Il male libera.
Fa capire ogni bene
e vede prossima gratitudine
alle domande insignificanti
dell’andare oltre:
respinge alte le onde
sulle stesse orme.
Il tacere frutta
solo bacche amare
lavorate per dolci inganni.
Altro parlare, propri egoismi…
A non vedere nell’ascolto
pronti tradimenti.
Ma la parola riempie spazi
e basta morire senza perdono,
pensarsi eterni per non risolvere
l’umano dolore in mancata fede
come case ostili mai colpevoli.
*
L’erba mi ricordi
di quella casa…
Cumulava dove voleva,
rinverdiva intensa
vicina ai sostegni
non lontano dal passo
ma dallo sguardo
e chiedeva macchie
riempite dal bordo.
La pioggia faceva fango
seccato polvere e l’acqua
donava un capsico viola.
Al basilico divideva l’orto
con mattoni affondati
scoperti picchi…
E inerpicavi capricci,
limbo dimentico ai figli
mancando promesse
a castighi del tempo
sempre tuo, perduto
in ogni andare.
*
Forse per case
nelle pareti nascoste
sono i ricordi persi
dei fratelli in città:
si rimane al crescere
insieme negli anni,
compiuti i destini…
A essere divisi
sono promessi ritorni
di richiami intuiti.
E le costellazioni perse?
Sono facce forzate
vicine nelle foto,
nascosti segnali
al voltare negli occhi,
scuse diverse
accomodate vite.
*
È l’amore il cardine
del nostro esistere
piega verghe adamantine
a soccombere ragioni
tentate di giustizia,
è velo a non vedere
determinare granelli,
disporre acque
a chi non pone mani
per chi neanche guarda.
Henry Ariemma, Arimane, Giuliano Ladolfi Editore 2017
Dal saggio introduttivo di Giulio Greco:
«Secondo Zoroastro, Angra Mainyu (avestico) o Ahreman e Arimane (pahlavico) o Ahriman (fārsì) è il nome dello spirito malvagio che guida una schiera di “demòni”. È una entità spirituale malvagia e distruttrice, avversaria di Spenta Mainyu, lo Spirito del Bene che guida gli “angeli”. Ambedue sono figli gemelli di Ahura Mazda, il dio supremo.
Giacomo Leopardi lo assunse come emblema del male nell’abbozzo di un inno, scritto a Firenze forse nel 1833 e trovato autografo tra le carte del poeta. Il testo fu pubblicato nel 1898 dal Carducci nel saggio Degli spiriti e delle forme nella poesia di Giacomo Leopardi.
Henry Ariemma non si inoltra in un cammino filologico o storico che riguarda lo zoroastrismo, ma si pone di fronte al perpetuo interrogativo che da millenni dilania l’umanità: Si Deus, unde malum?
Nella visione politeistica il male, il dolore, il limite della condizione universale erano attribuiti a diverse divinità in lotta con quelle del bene, che dovevano essere placate con sacrifici. Il monoteismo, invece, facendo risalire ogni realtà a un Essere unico, lascia insoluto il quesito, perché non è ammissibile mettere in dubbio la bontà di Dio.
[…]
Ariemma affronta la questione sotto il profilo esistenziale in due sezioni, dedicate la prima ad Arimane, il dio del male, e la seconda a Spenta Mainyu, lo spirito del bene, partendo dall’esergo platonico, secondo il quale «Dio è innocente», e dalla citazione di un poeta persiano secondo la quale i nomi di “bene” e di “male” appartengono non alla realtà, ma agli uomini.»
Henry Ariemma è nato a Los Angeles nel 1971 e vive a Roma. Con Ladolfi Editore ha pubblicato nel 2016 la raccolta Aruspice nelle viscere, ottenendo la Menzione Speciale al Premio Anterem.