Intervista con Raimondo Vianello e Sandra Mondaini
CLAUDIO SOTTOCORNOLA
Sono una coppia inossidabile, elegante: hanno attraversato più di quarant’anni di storia dello spettacolo in Italia con dignità e umorismo; interpretando, semplicemente, se stessi. Ritroviamo Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, coniugi nella vita e sulle scene, come padroni di casa dello scacciapensieri «Gioco dei nove», in onda su Canale 5 dal lunedì al sabato, ore 19. Ma è una tappa in un lungo cammino.
Figlio di un ammiraglio, lui doveva riprendere gli studi di legge, dopo la guerra, ma fu scritturato per il «Cantachiaro n°2» di Garinei e Giovannini, con la Magnani e Cervi: «… andai a fare questa cosa perché mi davano 100 lire al giorno e, intanto, vedevo un mondo diverso». Ma Tognazzi, allora nella rivista, lo notò: cinque anni di successo insieme, in teatro e alla nascente TV. E poi cinema. Sandra, che era figlia del pittore-umorista Giaci Mondaini, entrò ragazzina nella compagnia di Marcello Marchesi, amico di papà. Ma fu Macario a scoprirla come primadonna dallo straordinario talento brillante e comico. Fu con Steni e Pandolfi nella compagnia fissa di varietà della RAI. Lì nacque il personaggio di Cutolina o Arabella, bambina cattiva e dispettosa.
«Nel frattempo, fra noi, era nato… l’affetto, e ci siamo sposati nel ’62 – conclude il racconto Raimondo Vianello – così abbiamo incominciato a fare gli sketch insieme in televisione, anche perché essendo marito e moglie si sfociava in questo tipo di rapporto, e la gente si identificava nelle nostre prese in giro familiari». E infatti oggi nessuno può dimenticare le gustose scenette di «Casa Vianello», che la celebre coppia ha intenzione di riprendere.
Mentre parliamo con Raimondo Vianello in una pausa del suo lavoro, la Signora Mondaini deve prepararsi per la registrazione, ma non manca di intervenire appena le è possibile.
Voi rappresentate un caso di tenuta considerevole nel mondo dello spettacolo in Italia…
Sandra: «Sì, siamo quelli della vecchia generazione: Corrado, Mike, Vianello-Mondaini… che ormai ci vogliono anche bene. Hanno fatto in tempo ad affezionarsi, mentre oggi, forse, affezionarsi a un attore è molto difficile. Ce ne sono tanti!».
Come vi definite professionalmente?
Sandra: «Non amo autodefinirmi e, anche se molti mi definiscono come attrice comica, penso che il mio è un ruolo che oggi non esiste più, quello della caratterista».
Di Raimondo Vianello, Wanda Osiris ha detto che è un gran gentleman dello spettacolo…
Raimondo: «Mi fa molto piacere, anche perché “gentleman” si associa più all’umorismo che alla comicità, ed è una distinzione alla quale terrei, anche se non nego di aver fatto anche il comico-comico, per esempio vestendomi da donna. Bernard Shaw diceva che la comicità nasce dall’istinto, e l’umorismo dal cervello. Per questo sosteneva che esistono comici bravissimi, che fanno morir dal ridere, e che nella vita poi sono un po’ poveri di spirito. Ma, naturalmente, nessun comico si riconosce in questo tipo».
Lei è sempre così cinico, freddo, quasi noir? O è un sensibile che gioca a nascondino?
Raimondo: «Mah, io penso di essere sensibile, però devo dire che, più le cose sono tragiche, e più io trovo il lato divertente. Intanto io vorrei combattere tutti quelli che sono gli effetti facili e patetici, cioè la corsa al bambino… per conquistare il pubblico. L’umorismo nero è una cosa che mi piace moltissimo e, quando lavoravo in Rai con 25-26 milioni di telespettatori il sabato sera, ricevevo feroci lettere di protesta per questo».
E lei, Signora Mondaini, è sempre così «svagata», così distratta, così «altrove» come appare in Tv?
Sandra: «Guardi, non è la Tv, è che io sono proprio distratta…».
Raimondo: «Sì, Sandra manca di concentrazione, ma ha delle sue idee che forse compensano la mia razionalità: più fantasia, a volte più iniziativa… mentre io sono più ancorato a certi schemi».
