ELEONORA RIMOLO
A mani nude gli studiosi scavano le fondamenta
piegati sul fossato: dicono vi siano tracce
di una civiltà antichissima, credono a quanto c’è
dietro la superficie, pure se la pioggia impasta la pietra,
li sporca di melma, complica l’esercizio della ricostruzione.
È triste questo nostro bisogno di ordine,
lo strappare la radice e non trovare il seme:
è un franare senza poter bloccare la discesa,
precipitare a brandelli privi del termine di caduta.
*
Ci hanno detto di uscire il meno possibile,
solamente se urgente: polveri sottili,
smog, troppe sirene moleste. Mi difendo
così dai batteri, dalle spore, dai sorrisi
che non avrei incontrato. Trascorro i giorni
della malattia respirando la stessa aria
di sempre, osservo la sua caparbietà
la comparo alla mia penso a chi andrà via
per prima. Intanto la plastica fonde
cerca asilo nei polmoni dei superstiti,
con la pioggia non si può deglutire, brucia
l’ipotesi della resistenza, acre carità.
*
Quando avremo terminato di contare
le partenze saremo come formiche
in processione, così superbe piccole
da una tana all’altra continuamente in esilio:
da qui ti scriverò un milione di lettere,
chiederò cosa portarti per farti contento,
perché sul tuo grembo mi spoglio
sognando l’infanzia, riallaccio la vena
fermandone ai tralci il sostegno,
ne impedisco l’uscita dal suo stato di grazia.
*
Quelli che per lavoro non hanno meta
ma tengono per loro un gran viaggiare
portano nelle borse un cambio solo,
qualche storia altrui: uno mi siede di fronte,
toglie gli occhiali, i suoi gesti lenti
non fermano la tensione dei cavi,
l’attrito dei chilometri non scivola
via dalle spalle strette così dentro se stesse.
Studio la fronte del controllore, ne leggo
la cura sincera mentre fissa una foto,
piccole figure, paesaggi sullo sfondo.
Desidero anch’io queste sagome
dai teneri contorni, lasciarmi fasciare
il ventre nel momento giusto, quello
che non giunge ma si impone agli attori
di questa scena, dove le ombre sono sipari
pesantissimi che non si aprono mai.
*
Getta le carte vecchie, i vestiti:
nella casa serve più luce, più aria
entrerà dalle fessure attraverso
le tende bianche, quella calda
che asciuga lacrime, vernici.
Serve qualcosa per saldare il vuoto,
una libreria più larga, un complice
che metta in tavola il pane, un figlio
che con tenerezza ti versi l’acqua
lasciando seccare il bucato
sotto la canicola che ci brucia la faccia,
che ci scalda nella bocca la cenere,
briciole amare, ustione di voci.
Da La terra originale (LietoColle, Collana Gialla Pordenonelegge, 2018)
***
“La qualità che più sorprende nella giovanissima Eleonora Rimolo è la fermezza della tessitura stilistica: la precisione del suo andare a capo, l’equilibrio finissimo delle soluzioni metrico-sintattiche. Ogni sequenza, nella densa brevità del suo procedere, si risolve in un unico strutturatissimo movimento, in cui brevi sintagmi si annodano entro una trama di riprese e di variazioni per via di scarti, scatti improvvisi, ricongiungimenti. La sensazione è che ogni incipit richieda una sua conclusione imminente, necessaria, febbrilmente invocata fin dal suo porsi, ma anche che ogni conclusione ingiunga con altrettanta urgenza un nuovo ricominciamento. In una poesia che pare ubbidire esclusivamente ai moti del desiderio, sempre sul punto di perdersi in correnti inaudite, in figure dai forti contrasti, soccorre ogni volta il senso di una misura fortemente perseguita, forse proprio come argine all’incursione concitata dei pensieri e delle immagini. […] Una tensione lucida e stringente pervade l’intera raccolta, che si dà come un canzoniere di alta concentrazione