Gulliver e i Lillipuziani

gulliver

GABRIELLA MONGARDI

Ho letto il romanzo di Swift in un’edizione ridotta, per bambini, quand’ero bambina, e ne ricordo in particolare un’illustrazione: raffigurava un uomo vestito alla moda del Settecento, sdraiato a terra, su cui si arrampicavano, grazie a una ragnatela di corde, tanti piccolissimi omini.

I Lillipuziani non vogliono far del male a Gulliver, sono solo curiosi, curiosissimi, perché non hanno mai visto un gigante come lui e vogliono cercare di capire com’è fatto, qual è il suo segreto: ne hanno anche un po’ paura, grosso com’è potrebbe schiacciarli come formiche, senza neanche accorgersene.

Così l’hanno prima avvolto in mille cordicelle, e poi gli sono saliti sopra con i loro attrezzi – lenti d’ingrandimento, aghi, martelli, strumenti di misura di vario tipo – e hanno cominciato a esplorarlo come se fosse una terra incognita. Non parlano la sua lingua, né lui la loro, ma non se ne preoccupano minimamente – né gli passa per l’anticamera del cervello che il loro tramestio sul suo corpo possa dargli fastidio: si arrampicano sulle sue gambe e sulle braccia, si muovono avanti e indietro sulla sua pancia, lo picchiettano, lo punzecchiano, gli fanno il solletico, parlano forte fra di loro di quello che fanno e delle loro “scoperte”.

Gulliver dapprima cerca di stare al gioco, pazienta, sopporta, sperando che la cosa non vada troppo per le lunghe; poi, per quanto fasciato e impedito nei movimenti, comincia ad agitarsi, a soffiare, a ruotare il capo per scrollarseli di dosso. I Lillipuziani si spaventano, è ovvio; alcuni cadono dal gigante e si fanno male, ma non desistono dalla loro impresa: loro lo fanno per amore di conoscenza, a fin di bene, e non fanno niente di proibito o di illegale, che diamine! Perché il gigante si dimena così? Perché non li lascia fare? Che cosa vuole da loro?

Poi, lentamente, nella loro mente si insinua un dubbio: qualcuno comincia a capire, faticosamente. Una Lillipuziana prova a mettersi nei panni di Gulliver, a immedesimarsi in lui: vede se stessa come una gigantessa prigioniera di tante minuscole formichine e ha una reazione di rabbia impotente, di ribrezzo… Allora si vergogna, sussurra qualcosa all’orecchio della sua vicina che a sua volta lo dice al suo vicino e così via: tutti precipitosamente si ritirano dal corpo di Gulliver, ritirano i loro arnesi e le loro corde, e tutti si vergognano, si sentono in colpa, vorrebbero chiedere perdono a Gulliver – ma non sanno in quale lingua, con quali parole. Non possono far altro che allontanarsi da lui in silenzio, in silenzio riprendere la loro solita vita, in silenzio ricordarlo, in silenzio dimenticarlo.

(illustrazione di Franco Blandino)