Molte tragedie di Euripide si chiudono con la sentenza: «Ciò che era atteso non si compie, e all’inatteso un dio apre la via».
A ben pensarci, questa è anche la prima regola che un bravo narratore deve seguire, per sorprendere e avvincere il lettore, e questa è la formula con cui si può sintetizzare questo nuovo racconto lungo di Gabriele Gallo, Otto ore, appena uscito per l’editrice tedesca Oakmond publishing: un racconto che è il trionfo dell’inaspettato, in quanto interamente costruito sulla figura retorica dell’ ̓απροσδόκητον; un racconto in cui “ciò che era atteso non si compie”, ma da questa frustrazione dell’attesa nasce più acuto il piacere della lettura.
Il lettore all’inizio incontra certe coordinate spazio-temporali, purtroppo a noi ben note dalla cronaca (la pioggia che infuria, una frana che blocca una strada che risale una gola, la notte che scende), una ben precisa situazione narrativa (i due giovani protagonisti, Claudia e Francesco, intrappolati in attesa dei soccorsi, che parlano per “resistere”) e ne anticipa la logica evoluzione, seguendo la geometrica scansione degli otto capitoli, uno per ciascuna delle otto ore annunciate dal titolo. Ma quando arriva all’ultima ora, all’ultimo capitolo, viene completamente spiazzato dall’autore, e indotto a ritornare indietro per rileggere tutto il testo in un’ottica completamente diversa, come accade ad esempio con la lirica l’Anguilla di Montale…
Tutte le “previsioni”, le proiezioni in avanti del lettore vengono scardinate: cambiano il tempo e la durata della narrazione, cambiano gli spazi dov’è ambientata la storia, e ovviamente cambia anche la storia, in un vero e proprio gioco di prestigio che mette a nudo tutta la magia del narrare – questa straordinaria, vitale facoltà umana di costruire “storie”, cioè mondi paralleli in cui si rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi (Karen Blixen).
È un racconto quindi che sotto l’apparente semplicità e linearità cela una profonda letterarietà, e si offre a una lettura stratificata, su più piani.
A un primo livello, è dominato – oserei dire ossessionato – dal tema della montagna, presente in tutte le sue varianti, dall’elogio della civiltà alpina al rimpianto per una Natura incontaminata, dal motivo della bellezza del paesaggio montano a quello della disumanità, per cui la montagna è l’emblema per eccellenza del “volto terribile” della Natura, che non è stata fatta per l’uomo. Ma assume anche tinte espressionistiche, per non dire gotiche, scivolando gradatamente dal piano del racconto realistico a quello del racconto di incubi e visioni, per assumere anche tratti del racconto psicologico, o di formazione.
Altri significati “simbolici” ancora può assumere il racconto di Gallo, ma sta a ogni singolo lettore individuarli, se è vero che ogni racconto “ci” racconta. Certo il libro non è destinato solo ai “posseduti dalla montagna”, o ai giovani in cerca della loro strada, ma si rivolge a qualunque lettore: sono proprio la sua complessità, la sua polisemia a renderlo ricco e prezioso per tutti.
L’importante è leggerlo in ordine, dalla prima parola all’ultima, gustandone l’eleganza e la fluidità dello stile, e non sbirciare in anticipo le ultime pagine per sapere “come va a finire”… Si vanificherebbe la strepitosa “trovata” finale, sulla quale va mantenuto il più assoluto riserbo.
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Il libro sarà presentato a Mondovì (CN) in sala Scimé, corso Statuto, sabato 22 dicembre alle ore 17:30. Dialoga con l’autore il prof. Stefano Casarino.