SILVIA PIO
Le Fate vestono di solito i costumi del luogo e del tempo in cui si trovano a vivere, ma un occhio attento potrebbe vedere, dietro l’eleganza o la trascuratezza apparenti, un desiderio di veli bianchi e azzurri, oppure una venatura arborea. La signora per strada, nel gesto quasi maestoso di ravviarsi i capelli, lascia intravedere una ciocca più chiara e trasmette l’illusione a chi per caso la sta guardando di indossare un corpetto verde acqua ed un tunica agitata da una corrente marina. L’anziana indaffarata sulla soglia di una casa di campagna, saluta i passanti come nessun altro in paese; i suoi occhi sono scuri e quando sorride si illuminano di una giovinezza inaspettata e dal suo grembiule sbiadito si apre un paesaggio di papaveri e fieno.
Le Fate appartengono alla natura e non possono fare a meno di vivere vicino al loro elemento originario. Nei posti di mare ce ne sono di alte e vagamente bionde, chiare d’animo ma con lo sguardo malinconico; quando ti passano vicino lasciano profumo di nostalgia e portano i tuoi pensieri in una conca di corallo in fondo al mare, da dove affioreranno più azzurri. Le Fate delle montagne hanno pelle abbronzata e mani sicure; a loro piace praticare le attività degli umani: intagliano il legno, allevano capre dal pelo rosato e raccolgono fiori ed erbe medicinali. Sulle colline è più difficile individuarle: amano passeggiare dove i boschi sono più fitti e nessuno si avventura, ma di selve in collina ne sono rimaste ben poche; camminano sui cigli erbosi, evitando i campi coltivati, alla ricerca di ombra, essenze e piante sempre più rare. Seguite le farfalle, vi porteranno prima o poi verso la mano protesa di una fata che si crede sola; e questa si trasformerà senz’altro in farfalla se avrà fretta di arrivare da qualche parte senza dare nell’occhio, oppure si sentirà così inutile da concedersi un’ora di oblio in forma alata.
Le Fate mostrano raramente i loro sentimenti con espressioni a noi conosciute, non piangono mai e le loro risa assomigliano al frangersi dell’acqua corrente su una riva muscosa. Non conoscono quello che noi chiamiamo amore, ma vivono sentimenti di comunione perfetta tra loro e la natura. Si crede che siano in grado di guarire le malattie e alleviare il dolore; forse è perché conoscono il potere curativo delle erbe e dei minerali più di chiunque altro. Si dice che riescano a causare disastri, a far piovere per tre giorni consecutivi sullo stesso orto e a separare gli amanti appassionati solo per vederli piangere (cosa che loro non riescono a fare), ma queste sono forse dicerie senza fondamento. Se eliminiamo la cortina di cinismo e incredulità che ci separa da loro, potremmo usufruire dell’influenza benefica che emana dai loro corpi senza consistenza. Tutte le Fate rilasciano profumo di bellezza e voglia di sorridere, escluse le Burlone, che si nutrono di impulsi infantili scacciati dagli umani, i quali credono in questo modo di diventare adulti e seriosi. Le Fate dei campi di grano, solo a sfiorarle, trasmettono benessere a livello dello stomaco; le Tenere, abitanti dei laghi di ninfee, distendono le rughe dalle nostre fronti; le filiformi Alghe del Nord sorreggono le nostre spalle da troppa pesantezza esistenziale.
Questi e molti altri sono i benefici che possiamo ricevere se, abbandonati pregiudizi, paura e sussiego umano, riusciamo ad essere tanto leggeri da sollevarci nell’atmosfera delle loro emanazioni. C’è da dire che la distribuzione di sensazioni e favori agli umani non è di solito intenzionale: ciò che percepiamo è la sostanza stessa del loro essere, che non essendo contenuta in limiti fisici si spande per aria e terra, trasportata da venti sottili e correnti di ricordi. Ecco spiegati certi profumi improvvisi, certe gioie molto simili a malinconie, persino risa e sospiri che sembrano uscire dalla terra appena arata o da un prato falciato di fresco.
Il legame tra Fate e umani dura da tempo ma soltanto loro ne hanno ancora memoria, soltanto loro, quindi, proseguono la realizzazione dei progetti comuni patteggiati in tempi lontani. Le continue trasgressioni da parte nostra sono dovute sì all’affievolirsi del ricordo, ormai debole retaggio, ma anche alla natura umana che si va deteriorando. Siamo noi la causa del risentimento delle Fate, le quali più che con i dispetti ci puniscono col loro silenzio, con l’assenza dai nostri sogni e dalle nostre fantasie. Il che è più dannoso di quanto si creda. Noi continuiamo ad avere paura del buio e del mistero piuttosto che dell’abbandono da parte del mondo fatato; cerchiamo spiegazioni razionali a quanto crediamo non sia ancora di nostra conoscenza, perciò in nostro potere; le fate sono diventate personaggi di storie per bambini e per stupidi sognatori. I nostri sensi si atrofizzano e ci fanno rinunciare alle delizie che derivano dal contatto con loro. Non ci accorgiamo che la solitudine aumenta e la paura non è affatto sconfitta.
Il contorno degli Esseri Fatati svanisce come dietro a un fuoco nel caldo dell’agosto perché le loro forme sono costituite dalla fantasia degli umani, che viene esercitata sempre meno. Mentre gli uomini rivolgono i loro sogni verso oggetti che vorrebbero possedere, come se possedere le cose fosse la più grande ricchezza, l’esistenza delle Fate si sfoca fino ad assumere la consistenza delle nuvole o dei sogni dei bambini piccoli. Il loro spirito si diluisce nell’aria e nell’acqua pulite, dove ancora ci sono, in pace, esso soltanto, con la natura e la vita.
(Le immagini sono di Franco Blandino e appartengono alla serie “Sirene”)