La tastiera

Foto di Mimmo Pucciarelli

Foto di Mimmo Pucciarelli

MIMMO PUCCIARELLI

Nella mente di quel giovane vecchio
c’era una tastiera,
sì proprio quella con i tasti bianchi e neri
e su di essi c’erano dei nomi
di familiari defunti
di figlie preoccupate
di nipoti che allargano le braccia
di un miliardo di giorni illuminati dal sole
e altrettanti, o quasi, occupati di notte
dal biancore della luna

un ronzio nella testa
una mosca che cerca la sua casa
una lucertola entrata di soppiatto
da una finestra aperta su un terrazzo
il farmacista prende le pillole contro la pressione
così come il dottore che mi conferma:
nella vita bisogna aver culo;
io cerco nei tremila passi mattutini
il conforto che mi manca in queste stanze nuove
ma di antica fattura
i prati verdi,
i girasoli giganti
le due fontane che si parlano da lontano
i passi spediti di giovani donne legate ai cellulari
o come quelli di un famoso dentista enologo
quelli più lenti di un maresciallo
in pensione da una vita
che con il suo cane lupo
ogni mattino disegna la stessa circonferenza
le more che rubo agli uccellini
che non bestemmiano
ma pregano San Francesco affinché parta
lontano
lì dove i miei passi sono contati
le mie ore registrate
i miei sospiri misurati
le mie foto ritagliate
e gli angeli della Croix-Rousse mi abbracciano
come se fossi il giovane rivoluzionario
di tanti, tanti anni fa.

La tastiera è pertanto corrotta
da mille musiche ascoltate di nascosto
e anche da quelle che mi risvegliano ogni mattina,
quando seduto alla mia scrivania,
immagino di spedire in tutte le regioni del mondo
quelle ragioni che dovrebbero piegare il potere
e non solo quello che corrompe
ma anche quello del più forte;
immagino che la mia vita sarà ancora lunga
e sui muri delle città tutti insieme
scriveremo slogan
in bianco e nero e a colori
come quello che ho soffiato l’altro giorno
sulla bocca della mia vicina:
un’ora di felicità
rende felice l’umanità.

Ma la tastiera
segue il suo cammino
senza chiedermi di scegliere la partizione
anche se dichiara di voler aiutarmi,
e di essere pronta a fare qualsiasi cosa
affinché io pianga

le nuvole sorvolano Caggiano
come io faccio in questi giorni interminabili
dove la tastiera che ho nascosto nel petto
suona ma solo melodie
in cui l’inconfondibile tristezza
si adagia esclusivamente su quell’antico ramo
che spezzandosi mi ha lasciato solo.

Papà! Papà! Papà!
Da cinquant’anni non ascolti la mia voce
ed io ho dimenticato la tua
la tua carne e le tue ossa sono oramai solo cenere
il tuo sguardo non racconta più le ore passate a bere,
a giocare,
a cercare un’altra donna soltanto per onorarla.
Seduto di fronte a questa scrivania
che era nella casa di tuo padre
ho ancora una tua carta d’identità
e alcuni tesserini del partito socialista
e uno che mi sorprende, di cacciatore.
Ho nell’armadio ancora un tuo pigiama
a strisce bianche e celesti:
eri più basso di me
e avevi una pancia enorme.
Una cinta.
Un paio di pantofole per il giorno di nozze.
Uno sguardo
una mano
un tremito
l’odore dell’alcol
e i tuo voler dirmi che eri forte e sicuro di te.
Papà,
come vorrei accarezzare le tue guance
farti leggere queste note
che si scioglieranno tra un minuto
tra le gocce della pioggia
che cade ballando sui tetti
e abbracciarti
solo per un attimo
sentire il tuo odore
guardarti negli occhi
e cercarvi quell’amore che cercavi
dopo aver perso tua madre ancora in fasce.
Poi, ti accompagnerei volentieri in piazza
mentre col tuo bastone mi faresti capire,
insieme a un sorriso, di andare piano.
Ci saremmo seduti poi ad un tavolino
per bere qualcosa
e con le nostre tastiere
avremmo suonato insieme
un valzer, una polka,
forse un requiem per i nostri cari
e sicuramente un inno alla Gioia
a Lucio, alla Luna, alla Lalia e a Mina
e a tutti i bambini e le bambine del mondo
che in questo momento
stanno perdendo il loro papà.

3 agosto 2018