ENZINA SIRIANNI
Non vorrei usare parole come “scoperta” per il mio incontro con il poeta Vito Maida, nato a Soverato il 7 giugno del 1946 e prematuramente scomparso a Catanzaro il 18 dicembre 2004. La tentazione ci sarebbe per l’epifania di sommessa bellezza che si rivela dai suoi versi. Ma sarebbe indelicato presumere di avere scoperto la vita di un uomo attraverso i suoi versi. La poesia è solo un riflesso della nostra unicità e irripetibilità. Che restiamo inesplorabili, inconoscibili nella nostra fitta geografia interiore.
Né vorrei leggere significati riposti nelle liriche della raccolta “Spine e spighe ” dell’autore, pubblicata postuma dall’Associazione La Radice di Badolato. L’immediatezza che la loro lettura trasmette non consente azzardi e acrobazie ermeneutiche. E poi, è giusto restare sulla soglia per rispetto di chi non c’è più. Di un uomo schivo che, sentendo appressarsi la fine, lasciò alle sorelle un biglietto per il dopo, su cui c’era scritto: “Soverato- Notte 6-7 Dic 2004 – Poesie da salvare – Vito”.
Vito Maida, da quello che mi è stato dato di conoscere su di lui, fu incline alla riservatezza, al pudore dei sentimenti, camminando con passo lieve e felpato in questa esistenza, senza sottrarsi alla socialità, alle relazioni amicali, umane. Del resto, essendo un maestro elementare, era orientato per vocazione pedagogica alla cura, all’ascolto degli altri: dei bambini affidatigli, degli adulti che ruotavano nella sua vita, dei suoi cari, degli amici, vicini, conoscenti, degli sconosciuti che aveva incontrato o solo immaginato nella fatica di vivere. Il suo sguardo, rispondendo ad un bisogno di comprendere l’umano, di compenetrarsi nella gioia e nella pena, nelle speranze a volte ingenue “della gente piccola, altrimenti fraterna”, vista nei Luoghi Santi ove si cerca il Signore, si rifrangeva da sé agli altri, raggio dalla luce calda ma non abbagliante. Una ricerca paziente e umile di chi siamo, perché soffriamo. Con la certezza che Dio ci è accanto, sempre, ovunque, incomprensibile e sconvolgente:
Ti ho relegato nell’angolo più oscuro / della mia triste baracca, Dio dell’Universo / e non un lamento ho notato / La Tua fiducia mi sconvolge. (Dio dell’Universo)
Una poesia la sua dove, spesso, ci sono i colori dei posti in cui, per sorte, capita di vivere. Come se essi ci connotassero, non solo per l’identità, ma anche per il destino a cui siamo sottoposti. La Calabria, la sua terra, ma anche l’altrove a volte vagheggiato, a volte temuto. Che esiste, sia che i calabresi partano con la flotta Lauro per le Americhe, sia che salgano “sui treni del ritorno”, sia che restino nei paesi a fare gli antichi mestieri dei padri sarti, pastori, boscaioli:
Fummo terra di silenziosi abbracci / e di lunghissimi giorni fraterni / di brune candele bizantine. (Candele bizantine)
Sì, amo le nebbie del Nord / l’umida pace nelle vie , / [...] Qui un sole altissimo / e spietato / c’insegue tutti / con canini di luce. (Le nebbie del nord)
Parole essenziali, attraversate dal rapido lampo della grazia che reca con sé la consapevolezza della nostra fugacità, di un’esistenza di volatili gioie, di parche speranze, di inesauste attese, di ineluttabile dolore.
Versi brevi, densi, vibranti, armoniosi, declinati in una lucente semplicità.
Memorie, affetti, tenerezza, compassione, nostalgia, senza lamenti. Si avverte la gratitudine per tutto ciò che ha lasciato un mondo popolato da sposi e padri in guerra morti giovani, da madri “clementissime”, da donne superstiziose, da uomini laboriosi, da Tirreni e Ionici, da monaci d’oriente. Palpita l’amore per una terra abitata da fiori di sambuco, grano, olive, castagne, fichi, gelsomino, luce greca…. E spine.
(Enzina Sirianni è insegnante di Italiano e Storia presso il Liceo “Tommaso Campanella“ di Lamezia Terme)
Fonte dell’immagine di copertina: Di Jean-François Millet – Google Art Project: Home – pic Maximum resolution., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20110808