EVA MAIO
Attorno alle “Moltitudini raccolte “ di Corrado Ambrogio
– registro su carta come un’opera permane nella mia vita quotidiana -
Di certo è importante entrare in un’opera, in un’opera d’arte. Per questa operazione non ho competenze.
Da inesperta mi limito a far entrare l’opera in me, a permettere che mi tenga compagnia, a farla dialogare con ciò che in me ha dimora stabile o che in quella porzione di vita ha preso forma di emozione, pensiero, domanda, inquietudine.
E questa volta non ho lasciato al libero volo le parole di questo incontro.
Questa volta ho fatto scendere le parole di questo incontro su un foglio bianco.
Le ho fatte colare. Una colata senza filtri.
Ho fatto camminare ed indugiare gli occhi, le orecchie, l’olfatto davanti all’opera. Ma anche dopo, fuori , dove l’opera non c’era più e c’era altro per gli occhi, l’olfatto, le orecchie.
Eppure tracce di quel guardare, sentire, ascoltare, annusare non avevano voglia di andarsene, di migrare via. Avevano voglia di stare.
Così ho svolto le cose di sempre e ho annotato cosa succedeva dentro e cosa succedeva attorno mentre quelle tracce facevano il loro lavoro.
Dentro, fuori, attorno , l’opera d’arte, porzioni della mia quotidianità…
C’è una lettera dell’alfabeto ebraico che ha la vaga sagoma di una porta.
L’ho ricordata perché ho permesso a queste installazioni di attraversarmi ed io la porta l’ho aperta. Non ho scansato il loro ingresso. Proprio come non si possono scansare altri ingressi : il volto delle persone che incontriamo, le parole che ci dicono…
Grazie ed attraverso le porte si entra e si esce, il dentro e il fuori si definiscono e si contaminano: ciò che è fuori può essere portato dentro e ciò che è dentro può essere
portato fuori.
E a noi – che le apriamo, le socchiudiamo, le chiudiamo e le ri-apriamo letteralmente perfino da quando gattoniamo – è dato imparare passo dopo passo nella vita la bellezza, la fatica e la potenza di cambiamento che suscita il paziente far dialogare il dentro e il fuori.
La contemplazione di opere d’arte e di artigianato ci aiuta in queste sottili operazioni di transito.
Sono esse stesse degli audaci luoghi simbolici di transito.
Esigono che pure noi – che le guardiamo – lo diventiamo.
Sulla mostra di Ambrogio: Un incontro fortunato: Corrado Ambrogio e San Francesco
Eva Maio a Margutte:
«Perché questo Soliloquio su Margutte?
Perché molti della redazione hanno a che vedere con Mondovì e perché Corrado Ambrogio è di Mondovì. E perché il monregalese è quella terra di mezzo tra la Valbormida, dove sono nata, e Cuneo, dove abito. E perché Mondovì ha un suo fascino ai miei occhi che transitano sovente in questo luogo dove s’addomestica un poco la ruvidezza ligure per far ingresso nel quieto garbo della cuneesità.
Sono una maestra in pensione. Ligure-piemontese, appunto. Piccola “scrivana” per stare un po’ contenta in questo mondo. Già nello scrivere sono contenta. Ma a volte le amiche, con gentilezza, mi pungolano sul piano etico: ti contenti di poco, ci pensi alla contentezza altrui? Rispondo che ci penso in altri modi. E che non sono poi così sicura che quelle che chiamo “forse poesie” e loro “eh sì, poesie” abbiano dignità di catapultare su qualche ‘luogo pubblico’ che non sia un giornalino comunitario, che circola tra pochi.»