L’Informale italiano in mostra a Cuneo

FULVIA GIACOSA

Si è inaugurata il 23 ottobre la seconda mostra – la prima, lo scorso anno, era sulla Pop Art italiana – nata dalla collaborazione tra la GAM di Torino e la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, dal titolo “Noi continuiamo l’evoluzione dell’arte” da una frase di Lucio Fontana, che offre una interessante panoramica sull’Informale italiano.  Curata dal direttore della GAM Riccardo Passoni presenta 58 opere degli anni Cinquanta fino ai primi anni Sessanta, provenienti dalle collezioni e dagli archivi della galleria.

Sperando di fare cosa gradita a chi poco pratica l’arte del secondo Novecento, ricordo alcuni fatti.
Quello che chiamiamo “Informale” solitamente viene identificato con l’arte americana postbellica, meglio detta Scuola di New York poiché è in tale città che sostanzialmente si è sviluppata, con qualche grande personalità dall’altra parte del continente, in California. Tuttavia le prime esplorazioni nella materia, nel gesto, nel segno, vale a dire le tre grandi tendenze presenti nell’Informale, avvengono in Europa, principalmente in Francia e in Italia. Il termine stesso Informel nasce in Francia (1951) ad opera del critico Michel Tapié che l’intende come una pittura libera da schemi, immagini fenomeniche o significati; un’arte che parte dall’improvvisazione e che esclude una progettazione aprioristica della forma. Termini affini usati da Tapié sono Tachisme (da tache, macchia) e Art Autre, utilizzato per Dubuffet.
Non va dimenticato il contesto in cui le nuove ricerche si collocano: l’Europa è una immensa maceria dopo la guerra, tutto deve essere ricostruito ex novo e anche l’arte comprende che è necessario un cambio di passo decisivo, bisognosa di una nuova identità che la liberi dalla tragedia bellica.  Non deve quindi stupire che sia l’Europa a fare da apripista per un’arte della “non forma”, alternativa alla tradizione sia di tipo figurativo (come quella tra le due guerre) sia di tipo astratto-geometrico (da Mondrian e Malevic in poi); nei confronti di quest’ultima si nota lo spostamento da un’arte eidetica ad una esistenziale-fenomenica, come ha chiarito Renato Barilli: gli artisti sentono l’urgenza di una estroversione sul mondo, scardinano l’assunto primo-novecentesco dell’autosufficienza dell’opera (il suo essere “a sé”), affidano la realizzazione di tale urgenza al segno – fluido e libero -  alla materia – grezza e stratificata – e al gesto – quasi una scrittura -  che sono “intenzionali” e mai casuali come si potrebbe credere al primo impatto.
Ciò che oggi chiamiamo Informale è dunque un vasto e variegato contenitore, sorto in un clima esistenzialistico, e costituisce il primo grande raggruppamento su scala mondiale interessando USA, Europa e Giappone. In Italia l’informale presenta alcune peculiarità: rare e tarde sono esperienze gestuali alla Pollock (Emilio Vedova), mentre quelle legate alla materia (Alberto Burri) conservano una struttura fatta di stratificazioni mantenendo l’identità di “quadro”. Un’identità ancora più marcata è quella dello Spazialismo di Lucio Fontana che, interessato ai legami tra arte e tecnologia, introduce nuovi materiali (neon) e supera i limiti spaziali del quadro intervenendo nell’ambiente. Esiste poi una interessante ricerca in campo scultoreo con l’utilizzo di materiali di scarto e la forma dell’assemblaggio.

La mostra cuneese esplora le tendenze italiane di quegli anni, con artisti che provengono da esperienze precedenti: “Sei di Torino”, 1929; “Forma”, 1946/’47; “MAC”, 1947; “Spazialismo”, dal ’47; “Origine”, 1949; “Movimento Nucleare”, 1951, fino al “Bauhaus Imaginista” di Gallizio, per citare solo i più noti.  Notevole è il contributo di un nutrito gruppo di scultori (Colla, Consagra, Melotti, Basaldella, Somaini e Mastrioianni), oltre ad artisti più giovani che si affacciavano sulla scena dopo la metà degli anni Cinquanta.
Ora è chiaro che, sulla base comune dell’arte intesa come continuum, flusso vitale, rottura di ogni argine figurale, le soluzioni sono andate ramificandosi. Di tale ramificazione la mostra cuneese offre un vasto campionario. Si incontrano infatti opere ancora vagamente trasfigurate dalla realtà esterna, suscitatrice di stati d’animo o indicanti possibili narrazioni (Afro, Birolli, Gallizio, Levi, Mandelli, Morlotti, Paolucci, Romiti, Ruggeri Santomaso, Saroni, …) accanto ad altre decisamente non figurative (Accardi, Burri, Capogrossi, Chighine, Fontana, Galvano, Novelli, Parisot, Perilli, Scanavino, Scialoja, Tancredi, Turcato, Vedova…).
Una mostra dunque che, pur nella individualità di ricerca dei suoi attori, dà conto di un clima che, racchiuso in poco più di un decennio, ha aperto una nuova modalità di fruizione dell’arte, quella che Umberto Eco ha riassunto nella formula “opera aperta”.

INFO: la mostra, ad ingresso gratuito, si può visitare fino al 20 gennaio 2019. Orari: dal martedì a sabato (15,30 – 18,30), domenica (11 – 18.30). Per avere maggiori informazioni è possibile telefonare allo 0171/634175 o consultare il sito web della Fondazione o la pagina FaceBook @InarteFondazioneCRC.

 

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