GIANCARLO BARONI
A chi vuole conoscere san Sebastiano – uno dei santi più amati dai pittori – conviene andare verso il lago Trasimeno e da lì salire al paese di Panicale. Nella chiesetta a lui dedicata è conservato un affresco eseguito nel 1505 dal Perugino che ne descrive il martirio e che copre un’intera parete. Al centro del dipinto, sopra un piedistallo marmoreo che lo innalza, c’è il santo legato a una colonna che collega la terra al cielo. In basso quattro arcieri, disposti in maniera simmetrica, con movenze aggraziate e quasi a passo di danza stanno cominciando a scagliare contro di lui le loro frecce. In alto Dio benedice la forza d’animo e il sacrificio di Sebastiano, il cui sguardo fissa quello divino che gli infonde conforto e fiducia. Il martirio sembra partecipare a un ordine cosmico che lo giustifica e lo spiega, a un progetto che lo trascende. I colori chiari e trasparenti, la morbidezza del paesaggio, la pacatezza di espressioni e gesti, il rigore prospettico e l’armonia compositiva, allontanano dalla scena esasperazione e dramma.
La serenità di Sebastiano costituisce un tema frequente nell’opera di Pietro Vannucci detto il Perugino, uomo dal temperamento sanguigno (l’autoritratto nel Collegio del Cambio a Perugia non esprime mansuetudine) ma artista di straordinaria delicatezza e grazia che in varie pose ha raffigurato il Santo. In un quadro custodito al Louvre, lo riprende da vicino come protagonista e unico attore, nella solitudine del suo sacrificio. L’avvenimento non è corale ma individuale, l’attenzione focalizzata sulla sua persona. Il corpo di quest’uomo giovane e bello, trafitto da poche frecce, mostra un’elegante compostezza e l’espressione del suo volto un’impassibile beatitudine; lo sguardo è rivolto verso il cielo. Anche nel “San Sebastiano” di Antonello da Messina, conservato a Dresda, il martire dipinto a figura intera campeggia al centro della scena, legato a un albero; le poche frecce conficcate non deturpano la sua giovanile avvenenza e non alterano la sua imperturbabilità. La solitudine del Santo è accentuata dall’indifferenza delle persone che sullo sfondo si comportano come se nulla fosse, come se il sacrificio appena avvenuto non li riguardasse, presi dalle loro faccende quotidiane. Ritorniamo però a seguire le sue orme italiane.
Serenità, armonia, misura, proporzione, equilibrio, garbo, dolcezza, sono le caratteristiche tipiche dei dipinti dedicati al Santo ma, senza sovvertire questo modello a volte un poco stucchevole, è possibile qualche variante e trasgressione. A Venezia, nella Ca’ d’Oro affacciata sul Canal Grande, il “San Sebastiano” dipinto da Mantegna è scosso da un brivido e da una tensione insoliti; sul volto del “Sebastiano” di Guido Reni, alla Pinacoteca nazionale di Bologna, turbamento e preoccupazione prendono il posto della consueta inossidabile beatitudine.
Per continuare questo breve percorso attraverso le immagini di Sebastiano, è necessario recarsi nella cittadina toscana di San Gimignano, tappa importante della via Francigena. Incantevole e suggestiva, ci catturano le bellezze artistiche, l’aspetto e le atmosfere medioevali, le tredici torri che tuttora si innalzano (nel Trecento erano più di settanta). Le due chiese più importanti di San Gimignano, quella basilicale della Collegiata e l’altra di Sant’Agostino, conservano due dipinti di Benozzo Gozzoli in cui il Santo viene rappresentato in modi assai diversi ma in entrambi i casi all’apice del proprio ruolo e della propria missione, nella pienezza delle sue qualità e virtù.