La «Casa Vianello» degli sketch assomiglia, almeno un po’, a quella della vita?
Sandra: «C’è qualcosa in comune, ma molto più esasperato, più ironico, e poi c’è qualcosa in comune con le famiglie, con le coppie che ci guardano e, in fondo, ridono di sé. Comunque sì, Raimondo prende degli spunti, volontari e involontari, dalla nostra vita, e li esaspera».
Cinema, teatro, televisione, vi siete praticamente cimentati in tutti i campi dello spettacolo. Qual è il vostro vero amore artistico?
Raimondo: «Il mio vero amore artistico è stare a casa. Beh, dovendo scegliere, la scelta è andata poi sulla televisione, che è un compromesso tra cinema e teatro. Il fascino del teatro è il pubblico. Il cinema è un mezzo molto freddo. Poi a me non piace mai ripetere, non che sia grande come Paganini, però sento di essere naturale la prima volta e meccanico la seconda. Infatti, anche in televisione lo metto subito come condizione, registrazione o no, per me è come una diretta, non voglio ripetere nulla. E penso che per Sandra valga lo stesso».
Trovate che sia cambiato qualcosa nel modo di fare spettacolo oggi?
Raimondo: «Forse sì, proprio ultimamente. Io credo che sia stata la proliferazione di programmi televisivi con necessità di scoprire nuovi talenti, nuovi comici. Mi ricordo che noi si cercava di fare una trasmissione ogni due anni, non di più, proprio per non inflazionarci. Il pubblico grosso, per esempio in certi paesi, si trovava a contatto per la prima volta con lo spettacolo. Poi noi abbiamo trovato che il pubblico è diventato smaliziato e… improvvisamente ha perso un po’ il buon gusto. Forse l’hanno perso anche molti di quelli che fanno televisione, e allora siamo un po’ disorientati, e anche abbastanza propensi a smettere perché, se si fa largo una comicità di grana grossa, questo ci indurrà un pochino a riflettere, anche se il pubblico ci segue e abbiamo ancora molte offerte».
Ci sono rimpianti per il passato?
Raimondo: «Mah, sa, il rimpianto sono i figli. Il più grande, l’unico rimpianto. Nel senso che pensi: finiti noi, tutto quello che uno ha fatto, o anche raccolto, di libri, quadri, esperienze, non lo dai a nessuno, non lo passi, non continua. E d’altra parte poi ogni tanto si sentono delle cose così drammatiche sui giovani che… ma insomma era meglio averli, ecco».
Che cosa avete imparato in tanti anni di esperienze?
Raimondo: «Sembra strano, ma specialmente in questo tipo di trasmissioni, cosiddette a striscia, giochi in cui hai una umanità molto varia perché si susseguono concorrenti su concorrenti, ho imparato che ci sono tanti problemi ma anche tanto fascino, perché in fondo uno solitamente vive senza pensare a come vive il prossimo, e invece lì trovi che c’è tanta umanità, casi diversi, tanta disponibilità…».
C’è stato un momento in cui avete scoperto il valore del vostro lavoro?
Sandra: «Quando la gente ci incontra e ci sorride, ci saluta, e questo è già un segno che ci sente vicini. In fin dei conti sono trent’anni che entriamo nelle case, quindi… io mi son sempre definita un soprammobile».
Raimondo: «Valori assoluti no. Diciamo che ci ripaga molto avere certe lettere, certe manifestazioni di affetto di giovani, o di persone anziane o di ammalati, che ci scrivono non sollecitati o anche ci fermano per dire che ci ringraziano per quello che abbiamo fatto, per le ore di divertimento che abbiamo dato loro in modo sempre pulito, garbato. Questa credo sia l’unica ricompensa vera e valida».
Pubblicato per la prima volta in Il Giornale di Bergamo Oggi, 15 marzo 1990. Oggi in: Claudio Sottocornola, Varietà. Taccuino giornalistico: interviste, ritratti, recensioni, approfondimenti, ricerche su costume, società e spettacolo nell’Italia fra gli anni ’80 e ’90, Marna editore, 2016. Margutte ne parla QUI)