Dalla prefazione di Giancarlo Alfano
Alter è la composizione di due esperienze non del tutto omogenee. La prima, e più antica parte, Città esplosa, parla della scomparsa della città e del soggetto che la abita. Controepifania della socialità, questa sezione del libro si iscrive in una storia tutta novecentesca di antiutopie che si vogliono al tempo stesso eterotopie: costruzioni (liriche o narrative, qui è tutt’uno) che denunciano uno stadio terminale fingendo un’ambientazione altra o ulteriore: diverso dall’umano, in questa letteratura, è infatti spesso la stessa cosa di dopo dell’umano. Così dunque accade in Città esplosa, e in maniera esplicita nel testo che subito precede la chiusura della raccolta, dove un soggetto che si proclama ultimo avanza sulla scena per affermare la propria condizione: «sono l’ultimo della specie / ordinato dal centro di controllo, / sarò l’ultimo con bioniche membra / in giunture vertebrali». [...] I toni enfatici qui utilizzati da Sinicco sono rovesciati nella siderale compostezza della composizione conclusiva, in cui la prospettiva lunare si dispiega nel testo grazie a una marcatura di cadenze isolate, brevi, che distribuiscono lo spazio della pagina in ampie campiture. Si tratta di una scelta strategica da parte dell’autore che, dopo aver acceso il suo libro con visioni apocalittiche e con movimenti energici ed energizzanti, sceglie di chiudere in calando, come di chi guarda l’affannarsi del mondo ormai da un’altra epoca, sigillando col silenzio un percorso che invece appare in più punti frenetico e chiassoso. Ma con Alter la sarabanda riprende. E riprende un dialogo con la cultura dello sperimentalismo più ancora che con l’avanguardia [...]. Pur nella differente accentuazione di dispositivi formali e di soluzioni espressive, le due parti sono però accomunate dalla vocazione visiva e spaziale, che guarda alle esperienze novecentesche (si veda anche l’uso anarchico o ironico della punteggiatura: come in Italia per esempio Palazzeschi). L’occhio del lettore è sollecitato in due diversi modi: 1) a distinguere ciascun testo (ognuno dei quali ha infatti una sua propria e specifica configurazione spaziale); 2) a seguire il movimento, più o meno prevedibile o inusuale, delle parole nella distribuzione dei versi. C’è però forse una differenza davvero significativa tra la Città esplosa e Alter: nel primo caso, è decisamente centrale la forte presenza dell’immaginario fantascientifico, di una fantascienza nutrita di fumetti, cinema, musica elettronica, che si muove tra neo-romance e distruzione sempre-imminente. Nella seconda sezione appare invece decisiva la componente vitalistica e irrazionalistica, con una riduzione al biologico pre-organico che lascia intravedere l’orgoglio della dissoluzione panica che si legge nel D’Annunzio più amato dal Novecento, soprattutto in Alcyone (si veda un incipit come «midollo fertile e orchidea, / aerea sepoltura fiorita»). Insomma, un libro bifido e pure in qualche modo unitario, questo di Christian Sinicco, che invita il lettore all’abbandono cercando di ripristinare forme e modi di un Novecento che potremmo dire “dell’anima”.