Nel Duomo o Collegiata, assieme a opere di grande qualità fra cui due affreschi di Domenico Ghirlandaio che raccontano vita e miracoli della patrona Santa Fina, si trova “Il Martirio di san Sebastiano”, eseguito nel 1465 da Benozzo. Il Santo è quasi nudo, coperto solo da un perizoma, con le mani legate dietro la schiena, crivellato da un fitto nugolo di dardi scoccati da un gruppo di arcieri che lo circonda da vicino (nella seconda metà del Duecento, il domenicano Jacopo da Varagine nella “Legenda Aurea” scriveva: “I soldati lo ricoprirono tutto di frecce così che il santo non sembrava più un uomo ma un riccio”). I piedi di Sebastiano appoggiano, come quelli di una statua, sopra a un piedistallo di marmo che lo separa da terra e lo eleva verso il cielo dove un gruppo di angeli lo attende per incoronarlo e dove Gesù benedicente e Maria in preghiera, circondati da cherubini, assistono al suo martirio. Il volto del Santo, che somiglia a quello del Cristo, rimane insensibile al dolore e al tormento, non tradisce né paura né odio, non si scompone, il suo sguardo non fissa i carnefici ma un orizzonte distante davanti a sé. Assieme alle frecce, Sebastiano attira su se stesso, come un bersaglio, i peccati degli uomini per espiare le loro colpe; la sua sofferenza salva l’umanità. Il Cristo che Sebastiano in parte richiama è quello legato alla colonna, fustigato percosso e deriso dai suoi aguzzini. Il sacrificio di Sebastiano ripete dunque, in tono minore, quello di Gesù ripristinando un contatto fra cielo e terra, fra uomini e Dio. La sua vittoria sul male e sulla violenza diventa alla fine la nostra. La serena sopportazione esibita dal Santo davanti al male e al dolore, che non va scambiata per arrendevolezza rassegnazione e debolezza, è un segno di resistenza e di forza; la fragilità si trasforma nel suo opposto.
Nella chiesa di Sant’Agostino, Benozzo affresca un ciclo che illustra la vita di Agostino e, nel 1464, il “San Sebastiano intercessore”. Sebastiano partecipa a un’azione ancora più universale, corale e collettiva della precedente. Qui non è seminudo ma vestito, non è trafitto da frecce che invece si infrangono e si spezzano contro i lembi del suo mantello tenuto aperto e disteso da angeli. Sotto il mantello trova riparo, rifugio e protezione una folla di fedeli in preghiera inginocchiata ai piedi del Santo. La sua figura occupa il centro della parte inferiore del dipinto, le mani unite in preghiera e i piedi appoggiati a un piedistallo. Se guardiamo in alto, notiamo che Dio stesso, per punire gli uomini dei loro peccati, lancia quelle frecce micidiali che Sebastiano intercetta. I dardi più letali per l’umanità sono guerra, epidemie, peste, carestia: tormenti spesso collegati fra loro. Negli anni Sessanta del Quattrocento San Gimignano venne colpita da una pestilenza. Una preghiera rivolta a San Sebastiano dice: “Pietoso e benigno / dal trono celeste / da fame e da peste / le genti salvò”.
Sebastiano era un ufficiale della guardia personale dell’imperatore, ma era anche un cristiano; la sua fede venne considerata un tradimento, una colpa così grave da meritare una punizione esemplare. Il supplizio delle frecce avviene agli inizi del IV secolo sul colle Palatino a Roma, però miracolosamente il Santo non muore. Nel “San Sebastiano curato da Irene” (Pinacoteca di Bologna), Guercino lo raffigura mentre viene assistito e soccorso dalla caritatevole Irene. Appena guarito non scappa, non si mette al sicuro, ma si presenta di nuovo all’imperatore per testimoniare con convinzione la propria fede. Viene arrestato e ucciso a bastonate nell’ippodromo del Palatino, il corpo buttato per spregio e disprezzo nella Cloaca Massima. La notte Sebastiano appare in sogno alla matrona romana Lucina indicandole dove rintracciare il suo cadavere; che viene portato nelle catacombe della via Appia. Qui sorgerà la chiesa di San Sebastiano fuori le mura che custodisce parte delle spoglie del Santo e, si crede, una delle frecce che lo trafissero. Dopo Pietro e Paolo, è il terzo patrono di Roma.
Seguendo le orme di Sebastiano arriviamo infine a Venezia, nella chiesa che porta il suo nome. Qui Paolo Veronese dipinse nella seconda metà del Cinquecento un ciclo pittorico che racconta e illustra scene ed episodi della vita del Santo, fra cui il supplizio mortale delle frustate e delle bastonate. Veronese è sepolto nella chiesa di San Sebastiano.
Il corpo di San Sebastiano
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Mi legano i polsi al tronco
li affronto con la forza
della sopportazione.
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Fisso il cielo cercando
un segnale tardivo
gli arcieri puntano
sono il loro bersaglio.
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Tendono l’arco caricano la balestra
scagliano le frecce quasi a passo di danza.
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Guerra peste carestia – tre frecce
velenose – il mio corpo come uno scudo.
Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.
Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.