GABRIELLA VERGARI
Un vendesi sbilenco pose fine ai suoi sogni.
Le parole continuano a frullarmi in testa anche dopo il risveglio e non capisco perché.
A volte mi capita, di restare prigioniera di questo tipo di frase e lasciarla a rigirarsi libera tra le mie sinapsi, come una sorta di formula magica o motivetto parassita.
Ma qualcosa mi dice che non si tratta di questo.
Di per sé l’immagine non è niente male, mi fa pensare alla decadenza di un edificio malandato, o di un cancello arrugginito e malmesso.
Forse quello di un manor inglese, o di una dimora signorile rimasta senza eredi, oppure in dissesto per contese e beghe familiari.
Sarà che di questi tempi mi sento attratta dalla mobilità del reale, da ciò che c’è e un attimo dopo comincia già a svanire, come i fiori nel vaso che, al mattino, tripudiano di colori e la sera sembrano quasi prossimi alla marcescenza.
E anche questo mi capita, di andare a periodi, un po’ come Picasso, si fa per dire.
Sarà che tutto questo lusinga l’artista che latita in me.
Sarà che ogni tanto mi soffermo a riflettere sulle dinamiche dell’esistenza fino a farmene avvolgere come il proverbiale sudario.
Ma è soprattutto lo sbilenco ad intrigarmi.
Mi gira e rigira in testa.
Un disco rotto che mi rilancia la suggestione di un gesto trascurato, o compiuto di malagrazia, forse senza voglia, oppure proprio contro voglia, come una protesta.
Una specie di firma del mal contento o della delusione, magari di chi, contro quel cartello sbilenco, ha visto dissolversi il suo progetto, un sogno cullato chissà da quando e chissà perché.
Bell’analisi.
Ma tutto questo che c’entra con me, e di quale mio estro fantasioso può essere frutto?
E come mai mi è affiorato oggi, durante un delizioso dormiveglia in cui, mentre tornavo lentamente padrona delle mie facoltà razionali e mi predisponevo ad affrontare la giornata, è venuto lucidamente alla coscienza e si è impossessato di me: un leit-motiv che non intende lasciarmi in pace e mi ronza in testa come un’ape in cerca di miele.
Quale potrebbe mai essere quello di cui va in cerca?
Non ho da affiggere alcun cartello, né in realtà ne ho mai affissi, a meno di non tener conto di un annuncio su e-bay con cui ho cercato (ahimè senza fortuna) di sbarazzarmi del divano in alcantara.
Ma se, come afferma Carlo Levi e io stessa amo ripetere, le parole sono pietre, che pietre vogliono essere, quelle di questa frase?
Tombali, categoriche, definitive, di una questione per sempre liquidata e conchiusa, o miliari, invitanti e maestre, quasi volessero indicare la via verso casa, come i sassolini di Pollicino?
Non ho tempo per rifletterci oltre, perciò vado incontro alla mia mattinata con la solita colazione e le solite incombenze, mentre noto che le piante in salotto hanno decisamente bisogno di una bella innaffiata e la biancheria, messa ieri sera sul termosifone, non si è ancora asciugata.
Come faranno, con i ricambi, quelli che vivono nel Grande Nord, a meno venti gradi se va bene, mi rimarrà sempre un mistero.
Quindi mi vesto e corro al lavoro, ripetendomi per l’ennesima volta che sono fortunata ad averlo e che devo smetterla di sognarne uno diverso, nel quale sentirmi davvero appagata e protagonista di qualcosa di grande e importante.
Non pretendo di salvare il mondo, ma ammetto che sarebbe bello avere la consapevolezza di fare qualcosa di valido in tal senso.
E sì, lo so, tutti noi dobbiamo e possiamo fare la nostra parte, da qualunque canto (o cantuccio) della terra ci ritroviamo a svolgerla.
Sono le piccole cose a dar vita alle grandi, siamo tutti interconnessi e, a voler credere all’effetto Lorenz, potrebbe essere sufficiente impedire alla farfalla di volare in Brasile, per scongiurare il tornado in Texas.
Ammesso, e non concesso, che me lo dovessi scordare, ci penserebbero comunque Facebook, whatsapp e tutti gli altri social a ribadirmelo ad ogni piè sospinto, tempestando con i loro messaggi di buon augurio e i quotidiani precetti, massime, suggerimenti, e aforismi su come affrontare la vita.
Già uno solo potrebbe valere da scorta per un secolo, ma giusto ieri me ne è stato fornito un vario repertorio: In una sola goccia è contenuto un intero oceano, Sorridi alla vita e lei ti sorriderà, Quando Dio si muove in tuo favore, nessuno può fermarlo, Sono le strade storte a far nascere i bravi piloti, Nessun ostacolo potrà arrestarti finché la tua voglia di volare sarà più forte, Buongiorno, apri il tuo cuore come i petali di questa rosa…
E via di questo passo, mentre i fashion influencer continuano a bombardare con le immagini, molto meno sapienziali e decisamente più pragmatiche, della loro vita iper-dorata sorridendo, perfetti, glamourosi e smaglianti, da piscine mega-multi-pluri- miliardarie, oggi a Tokio, domani a Shangai, dopodomani alle isole Fiji o alle più plebee Maldive, senza nel frattempo trasformarsi in essere anfibi, o contrarre il minimo accenno di raffreddore o reumatismi, che pure dovrebbero avere, dato lo spaventoso numero di ore trascorse o a mollo o all’interno di lussuosissimi jet che, seppur privati, restano condizionati ad areazione artificiale.
