EVA MAIO
La sua gioia di scrivere. La nostra gioia di leggerla
L’ ultima pubblicazione della nostra amica Wislawa, uscita in Italia nel 2009, s’intitola La gioia di scrivere, è edita da Adelphi e raccoglie tutte le poesie scritte dal 1945 al 2009.
E a noi subito prende il desiderio di inviarle questo telegramma: – “ Ironia e leggerezza nei pori d’ogni pagina de “La gioia di scrivere “. Grazie.
Le recapiteremo a breve lettera con alcuni aspetti della nostra gioia di leggerla.” -
Bozza della lettera da inviarle.
È solo una bozza, non ancora la lettera con la forma che a una lettera si addice. Forse potremmo inviarla proprio come lettera senza l’aspetto formale della lettera. Forse potrebbe piacerle di più. Sì, forse spediremo questo elenco abbastanza asciutto, senza fronzoli. Penserà lei a scarabocchiarvi attorno disegni, arabeschi, gatti. Tanto ora il tempo non le manca.
La prima gioia
Lei si pone domande a cui non sa rispondere o vi risponde con buona dose di perplessità. Lascia dei varchi dove il lettore entra. Così noi che leggiamo non ci sentiamo inferiori, di un’altra specie. Ci sentiamo come lei, con timide risposte e mai conclusioni serrate. Che sollievo!
La seconda
Siamo contenti che anche lei, Wislawa, andava dal dottore, dal meccanico, dal dentista… Ne abbiamo testimonianza:
“Ti togli, ci togliamo, vi togliete cappotti, giacche, gilè, camicette di lana, di cotone, di terital, gonne, calzoni, calze, biancheria, posando, attendendo, gettando su schienali di sedie, ante di paraventi; per adesso, dice il medico, nulla di serio si rivesta, riposi, faccia un viaggio, prenda nel caso, dopo pranzo, la sera, torni fra tre mesi, sei, un anno, vedi, e tu pensavi, e noi temevamo, e voi supponevate, e lui sospettava”.
A noi lettori piace davvero che la vita normale catapulti nella letteratura. Così poesie e piccole grane quotidiane, sottili apprensioni, disagi, routine… che tutti sperimentiamo si sposano felicemente. Lei, in qualche modo, ha fatto da “sacerdotessa”.
E che goduria quegli spezzoni di parlato, quelle riprese variamente declinate delle azioni – ti togli, ci togliamo, vi togliete – quegli elenchi di cose che pare siano banali – i tipi di tessuti, gli indumenti.
Sono giochi, ma anche psicologiche riprese. Nel leggerle ripercorriamo le scene simili che capitano anche a noi e ripensiamo a luoghi, a dettagli, alle goffaggini, alla fretta, al disagio, al leggero senso di freddo… insomma ripercorriamo come lettori un’esperienza reiterata magari nel tempo – tipo appunto l’andare dal dottore -, ma sempre un po’ diversa nel vissuto emotivo.
La terza
La terza gioia è una sorta di rinforzo della seconda.
La sua poesia degli accadimenti di tutti i giorni è una poesia per tutti e di tutti.
Tutti vi possono accedere.
Non si deve pagare l’ingresso con l’esibizione della laurea, dei titoli accademici, dell’aver frequentato il Liceo.
È una poesia democratica, quasi sempre.
In verità a volte certe raffinatezze proprio non si colgono senza un minimo di cultura oppure senza un minimo di curiosità ed un dizionario a portata di mano.
Ma resta una poesia democratica.
La quarta
Qualunque cosa osservi, qualunque elemento naturale – foglia, albero, sasso, insetto – la Szymborska sa trascinarlo con eleganza nel mondo dell’umano e, senza pesantezze e forzature, vi scova qualcosa che fa bene al nostro vivere al vivere degli umani. Prendiamo per esempio quando pensa all’oloturia e alla sua strategia di difesa: è un mollusco marino che si divide in due: con una parte si mette in salvo, si dà alla fuga, con l’altra inganna il nemico lasciandogli in pasto quella parte di sé meno vitale (espressione semplificata del reale processo di difesa e di riproduzione degli oloturoidei).
Pensa all’oloturia e a tutte le strategie umane di “morire quanto necessario, senza eccedere e rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato”.
Vede, scruta quello che capita in natura, ma poi ritorna a flettersi con tenero e profondo sguardo su noi umani che “sappiamo dividerci in due. Ma solo in corpo e sussurro interrotto. In corpo e poesia…” (Autotomia)
La quinta, ultima gioia per oggi
Tutti e quattro i motivi precedenti catapultano nella più raffinata contentezza che proviamo da lettori: ci incuneiamo nelle sue sospensioni con le nostre, nelle sue risposte perplesse con le nostre, nelle sue domande con il nostro elenco di questioni, nel suo quotidiano andare dal meccanico, dal dottore, in fila, in tram con il nostro quotidiano andare dal meccanico, dal dottore, in fila, in treno.
Ci incuneiamo nel suo sguardo e lei ci lascia il posto; sembra si scosti di poco e dica: – S’avvicini pure, caro lettore, guardi un po’ anche lei se vede il mondo come lo sto vedendo io o un tantino diverso. Certo un tantino diverso perché siamo vicini vicini, ma non esattamente nello stesso posto. Su, cosa aspetta a scrivere qualcosa di come lei lo vede. Coraggio, aggiunga un verso, due, quanti ne vuole…-
Autotomia, di Wislawa Szymborska
In caso di pericolo, l’oloturia si divide in due:
dà un sé in pasto al mondo,
e con l’altro fugge.
Si scinde d’un colpo in rovina e salvezza,
in ammenda e premio, in ciò che è stato e ciò che sarà.
Nel mezzo del suo corpo si apre un abisso
con due sponde subito estranee.
Su una la morte, sull’altra la vita.
Qui la disperazione, là la fiducia.
Se esiste una bilancia, ha piatti immobili.
Se c’è una giustizia, eccola.
Morire quanto necessario, senza eccedere.
Ricrescere quanto occorre da ciò che si è salvato.
Già, anche noi sappiamo dividerci in due.
Ma solo in corpo e sussurro interrotto.
In corpo e poesia.
Da un lato la gola, il riso dall’altro,
un riso leggero, di già soffocato.
Qui il cuore pesante, là non omnis moriar,
tre piccole parole, soltanto, tre piume d’un volo.
L’abisso non ci divide.
L’abisso circonda.
(Questo articolo è uscito in precedenza su “Il granello di senape”)