ELISABETTA MERCURI
Ho visto il film Van Gogh-Sulla soglia dell’eternità e ne sono rimasta affascinata. È stato definito l’evento dell’anno. Penso che lo sia. Per la sensibilità del regista, Julian Schnabel, per l’intensa interpretazione dell’attore protagonista, Willem Dafoe, per la scelta dello spaccato di vita di Vincent Van Gogh. Una trama che privilegia l’interiorità dell’artista olandese, ne racconta le ansie esistenziali, la solitudine; ne trasmette quel pensiero così forte e struggente, che lo porta a lottare per un’arte personale, resistendo ad ogni avversità del suo tragico vissuto, ma soprattutto alle incomprensioni dei contemporanei.
Un pensiero che diviene tutt’uno con la spiritualità, che si fonde con il senso dell’eterno. È questo che racconta l’arte dei suoi ultimi anni, un’estasi nei confronti della natura la cui bellezza non può non avere un artefice divino. Le immagini che scorrono sullo schermo riempiono lo sguardo e attraversano l’anima dello spettatore: Van Gogh corre per i campi, si rotola nella terra strofinandola sul viso, sfregandola tra le dita, per sentirne il pieno contatto… Cammina con il suo cappello di paglia, gli attrezzi da lavoro sulle spalle, in cerca di angolazioni, scorci, panorami da riversare nella sua pittura. «Non invento il quadro, lo trovo dentro la natura, devo solo liberarlo» risponde all’amico Gauguin che gli chiede perché debba dipingere sempre la natura, invece di cercare dentro se stesso. «Mi sento perso se non ho qualcosa da osservare» confida ancora Van Gogh. Sono gli ultimi anni della vita dell’artista: quando decide di lasciare la fredda, piovosa e grigia Parigi per arrivare in Provenza, e trovare la luminosità dei colori, nelle sterminate pianure.
Una desolazione all’arrivo ad Arles, perché ancora inverno, il clima è rigido, la neve abbondante; ma il sopraggiungere della primavera riaccenderà i paesaggi, e il pittore realizzerà i dipinti che, dopo la sua morte, diventeranno i suoi capolavori. La scoperta della luce del Sud muterà il suo senso cromatico, i quadri saranno molto diversi dai precedenti.
Campi gialli di girasoli, di grano, e frutteti in fiore, saranno la sua fonte di ispirazione: risvegliando il gusto del colore, consentendogli di immergersi nella natura fino a cercarne Dio.
Quello che aveva guidato Van Gogh in questi luoghi era un antico legame, la nostalgia per il borgo rurale nel quale era cresciuto, nel Brabante settentrionale, dove l’attività principale era l’agricoltura. Egli sentiva il bisogno di rivivere il periodo della sua infanzia: tempi felici nelle vaste campagne dove i genitori lo accompagnavano in lunghe passeggiate.
Nel film di Schnabel, anch’egli pittore, il racconto dell’ultimo, intenso e tormentato periodo della vita di Van Gogh per il precario stato di salute, per quello stato febbrile che ne teneva costantemente acceso il fare artistico, per quell’esigenza cosi forte di dipingere la natura. A chi gli rimproverava di copiare, mentre i pittori contemporanei muovevano da emozioni interiori, ribatteva: «Non copio. L’essenza della natura è la bellezza. Quando guardo la natura vedo quel legame che unisce tutti noi». Difficile inserire Van Gogh in una precisa corrente artistica. La sua pittura secondo la critica «va oltre l’impressionismo e pone le basi di quello che sarà l’espressionismo. Degli impressionisti guardava le tavolozze luminose ma non condivideva l’assenza del disegno». Le sue opere, comunque, influenzeranno incisivamente l’arte del xx secolo.
Al centro della narrazione del film rimane il desiderio di Van Gogh di ritrovare i paesaggi della sua terra, soprattutto la natura rigogliosa. Il giallo, il blu e l’arancio i suoi colori : quel giallo cromo, che accendeva d’oro le spighe di grano; quel blu dei campi, suggestione generata dal riflesso dell’arancio pallido dei tramonti. Mirabile la capacità di armonizzare contrasti come il giallo-viola ed il blu-arancio.
Le sue pennellate veloci e pastose, la nuova tavolozza cromatica, riflettevano non solo una diversa concezione della pittura ma anche le sue inquietudini, le sue esperienze emotive, la consapevolezza di una fine imminente. Per questo, alla ricerca di una nuova luce; per questo, incurante dei commenti sulla sua follia che considerava una benedizione per l’arte; per questo, convinto di dipingere per i posteri; per questo, alla fine dei suoi giorni, trova nella natura illuminata dal sole, il rifugio, il suo luogo dell’infinito per entrare in contatto con l’eternità…