Così che, a dispetto di tutte le indicazioni e gli incoraggiamenti virtuali, finisce che prima o poi ti si insinua pure il sospetto di non essere altro che una piccola stronza sfigata, visto che loro non sembrano avere niente in più di te, se non la placida, pacifica evidenza di avercela fatta, di essere riusciti, Dio solo sa per quali insondabili e arcane combinazioni, ad avere la vita che sarebbe piaciuto vivere anche a te. A girare il mondo, per dirne una, oppure a non sottostare al primo despotello egocentrico che pretende di farti da capo.
E certo, non è che la tua vita non vada bene in assoluto ma, a guardarla da certe prospettive, rischia di apparirti piuttosto asfittica e banale.
Sbilenca.
Quasi non ti fossi impegnata a dovere per farla procedere secondo i tuoi desideri e le tue voglie.
Come quando a scuola dicono che l’alunno è intelligente, ma si potrebbe impegnare molto di più e tu pensi ma di più rispetto a che?
Quali sono i parametri del valido impegno?
E chi o che cosa ne può dare la riprova?
A che cosa equivale il dieci, nella vita di ognuno?
C’eravamo impegnate moltissimo, io e Laura, quella volta.
Eravamo giovani, piene di idee e voglia di vivere.
E il Maestro ci aveva pure incoraggiato.
A modo suo, certo, bofonchiando non so che tra i denti e sotto i baffi.
Ma avevamo ormai imparato a conoscerlo e c’era bastato.
Avevamo pure trovato il locale, una vecchia bottega che corteggiavamo da mesi.
Sembrava fatta su misura per il nostro laboratorio di ceramica. C’era perfino un forno che il precedente proprietario non aveva mai usato e, con gli opportuni accorgimenti, avremmo potuto adattare alle nostre esigenze.
Insomma, conti serrati e calcoli rigorosi alla mano, sembrava che le configurazioni astrali fossero le più propizie.
Proprio così, le configurazioni astrali, ci divertivamo a chiamarle a quel tempo.
Gli eredi impazienti di concludere e liberarsi di quello che vedevano più che altro come un peso, una veloce e funzionale ristrutturazione, un paio di mani di intonaco, i banchi di lavoro, un angolo sul retro per il magazzino, le assi per la terracotta…
Ne abbiamo parlato non so quanto in dettaglio, curato i particolari, studiato e ristudiato il progetto, valutato le opzioni e le condizioni per il mutuo…
Se non si trattava d’ impegno, non so davvero cos’altro fosse.
E poi, niente.
Quella notte la signora Ada ha avuto freddo.
A ragione, per carità, non si è trattato di una semplice fantasia della sua mente un po’ svampita.
Lo aveva annunciato anche il meteo che le temperature sarebbero scese in picchiata.
Colpa dei mutamenti climatici e del famigerato buco dell’ozono?
Dello spostamento dell’asse terrestre e dell’allineamento dei pianeti?
O forse, più semplicemente, dell’amministrazione comunale che non è mai riuscita ad impiantare il metano in quel quartiere e ha lasciato la gente ad arrangiarsi con le bombole?
Chi può dirlo?
Fatto sta che la nostra farfalla in Brasile è stata la signora Ada, la vecchietta dello stabile accanto.
Se non si fosse messa a riscaldare l’acqua per la sua borsa dell’acqua calda, forse oggi, io e Laura, saremmo le artiste che avevamo sognato di essere, invece che le impiegate a tempo di due ditte locali, una d’informatica, l’altra d’import-export.
Un rituale semplice e perfino rassicurante per milioni di persone, e che di sicuro lei avrà ripetuto chissà quante volte.
Solo che, quella sera, si è dimenticata il gas aperto.
Tutto qua.
Un imprevisto battito d’ali della farfalla-Ada, nella domestica, uniforme routine di una normale sera di gennaio, e una cucina si trasforma in un’autentica bomba e, bum, non c’è più nulla da fare.
A stretto rigore di logica, Laura e io non l’abbiamo nemmeno avuta l’occasione di affiggerlo, un cartello con il Vendesi, perché in un attimo la bottega è stata sventrata e non è rimasto più nulla, né da mettere in vendita né da comprare.
E certo, questa mia valutazione può sembrare frutto di un terribile egoismo se si tien conto del fatto che, dopo due settimane di agonia, la signora Ada alla fine non ce l’ha fatta, e almeno in otto sono rimasti senza casa.
Eppure, se vado di tanto in tanto a ripensare a questa storia dell’impegno, rivedo sempre la stessa scena di me e Laura, attonite e ammutolite, davanti le macerie della bottega, mentre con gli altri osserviamo le manovre dei pompieri e l’avvicendarsi dei lettighieri.
A differenza di quello che nella realtà ci avveniva accanto, nel mio ricordo c’è un silenzio surreale che sospende tutto e avvolge gli sguardi, le domande, la tensione.
Solo distinguo il mio batticuore e il pensiero nitido e fermo che, insieme con il resto, stava andando in frantumi anche quella parte della mia vita, e che non avremmo mai avuto né la forza, né le risorse economiche, di rimboccarci le maniche per rimettere in sesto quello che non era nemmeno nostro.
E per fortuna, date le circostanze.
Passato lo choc iniziale, Laura l’ha preso per un segno e si è tirata indietro.
Si vede che non eravamo destinate, ha detto parafrasando Manzoni che allora amava tanto.
Io ci ho riflettuto su ancora un poco e ho preso tempo, ma in ultimo non me la sono sentita di rimettermi in gioco con una socia, vuoi o non vuoi, sconosciuta.
Poco dopo mi è arrivata l’offerta di lavoro e l’ho colta.
Mancanza di impegno o sliding doors?
Se quella sera la signora Ada non avesse avuto freddo, dove sarei oggi?
All’interno del tuo cuore, mi ammonisce, inesorabile, l’ennesimo messaggino su whatsapp.
Ma non mi dire…