GIANCARLO BARONI (a cura)
Scrittura elegante e raffinata, morbida coma la seta e il velluto, lucente come il raso, questa di Marilyne Bertoncini. I suoi versi, “scintillanti cristalli”, levigati e scolpiti con cura artigianale, emettono bagliori diamantini; solo velatamente lasciano trasparire il mondo che li ha ispirati e da cui originano, simili alle bolle di sapone di Chardin “dove si riflette il mondo”. La poesia di Marilyne preferisce creare universi paralleli e immaginati, silenziosi e ovattati, acquisisce l’eterea e impalpabile natura dei sogni sognati ad occhi aperti (“Abito la mia vita come un sogno”), si inoltra nei labirinti dei ricordi e delle rimembranze, conserva la verità nella “memoria viva delle pieghe” dove resiste come traccia, impronta, lacerto, grumo, incisione, abrasione, foro, ferita, cunicolo; fessure che mettono magicamente in contatto amnesia e ricordo, prossimo e remoto, questa e l’altra “parte del mondo”, le due facce delle cose, gli antipodi. Poesia immaginifica ma senza allucinazioni e tensioni, allusiva ed evocativa, proprio come le immagini fotografiche che senza clamore, e in pieno concordia, l’accompagnano.
Ecco una selezione di testi e immagini:
Infinis Terrae
Le pieghe delle dune a ventaglio spiegano il Sahara
della mia infanzia
battuto dai venti e dalle nuvole dall’altra parte del mondo da qualche parte in mezzo
alle spiagge di Wissant e
il porto di Dunquerke
La sabbia della duna vela la mia mappa d’amnesia
e i miei odierni passi si allacciano a quelli d’un tempo
la mappa a volte affiora col suo caldo africano e i suoi gridi di fennec
annebbiando l’immagine delle gru
svettanti lontano sul molo
le cabine di spiaggia sotto la pioggia settembrina
e la sabbia bagnata delle dune dove ci si perde lontanissimo
lontanissimo a volte
dall’altra parte del mondo
Le parole scricchiano come la sabbia nell’infinito della clessidra
che rovescio nella mia memoria dove batte l’ala
del ventaglio
e via volano i miei ricordi
nell’orizzonte dei gabbiani
questi spettri sono i miei ricordi
ancora da nascere
mi avviluppo nelle loro pieghe fino a fare soltanto un
unico
sogno infinitamente su se stesso ripiegato
spiegato
volato via
*
Dopo l’autunno
lungo e serico
la mannaia dell’inverno sul frusciante degli alberi
Primi geli
prime brine dell’alba
palmizi di ghiaccio sui vetri
l’erba irsuta è incipriata all’orlo dei selciati
e rovesciato nel canaletto
strizza la scaglia blu del cielo
«Café- Pension» era scritto rovesciato
dietro le tendine uncinate sulle loro barre d’ottone
e l’ombra delle parole ballava
sul vecchio bancone e sulle tavole di formica
Nell’angolo una palma sgraziata
probabilmente finta
giocando con l’ombra di lampade come caschi di Minerva
faceva volare ali di velluto nero sulla penombra dei muri grigi
Un lino giallastro copriva coi suoi fiori tristi le stanze al piano di sopra
ma giù in sala
si schiacciavano lungo i giorni grappoli d’uva color malva
sul fondo verde acido dei succhielli
becchettati da uccelli dai piumaggi ancora vivi
incorniciati di turchese in strisce di piastrelle
cosi rovinate dal tempo i detersivi le abrasioni
che i pori gli davano
l’aspetto un po’ sfocato di un paesaggio remoto
nella nebbia
Tu dormivi in soffitta piccolo mozzo in mare
i tenui passi della pioggia sopra la tua testa
fruscio d’ali di migliaia di gabbiani
nei lamenti felini del tempo alla giuntura della finestra
i cigolii dell’albero della casa pronta a navigare
e la cantina rimbombante di radici dolenti
strappate dal vento
e tu coccolato nel tepore di caverna
del piumino granato
*
Con l’inizio dell’inverno giungevano
nell’aria secca della notte
il brusio della città e i fischi dei treni
stridere di automotrici
scricchiolio elettrico dei convogli
S’indovinavano le nuove costruzioni
verso le quali correvano le lunghe gambe del ponte
il vetro e l’acciaio
scintillanti cristalli che davano alla notte il suo bagliore di diamante
celestino
il richiamo di un vapore d’oro in lontananza
intravisto dalla finestra
In questo modo la Città Nuova
inghiottiva uno per uno gli abitanti dei quartieri vecchi
per riempirsi
tracciare altri viali incantati
aprire altri cantieri
dove si vedevano le gru superare i tetti
con il loro collo di giraffa becchettato dai gabbiani
*
Qui
una per una si chiudevano le case
lastre incrociate sulle persiane
porte ormai mute
Quelli rimasti erano senza vita
alghe essiccate su una distesa sabbiosa
mai più raggiunta dalla marea.
Da dove provengono questi ricordi
queste immagini che m’attraversano?
Da quale passato, quale rimembranza?
Da quale porta dell’Inferno
quale incontro nel tenebroso
labirinto della mia
memoria?
(Le versioni in italiano e le immagini sono dell’autrice)
Marilyne Bertoncini, coeditrice della rivista Recours au Poème (recoursaupoeme.fr), dottore in letteratura, specialista di Jean Giono, collabora con degli artisti, scrive e traduce. I suoi testi e le sue foto sono pubblicati in varie riviste francesi e internazionali, e sul suo blog: http://minotaura.unblog.fr.
Le sue traduzioni di poeti inglesi e australiani, e la sua raccolta Labyrinthe des Nuits sono state pubblicate da Recours au Poème éditeurs, così come la sua traduzione delle poesie di Ming Di, Livre des 7 Vies. La sua traduzione di Ming Di, Histoire de famille, con illustrazioni di Wanda Mihuleac (marzo 2015) e il suo poema Æncre de Chine - libro-ardesia sul progetto di Wanda Mihuleac, sono disponibili presso le edizioni Transignum.
La Dernière Oeuvre de Phidias è stato pubblicato nel 2016 da Encres Vives.
SABLE, marzo 2019, pubblicazione bilingue in francese e tedesco da Transignum (Paris) e in francese e rumeno da Ars Longa, Bucarest
L’Anello di Chillida, 2018, ed. L’ Atelier du Grand Tétras
L’autrice ringrazia gli amici e poeti Luca Ariano, Giancarlo Baroni (entrambi collaboratori di Margutte) e Daniele Beghè (apparso su Margutte) per il loro aiuto, i loro consigli e le loro scrupolose riletture della sua traduzione.