Da Alter (Vydia editore, 2019)
vidi
un occhio, e saltai l’azzurro
lontano: lo spazio violentava non meno
una città esplosa
di colpo e frenetica
su orizzonti di cielo
con la velocità della bomba
(e in sussulto
in preghiera
calma, il fluido denso
annegare nel caldo violetto di una
radiazione)
l’universo
una città nella stella e
vuoti erodere i motori come vento
tra rovine di civiltà, al collasso
i vapori salire per ricadere
come pioggia,
atomi… fra le ceneri gas di vestiti,
bambini dalle teste dorate rotolanti
nella sabbia, indossare nudi questo bacio
quando la palpebra chiude
forme creare dall’informe
*
[ALTER]
increspate
grandi bolle colorate
e fili che giungono al cielo
nel chiarore che avanza sempre più
scompaiono, e dal promontorio
scendo; blu
di sasso
i chip
battono
forti l’immensità
dentro
il corpo:
profuma
a poco a poco il vento di ciliegie,
il vento di ciliegie scopre l’osso
del mondo
in sinfonia perfetta grilli elettronici
scandiscano valvole di sfogo nel ritmante
battiti perenne, cuore, in andirivieni
sotto la ceramica
del corpo…
sono l’ultimo della specie
ordinato dal centro di controllo,
sarò l’ultimo con bioniche membra
in giunture vertebrali:
l’ultimo che sente i profumi
trasmette i pensieri,
chi ordina la mente non progetta
più il corpo
il centro di controllo mi dice dal satellite
che verrà l’angelo dell’embrione solare
e supererà tutti i modelli,
verrà l’angelo distruttore di fuoco
che polverizzerà il mondo
il corpo
ma non aver paura
ultimo uomo
dopo di te
l’angelo dell’embrione solare
brucerà il vento e scoprirà
l’osso del mondo,
il vento di ciliegie
sarà
stella
*
[NOME : avvio alfabeto fuori]
alter è il mio nome,
non progettano più automazioni
macchine del più che volevano il cielo,
macchine del più, voluminose e volanti
io posso camminare e ho visto una fragola:
nei campi della produzione
ha i segni di una ferita,
sarebbe un alfabeto fuori di sé
fino a toccare le sue prime parole,
ha il sapore della bocca
mentre è contro di me,
tocchiamo il suo viola
noi sbocciati sopra gli occhi
piove così forte,
tu sosta in uno splendido rosa
e matura l’idea
fino a toccare la magnolia
che non sa perché
l’ondaluce se ne va
*
[AUTOMATISMO : codice]
io sono seduto nella sua pioggia di spore
sognando di essere una montagna e sento
il cielo tutto intorno, intoccabile, pieno di
stami, liquido come un torrente, coagulato
come l’universo prima della mia comparsa
*
[TRASMISSIONI FINALI : deposizioni pronuncia]
la risposta è bianca,
il suo codice è sconosciuto, negato,
sostituito, avvolto d’edera
fuori da gallerie
lunghe come la terra
e rifratte;
i suoi rapporti
non sono conservati,
la sorgente di tutto è dentro un uccello
che riarticola, che si estranea
e violentemente adagia un richiamo
aprendo gli occhi al mio sonno
prima di abbassarsi sotto le acque
prima di convertirsi
senza più respirare
solo nei flussi – in delle pieghe
ho pronunciato due occhi commossi,
ho pronunciato » entrata «
deposizione chiara
di particelle, di un mio uragano
che si sposta nel ventre,
nella dorsale e poi verso la costa
ho pensato che era l’attimo, mentre
la bocca mi scoppiava;
apprendo che l’inizio
è una trasmissione
e la risposta è bianca
come il muro che echeggia
alle spalle
Christian Sinicco è nato a Trieste nel 1975. Nel 2002 diviene caporedattore di “Fucine Mute”, tra i primi periodici multimediali ad essere iscritto nel Registro Stampa in Italia (1998), dove avvia il progetto di catalogazione della poesia delle nuove generazioni; intervista anche alcuni tra i poeti italiani più significativi, come Mario Luzi, Maria Luisa Spaziani e Franco Loi. Ha pubblicato: Passando per New York (LietoColle, 2005; prefazione di Cristina Benussi), la plaquette Ballate di Lagosta Mare del Poema (CFR, 2014; introduzione di Alberto Bertoni e nota di Cristina Benussi) e il libro d’arte Città esplosa (Prova D’Artista / Galerie Bordas, Venezia 2016) poi contenuto in Alter (Vydia, 2019; introduzione di Giancarlo Alfano). Le sue poesie sono state tradotte in bielorusso, catalano, croato, inglese, lettone, olandese, sloveno, spagnolo, tedesco e turco. Attualmente dirige “Poesia del nostro tempo – poesiadelnostrotempo.it” ed è redattore di “Midnight Magazine” e “Argo”, per cui ha curato anche l’indagine sulla nuova poesia dialettale L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti in dialetto e in altre lingue minoritarie (1950-2013) (Gwynplaine 2014) e gli annuari di poesia. Si occupa di lingue e dialetti nelle giurie dei premi “Giuseppe Malattia della Vallata” e “Pierluigi Cappello”, dirige il piccolo festival “Ad alcuni piace la poesia” (Montereale Valcellina, PN); a Trieste ha fondato il gruppo di poesia “Gli Ammutinati” e, in seguito, la Lips – Lega Italiana Poetry Slam, di cui è stato presidente, nonché ha diretto alcuni festival, tra cui “Iperporti – Scali Internazionali di Letteratura”. Sito dell’autore: qui.
A cura di Silvia Rosa