emotiva. Pensieri e immagini hanno una loro forza scontrosa e selvatica, a volte brutale (si vedano poesie come Forse è per esercizio o per necessità o Sono rimasta dove mi hai posato), affondata nella materia delle cose del mondo, nella loro ctonia sostanza, ma con strappi improvvisi che sempre rilanciano verso l’alto, e hanno l’irruenza gratuita di uno slancio, di una scoperta improvvisa (la mano è un delta, la memoria una geografia). Non sarà certo casuale, d’altronde, che il termine «gioia», che già ricorreva fin nel titolo della raccolta precedente, si dia qui in due componimenti (Dalle carcasse dei gatti lasciate e Si apparta il sole sulla punta) fortemente marcati dal segno della morte o della corrosione, della malattia anzi, e destinati a concludersi su due termini («sorte», «male») che gettano la loro ombra inquieta su ogni figura del libro: una «gioia» che molto ricorda la rimbaudiana magique étude / du bonheur, il cui dente – douce à la mort – premeva nell’ora del Mattutino, del Christus venit: anche la gioia di Eleonora Rimolo ha qualcosa di fatale e di indocile, di buio e di mortale, e insieme di intimamente luminoso, in cui è come racchiuso il senso profondo della vita, del suo ardore enigmatico e sovrano.”
(Dalla prefazione di Giancarlo Pontiggia)
***
“Volontà e desiderio sono due funzioni psichiche molto diverse (che a volte coincidono): a cosa tendono – rispettivamente – la progettualità razionale, ossia la realizzazione di tutto quanto esiste in potenza nello spazio della nostra psiche e l’oscura forza di attrazione cieca verso l’oggetto bramato dal puro impulso?
Ognuno cerca, in perenne tensione, la propria “terra originale”: cioè il luogo dove si parla la lingua degli affetti, dove ci si sente appagati, completi, positivamente esausti. Questo territorio mitico probabilmente è irraggiungibile: d’altronde il cercare non è garanzia del trovare, ma senza l’ardore della ricerca estenuante, continua, non ci sarebbe conoscenza del mondo e saremmo privati della forza propulsiva vitale che è Eros. Certo è che la nostra Heimat potrebbe corrispondere, a seconda dell’esperienza e delle vicende umane, ad una patria “originale” nel senso di primitiva, ancestrale, come il luogo dove si è nati e dove si è trascorsa l’infanzia, ma anche ad un territorio “originale” nel senso di non comune, bizzarro, inaspettato: potrebbe corrispondere cioè ad un volto, ad un istante vissuto e perso, ma anche ad un luogo lontanissimo e in cui non avremmo mai pensato di trovare la serenità. Questi sono i poli attorno a cui ruotano le due sezioni (Viaggi – dedicata alla volontà, e La notte più lunga dell’anno – dedicata al desiderio) e i rispettivi testi de “La terra originale”: quale l’esito della ricerca interna al libro? I messaggi trasmessi dalle poesie e l’ambigua citazione finale di Jaspers lasciano al lettore la piena possibilità di decidere se la ricerca ha avuto un termine e, in caso positivo, dove ha trovato ciò che voleva e/o ciò che desiderava.”
(Eleonora Rimolo)
***
Eleonora Rimolo (Salerno, 1991), laureata in Lettere Classiche e in Filologia Moderna, è dottoranda in Studi Letterari presso l’Università di Salerno.
Ha pubblicato il romanzo epistolare Amare le parole (Lite Editions, 2013) e le raccolte poetiche Dell’assenza e della presenza (Matisklo, 2013), La resa dei giorni (Alter Ego, 2015 – Premio Giovani Europa in Versi) e Temeraria gioia (Ladolfi, 2017 – Premio Pascoli “L’ora di Barga”, Premio Civetta di Minerva). Con alcuni inediti ha vinto il Primo Premio Ossi di seppia (Taggia, 2017).
È Direttore per la sezione online della rivista Atelier.
(a cura di Silvia Rosa)