Intervista a Giorgio Tino

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LORENZO BARBERIS. Margutte ha un suo vignettista, il disegnatore Giorgio Tino, in arte Tinoshi, che ci accompagna fin dall’inizio di questa avventura editoriale virtuale. Abbiamo quindi pensato di intervistarlo, per fornire un piccolo approfondimento sulla sua attività fumettistica. Per ulteriori dettagli, rimandiamo al suo sito di vignette, http://www.tinoshi.it, e a quello di illustrazioni, http://tinoshi.wordpress.com, da cui sono tratte le immagini di questa pagina.

Le tue strip mostrano una struttura classica, alla Peanuts, con quattro vignette, personaggi ricorrenti e un umorismo graffiante e surreale. Hai qualche modello di ispirazione, o il tuo stile si è formato in modo totalmente autonomo?

Credo che tutti, volenti o nolenti, abbiamo i nostri modelli di riferimento più o meno inconsci. Io ho sempre adorato i Peanuts, fin da quando ero molto piccolo. Spesso non li capivo, ma mi piaceva l’atmosfera che sapevano creare striscia dopo striscia, delicatamente. A pensarci adesso, ogni striscia dei Peanuts è una pennellata in un quadro più grande: se ti fissi solo su una spesso non la apprezzi appieno. Ho avuto il piacere di visitare il museo di Schulz l’anno passato. Su di una parete del museo, un artista ha creato una gigantografia dell’iconica immagine di Lucy che tiene il pallone da football a Charlie Brown. Da lontano l’immagine è nitida, ma se ti avvicini puoi notare come la parete sia fatta di piastrelle, e ogni piastrella sia in effetti una striscia dei Peanuts. Credo questo sia esattamente quello che intendo. E quindi è indubbio che mi abbiano influenzato molto, soprattutto dal punto di vista della struttura a quattro vignette e per il numero di personaggi che interagiscono, ma non ho mai pensato consciamente di creare un clone. Ho sempre cercato di stare in equilibrio tra storie, aforismi, haiku, e qualche elemento più cinico, assurdo e fuori dal mondo. Utilizzando lo stesso paragone, le mie pennellate formano un quadro un po’ più surrealista.

Per quanto riguarda il segno grafico, si riconosce un rimando allo stile nipponico, ma con una sintesi molto personale, che a tratti quasi richiama una forma di astrazione cubista. Come è nata questa scelta visiva?

Il mio stile si è evoluto molto negli anni, e mi capita spesso di stupirmi di quanto a volte sia cambiato nel giro di pochi mesi. L’unico tratto distintivo che ho sempre mantenuto è stata l’idea di disegnare i personaggi di profilo, quasi da geroglifico, con un rimando allo stile manga abbastanza evidente. Sono sempre stato affascinato dal contrasto pulito e netto tra bianchi e neri, e aggiungo dettagli abbastanza surreali, per non far mai capire esattamente quale siano il tempo e il luogo delle brevi storie che racconto. Anche perché le vicende non sono ambientate in uno spazio e in un tempo ben precisi. Man mano ho cambiato anche tecniche di disegno, ultimamente uso più il pennello per aggiungere un po’ di dinamismo e freschezza al tratto, ma mi piace sperimentare e sono sicuro che cambierò di nuovo prima o poi.

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Come molti fumettisti e disegnatori, la tua attività è ampiamente presente online.
Che cosa ha comportato, per te, realizzare fumetti nella realtà web, rispetto alla produzione cartacea?

Nel mio caso, ho fatto di necessità virtù. La produzione cartacea è sempre stata, e per me continua ad esserlo, un punto di arrivo. Autoproduzioni a parte, non è facile stampare su carta i propri lavori, perché giustamente devono passare selezioni e filtraggi, e pochi attraversano indenni il setaccio delle critiche. Il web offre una piattaforma gratuita per farsi conoscere potenzialmente da milioni di persone. Chiunque può aprire un blog, ed è bellissimo. Chiunque ne apre uno, ed è terribile. Il rumore bianco del web è assordante, e a mio avviso far sentire la propria voce è un’impresa altrettanto ardua del farsi pubblicare su carta. Per altri punti di vista, ovviamente. E anche qui prima o poi se sei bravo o sai vendere ottieni successo. E se ottieni successo, prima o poi pubblichi su carta. Sono meccanismi diversi, comunque complessi. Personalmente vedo il web come una bella vetrina, ma da fruitore ‘tradizionale’ di fumetti non sarò felice finché non avrò anche io il mio bel mucchio di pagine su carta da metter sotto il tavolo per tenerlo fermo.

Hai mai realizzato, o pensi di realizzare in futuro, un qualche altro tipo di fumetto, ad esempio di tipo avventuroso o realistico, magari nell’ambito del romanzo grafico?

Mai dire mai, ma non credo ciò avverrà nel futuro prossimo. In passato ho provato a creare fumetti più lunghi, storie vere e proprie, ma non mi sono mai cimentato con romanzi grafici: i ritmi della narrazione e della sceneggiatura sono molto diversi. Trovo che sia più nelle mie corde il ritmo breve e ben scandito di una vignetta. Per quanto adori leggere romanzi grafici, non saprei da che parte cominciare per scriverne uno. Come in ogni cosa, il primo tratto è quello fondamentale. Trovarmi di fronte ad un foglio bianco mi dà le vertigini, non vedo punti di riferimento, mi tengo al parapetto e mi ritraggo. Basta un tratto, due linee a formare un angolo, per creare un’illusione di spazio, un appiglio dal quale partire. Lo spazio bianco assume una dimensione, van via le vertigini. Per ora sono ancora sul parapetto, con la penna in mano. In futuro chissà.

Nella tua permanenza americana hai notato delle differenze nell’approccio al fumetto rispetto alla realtà italiana? (più che alle differenze tra i comics e i fumetti, intendo differenza di considerazione, di diffusione, modalità di fruizione etc.)

Premetto che non sono un esperto in materia, quindi queste non sono altro che mie semplici considerazioni. La cultura della comic strip, in America, è ben radicata nella vita di tutti i giorni. Per quanto cambiata nel tempo, per quanto spesso criticata nelle forme (basti ricordare Watterson e la sua lotta, vinta, contro il formato imposto alle sue Sunday Strips dai giornali) è comunque ancora ben presente. La domenica i quotidiani hanno le pagine con gli inserti a fumetti. I bambini aspettano la domenica per leggere i fumetti. Questa è una gigantesca differenza. Mi sembra inoltre che fare il fumettista sia un’attività se non più redditizia, di sicuro considerata meno di nicchia e più organizzata. In Italia non credo di aver mai visto un quotidiano pubblicare strisce a fumetti. Abbiamo le vignette satiriche ma nessuna striscia. Non so se sia per mancanza di materia prima, o per scarso interesse del pubblico, o se questi due fenomeni si alimentino vicendevolmente. Abbiamo Linus, il Male, avevamo Frigidaire e molte altre riviste. Ma non capita di aprire La Stampa o Repubblica e vedere due pagine di comics. Questo è quello che intendo. Gli artisti in Italia non mancano certamente, quello che manca è la dimensione quotidiana della striscia, che secondo me è indice di quanto questa forma d’arte sia più o meno diffusa e radicata. Il web sta cambiando lo stato delle cose, ultimamente si è visto un fiorire di artisti web davvero notevoli. Ma la dimensione web, per quanto importante, non è ancora per fruizione a livello di quella di un quotidiano. Cambierà in futuro, in un modo o nell’altro: il web soppianterà i quotidiani cartacei, prima o poi. A quel punto si potranno rifare i conti e trarre eventualmente altre conclusioni.

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