi decenni, ad un’arte del disgusto e della mostruosità, ad un’estetica dello “stercorario”. Teresita Terreno, fin dagli esordi negli anni Settanta, non è mai caduta nelle suggestioni delle improvvisazioni, delle sperimentazioni concettuali, nella palude del brutto, quella delineata dal critico francese, con una precisa connotazione di degrado. Inserita nel solco della nuova figurazione, la sua arte ci regala, da anni, bellezza, poesia, semplicità.
Case immerse nelle nevi, trame e viluppi d’erbe sotto il dardeggiare del sole, levità di piume nel respiro del vento, lunghe campiture di terreno da cui affiorano radi alberi, vecchie assorbite dal paesaggio nel silenzio dell’inverno, notturne ombre che serpeggiano come fruscii di sogni, fasi lunari colte con l’immediata semplicità della meraviglia infantile, lo stagliarsi netto, in un’ardua prospettiva, di una collina di Langa delineata con la grazia e la soavità di certi maestri del Sol Levante, sono le «suggestioni» liriche, le «evocazioni» di Teresita. Da sempre l’artista doglianese scava in questi temi traendone ogni volta aspetti inediti e segreti. Con un segno grafico di matrice lirica, si è dedicata con passione viscerale all’acquaforte. Ha creato suggestive immagini dal perfetto disegno, dall’equilibrio delle masse evidenziate da un chiaroscuro vibrante ed intenso. Con una forza espressiva fuori del comune traduce in un linguaggio semplice e lineare i profondi moti dell’animo umano.
Un work in progress scandito non solo da singole acqueforti ma anche da una serie di cartelle grafiche tra cui Langhe (1986), Langhe sogni e memorie (1997) e Vecchi alberi (2002), dove l’incisore, in un originale rimescolamento di reale e fantastico, riesce a coniugare magistralmente tecnica ed emozione. Nell’ultima cartella grafica Musiche d’eve del 2011 un’incisione di fondo, realizzata all’insegna dell’essenzialità del bianco e nero, viene investita di nuove significazioni con la giustapposizione di segni ed interventi creativi, di magiche suggestione di ori profondi e splendenti, stampati con una tecnica particolare messa a punto dal marito Tonino Liboà.
Dagli anni ottanta Teresita Terreno alterna l’incisione all’acquarello e al pastello, tecniche che le permettono di esprimere con un colore vivo e palpitante le sensazioni scaturite da una natura magica ed incantata. L’artista doglianese non ha mai cercato vie diverse da un figurativo moderno e personale: un fiore di campo, un frutto, un’erba diventano per lei un universo magico. Magistrali ed inconfondibili le sue atmosfere invernali incise sulle lastre: gelo e galaverna ricamano alberi spettrali sotto pallidi chiarori di misteriose lune; salici arabescati dalla brina fanno da quinte a scenari desolati di colline, conducono lo sguardo a casolari che paiono graffiti in un lenzuolo di cenere. Si potrebbe parlare di “realismo magico” per la ricchezza dei dettagli o, forse, di un inconscio legame verso la pittura fiamminga. Ma si tratta soprattutto di un occhio particolare, un occhio esercitato fin dalla lontana infanzia a cogliere il senso dell’infinito riflesso nel finito, il senso del sublime che traspare nella variegata bellezza del creato.
E l’inverno è anche il motivo dominante degli ultimi pastelli. Qui l’artista raggiunge l’acme di una ricerca cromatica condotta ai limiti dell’assoluto e del silenzio. I colori essenziali dell’inverno (bianco, azzurro e nere profilature di alberi scheletriti) diventano una sinfonia che si sviluppa e si dilata su delicate scale tonali. La neve, esaltata da luci soffuse, spesso diviene puro spazio, pura tensione verso l’infinito. Teresita tocca il limite estremo dove la figurazione sta per dissolversi in un lirismo astratto. Avviene cioè una totale smaterializzazione delle forme per mezzo di una frantumazione luministica e cromatica del soggetto. Il dato oggettivo si trasforma in incantata visione, in un miraggio vorticante di luci, in uno specchio dell’anima dove l’artista coglie le intime vibrazioni di arcobaleni interiori, come traspare in Dissolvenze, Verso l’infinito e Arabeschi di nebbie, tutti pastelli del 2017.
(dal Catalogo della mostra, edito dagli “Spigolatori”)