GIANCARLO BARONI
Dopo la morte senza figli di Alfonso II, Ferrara torna allo Stato della Chiesa e la capitale degli Este viene trasferita nel 1598 a Modena. Il cuore del Ducato si allontana dal Po e si avvicina alla via Emilia. Cesare, il nuovo duca, riesce a portare a Modena almeno una parte degli incredibili tesori artistici ferraresi. Francesco I (che si fece ritrarre e immortalare in un busto marmoreo dal Bernini e in un dipinto da Velàzquez) avvia nel 1634 la costruzione sia del Palazzo Ducale di Sassuolo sia del Palazzo Ducale modenese (occupato oggi dall’Accademia Militare) e arricchisce di numerose opere la collezione estense. Con Francesco III si costruiscono due edifici di pubblica utilità: il Grande Ospedale Civile degli Infermi e il Grande Albergo dei Poveri. Purtroppo, nel 1746, la sua galleria, una delle più belle d’Italia, perdeva parecchi capolavori: cento fra i quadri più pregiati venivano venduti, per centomila zecchini d’oro, ad Augusto III Elettore di Sassonia e re di Polonia. Lasciarono definitivamente l’Italia per Dresda dipinti di Correggio, Veronese, Tiziano, Annibale Carracci, Guido Reni … Ciononostante, l’attuale Palazzo dei Musei (ed ex Albergo dei Poveri) resta un considerevole contenitore di bellezze storiche e artistiche. Il Museo Lapidario e quello Civico Archeologico ci ricordano, con i loro reperti, che Modena, l’antica Mutina, fu una importante colonia romana; la Biblioteca Estense conta fra i suoi tanti libri uno dei codici miniati rinascimentali più preziosi: la Bibbia di Borso d’Este; la Galleria Estense possiede disegni, monete, medaglie, maioliche, strumenti musicali, un consistente patrimonio di dipinti, sculture in marmo e in terracotta. Opere in terracotta dei modenesi Guido Mazzoni e Antonio Begarelli, alcune magistrali come il “Compianto” del primo e la “Deposizione” del secondo, sono presenti nelle chiese cittadine.
La bellezza di Modena non nasce con gli Este; la città vanta infatti un glorioso passato medioevale, tanto che viene considerata una delle capitali italiane del Romanico. Il Museo Lapidario del Duomo espone le otto metope della prima metà del 1100 con figure fantastiche, enigmatiche, ambigue e mostruose : gli Antipodi, l’Ermafrodito, l’Ittiofago, il Fanciullo col Drago, la Sirena bicaudata ecc. Nel 1099 viene iniziata la Cattedrale (dal 1997 Patrimonio dell’Umanità Unesco); Lanfranco e Wiligelmo ne furono gli artefici principali, uno come architetto e l’altro come scultore. Del primo una lastra sull’abside dice: “Lanfranco, famoso per ingegno, dotto e capace, di quest’opera è principe, rettore e maestro”; del secondo un’iscrizione sulla facciata a sua volta afferma: “Di quanto onore tu sia degno, o Wiligelmo, tra gli scultori, è reso manifesto ora per la tua scultura”. Suoi i rilievi che narrano alcune storie della Genesi, una specie di piccola Bibbia scolpita. Durante la costruzione della chiesa, Lanfranco pretese che vi fossero trasferite le spoglie di san Geminiano. La stessa iscrizione che loda Wiligelmo definisce la Cattedrale “Casa dell’insigne Geminiano”; nel 1106, alla presenza di Matilde di Canossa, vi furono traslate le sue spoglie. Lanfranco e Wiligelmo furono successivamente sostituiti dai Maestri Campionesi, a loro si devono all’esterno l’apertura del rosone e la realizzazione della Porta Regia, all’interno la creazione degli splendidi ambone e pontile.
Nella cripta della Cattedrale, dentro a un’urna marmorea, sono custoditi i resti di San Geminiano, vescovo della città nella seconda metà del IV secolo, in un’epoca di declino e decadenza. Il Duomo racconta diffusamente vita e miracoli del Santo protettore. Sull’architrave della Porta dei Principi sei bassorilievi illustrano il suo viaggio verso Costantinopoli per liberare la figlia dell’imperatore dal diavolo: l’esorcismo riesce, Geminiano riceve dei doni e riparte per Modena, dove muore il 31 gennaio 397. Sul fianco meridionale è murata una lastra scolpita da Agostino di Duccio a metà Quattrocento, in essa viene omesso il viaggio del Santo ma si descrive un nuovo miracolo, la liberazione di Modena dai barbari. Una leggenda narra che le preghiere del Vescovo fecero calare sulla città una nebbia talmente fitta da renderla invisibile agli Unni; in realtà Attila e Geminiano non si incontrarono mai. Di Agostino di Duccio è la scultura che raffigura il Santo mentre salva un bambino, che sta precipitando dalla torre della Ghirlandina, afferrandolo per i capelli. Prodigio che non si rinnova quando l’editore Formiggini, il 29 novembre 1938, si lancia dalla Torre campanaria, simbolo della città, per “testimoniare con il suicidio”, ricorda una lapide, “l’assurdità delle leggi razziali”.
Geminiano vescovo
(salva più volte la città da demoni e barbari, la nebbia è sua alleata)
Avanzate a cavallo. I fedeli
pregano nelle chiese. Mi sporgo
dalle mura. Non è la prima
volta diavoli
che vi scaccio da Modena. Alzo il bastone
pastorale recito qualche
esorcismo. Cala
sui vostri occhi una fumana fitta
siamo invisibili.
(dalla raccolta “Le anime di Marco Polo”, Book Editore, 2015)
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Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.
Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.