GABRIELLA MONGARDI
Sabato 10 febbraio a Mondovì lo spazio espositivo dell’ex-chiesa di S. Stefano si è trasformato in un salotto viennese, grazie alla magia della musica. Come ha spiegato il Maestro Tabacco introducendo il concerto, nei decenni a cavallo tra Sette- e Ottocento, al calar della sera a Vienna i salotti delle famiglie aristocratiche accoglievano le cosiddette “accademie”, incontri musicali dove spesso un cantante, accompagnato dal fortepiano, che ai tempi era uno status symbol, proponeva le più belle arie dei compositori alla moda, come Haydn, Beethoven, Righini…
È quello che hanno fatto appunto per noi con grande maestria il fortepianista Stefano Tonda e il soprano Francesca Lanza, con la sua voce calda e vibrante.
Il concerto si è aperto con The Sailor’s Song, una delle quattro “Canzonette” inglesi di Franz Joseph Haydn, composte durante il secondo soggiorno londinese del 1794-95, l’unica non legata al tema dell’amore, ma alla celebrazione del coraggio dei marinai di fronte alle tempeste. Le altre tre, My mother bids me bind my hair, She never told her love e la canzone della sirena, The Mermaid’s Song, sono canzoni d’amore molto melodiose, che andavano incontro ai gusti del pubblico. Queste opere sono interessanti perché mescolano elementi della tradizione con altri più innovativi, in una sintesi di grande modernità. Di Haydn il fortepiano solo interpreta poi, con intensa espressività, due malinconici “Lieder für das Clavier”, scritti nel 1781 quando Haydn era Kapellmeister presso gli Esterhàzy a Eisenstadt: “Das strickende Mädchen” e “Trost unglücklinder Liebe”.
Sempre il fortepiano propone poi le piacevolissime “Ariette” di Vincenzo Righini (1756-1812), un cantante e compositore bolognese molto rinomato ai suoi tempi, vissuto a Vienna e a Magonza. Si tratta di pezzi molto vari e contrastati, drammatici e tesi, patetici e tempestosi, che mescolano perfettamente stile italiano e tedesco, cantabilità e armonia: non per niente tantissime arie tratte dalle sue opere restarono a lungo nei repertori dei cantanti dopo la sua morte, in Germania, e Beethoven scrisse delle “Variazioni sopra l’aria Venni Amore di V. Righini”: un’aria geometrica, scandita, che le variazioni beethoveniane fioriscono, arricchiscono, modulano in mille sfumature di malinconia.
Il concerto si è concluso con Schubert, forse il più famoso (e prolifico) compositore di lieder, di cui sono stati eseguiti quattro celeberrimi brani: An der Mond, Ganymed, Heidenröslein e Rastlose Liebe, oscillanti tra sospesa rêverie, delicata tenerezza e pathos convulso e stridente. Siamo così passati dal Classicismo al Romanticismo, sotto la guida di due grandi interpreti.
Il sabato successivo, l’Oratorio di S. Croce è stato teatro di un altro viaggio spaziotemporale, in apparenza tra Italia e Francia, a cavallo tra Sei- e Settecento, ma in realtà sulla vetta del mitico monte Parnaso, sede di Apollo e delle Muse. A proporlo, i musicisti dell’Astrée, gruppo cameristico dell’Academia Montis Regalis: Giulio De Felice, traversiere; Francesco D’Orazio e Paola Nervi, violini; Sabina Colonna Preti, viola da gamba; Giorgio Tabacco, clavicembalo e voce recitante.
Il titolo del concerto, Les gouts réunis, allude al tentativo fatto da François Couperin (un compositore che per la musica francese è l’equivalente di Bach per la Germania) di superare la rivalità che contrapponeva a Parigi i sostenitori dello stile musicale francese e quelli dello stile italiano: Jean Baptiste Lully e Arcangelo Corelli erano i massimi esponenti delle due scuole. Couperin vince la sua sfida artistica e realizza la riconciliazione fondendo insieme, nelle sue opere, il gusto francese con il gusto italiano: les gouts réunis, appunto.
Il programma del concerto propone come ouverture un brano per clavicembalo di Couperin, Les Ombres Errantes, ideale per “entrare in atmosfera” ed iniziare, con elegante leggerezza, la nostra conversazione musicale con le ombre. Le due sonate di Corelli per due violini e continuo esprimono al meglio lo stile italiano, caldo, appassionato e soave anche nelle rigorose geometrie della giga, ma il fulcro del concerto è costituito dalle due Apoteosi, per flauto, due violini e continuo, che Couperin dedica una a Corelli e una a Lully, dopo la loro morte. Si tratta di musica descrittiva, programmatica, con didascalie in francese lette dal m° Tabacco. Nell’Apothéose de Corelli Couperin immagina che Corelli beva alla fonte di Ipocrene e ne tragga ispirazione per comporre; poi si addormenta e in sogno le Muse lo portano da Apollo: con una musica dolcissima e armoniosa come il fluire dell’acqua Couperin esprime tutta la sua commovente ammirazione per il maestro italiano. Nell’Apothéose de Lully invece è Apollo a scendere nei Campi Elisi e donare il violino a Lully, per poi portarlo con sé sul Parnaso, dove viene festeggiato da Corelli e dalle Muse italiane. Su esortazione di Apollo si fa la réunion de gouts: i due stili, italiano e francese, vengono fusi in un’aerea ouverture, in cui Lully e Corelli suonano a turno l’uno il tema e l’altro l’accompagnamento. Di fatto, è Couperin che realizza “la pace di Parnaso”, presentandosi come erede di entrambe le scuole, come quello che ha saputo realizzare in un’unica sintesi artistica lo stile perfetto, in quanto somma del francese e dell’italiano.
Possa il suo sogno avverarsi per tutti quelli che credono nella musica: «C’è musica, dall’altra parte».