GIANCARLO BARONI
Il Ticino, uno dei maggiori fiumi italiani per portata e per lunghezza, nasce in Svizzera e, poco prima di confluire nel Po, lambisce Pavia, anticamente chiamata Ticinum. Un caratteristico ponte coperto (costruito a metà Trecento, distrutto nel 1944 e poi ricostruito) collega le due sponde.
Volete vedere com’era Pavia agli inizi del Cinquecento? Recatevi nella chiesa romanica di San Teodoro e ammirate, sulla controfacciata, l’affresco che dall’alto e a volo d’uccello la ritrae. Ci colpiscono le mura che cingono e proteggono la città, il ponte coperto che si allunga sopra il fiume, il Castello visconteo sullo sfondo, le tante torri (cento, diceva un cronista; oggi ne restano poche e una, che sorgeva accanto al Duomo, è crollata nel 1989). Sopra una parete della chiesa, un affresco formato da diverse scene racconta vita e miracoli di san Teodoro, vescovo nella seconda metà dell’VIII secolo; nell’ultimo riquadro il Santo fa esondare (così narra una leggenda) il Ticino: gli accampamenti dei nemici che assediavano la città vengono allagati.
Non il tipico mattone rosso lombardo, ma l’arenaria, tanto incantevole nei suoi riflessi dorati quanto friabile, è la pietra usata per la chiesa di San Michele Maggiore. Qui nel Medioevo vennero incoronati alcuni re d’Italia, fra cui Federico I Barbarossa. Sulla porta principale, risalta un bassorilievo dove è scolpito l’arcangelo Michele mentre schiaccia il drago simbolo del male.
L’appartata chiesa di san Pietro in Ciel d’Oro custodisce le spoglie del senatore romano Severino Boezio, del re longobardo Liutprando e del Dottore e Padre della Chiesa sant’Agostino. Tesori inestimabili e prestigiose memorie. Boezio, accusato dal re dei goti Teodorico di tradimento, fu incarcerato e poi ucciso a Pavia nel 524. Durante la prigionia scrisse La consolazione della filosofia, che gli appare come una soccorrevole donna “dagli occhi sfolgoranti e penetranti”. Fu Liutprando, verso il 725, a trasferire dalla Sardegna a Pavia (che nel VII e VIII secolo fu capitale del Regno longobardo), i resti di sant’Agostino poi accolti nella splendida Arca marmorea trecentesca che svetta all’interno della basilica.
Già nell’antichità esistevano dunque i presupposti e le radici per una futura Pavia colta. L’Università (in cui insegnarono Monti e Foscolo, Volta e Spallanzani) fu avviata nel 1361 dai Visconti e poi ampliata nella seconda metà del Settecento dagli Asburgo.
Milano si impadronì di Pavia nel 1359. I Visconti e poi, da metà Quattrocento, gli Sforza, lasciarono in eredità monumenti straordinari. Il Castello, realizzato negli anni Sessanta del Trecento, e la Certosa, una delle meraviglie architettoniche italiane. La posa della prima pietra della Certosa, da parte di Gian Galeazzo Visconti, avvenne il 27 agosto 1396 ma la Chiesa fu consacrata nel 1497. Di tutto il complesso certosino, con i suoi chiostri e celle monastiche, bassorilievi e statue, colpisce soprattutto l’opulenza e la maestosità della facciata rinascimentale, per la quale si utilizzò il marmo di Candoglia, lo stesso del Duomo di Milano. All’interno della chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie, due monumenti funebri, il primo di Gian Galeazzo – nel suo testamento dispose che il suo corpo dovesse riposare nella Certosa – il secondo di Beatrice d’Este e Ludovico il Moro, il quale, a fine Quattrocento, si impegnò perché i lavori proseguissero con vigore.
Quando visitiamo da turisti le città, ci troviamo inevitabilmente immersi nella storia e nelle storie, nel flusso del tempo e nelle sue stratificazioni, in una compresenza di passato presente e futuro che a volte ci disorienta. Impossibile non fare nostre queste nitide e semplici parole scritte da sant’Agostino nelle Confessioni: “Che cos’è, allora, il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so: eppure posso affermare con sicurezza di sapere che se nulla passasse, non esisterebbe un passato; se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe un futuro; se nulla esistesse, non vi sarebbe un presente”.
(e la morte di San Girolamo)
Libri ovunque nella mensola sopra il tavolo
impilati sul pavimento,
Agostino alza gli occhi
sorpreso da una luce che rischiara
la sua stanza al tramonto:
annuncia la morte di Girolamo.
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Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.
Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.