GABRIELLA CINTI
EMILIO VILLA e l’arte dell’uomo primordiale: estetica dell’origine
I QUADERNI DEL BARDO, Lecce, 2019 (Ebook Amazon)
Dalla Prefazione di Donato Di Poce:
[…] Ma veniamo al saggio di Gabriella Cinti. La prima cosa che colpisce è il sottotitolo: “estetica dell’origine”, che ci dà una prima chiave di lettura dell’intero saggio di Villa, quasi una sintesi della sua poetica critica e artistica, in nome di quell’ “idea della totalità sinestetica delle manifestazioni artistiche umane”, illuminate nella loro originarietà appunto: stadio del sensibile e della percezione, che vede “voce, parola, segno e immagine come complementari e compresenti”, creazione primigenia indissolubilmente multipla.
La poetessa (e non è un caso che sia un poeta a scrivere di Villa), già nella premessa evidenzia sia la personalità poliedrica di Villa sia il suo orizzonte “archaico”, ma soprattutto, come scrive lei stessa: “il valore della simbolicità sacrificale come cifra della mutua permutazione sacrificante-sacrificato, grande tema esplorato anche nei suoi “Labirinti”. L’Autrice ne mette in relazioni le successive analisi e chiavi di lettura del primordiale da parte di Bataille e di Caillois, con avvincente chiarezza espositiva e passione documentale. Il suo intento è di illuminare una visione dell’origine in chiave antropologica e simbolica, sottolineando la permanenza degli archetipi nella mente umana a partire da una possibile “genesi universale dell’arte e del linguaggio”.
Villa attribuì alle manifestazioni “primitive” un ruolo pionieristico all’origine dell’arte, parallela nel senso di ri-generazione del mondo e fu molto coinvolto nello studio e nell’analisi dei ritrovamenti preistorici della grotta di Lascaux. Cinti evidenzia che: “in generale, l’arte paleolitica del Mediterraneo, stimolò fortemente la sua riflessione sul sistema simbolico “primitivo”. E vediamo come ne parla in questo significativo stralcio del suo saggio:
[...] Villa interpreta la più celebre ed enigmatica raffigurazione di Lascaux, “la scena del pozzo”, con il bisonte ferito, l’uomo itifallico disteso e il simulacro – su cui sono state fornite innumerevoli ipotesi di interpretazione antropologica, in chiave di trance sciamanica o come un rito sacrificale, data anche la natura di necropoli o santuario di questo ipogeo, in una connessione osmotica tra morte e soprannaturale: «I morti devono essere nutriti della carne e del sangue di una divinità» . Bataille, per esempio, come riferisce Amir. D. Aczel, aveva affrontato l’enigma del pozzo in una sua chiave psicoanalitica: “a suo parere la scena ritratta a Lascaux comporta il sacrificio del bisonte. Lui vede nell’uomo-uccello uno sciamano entrato in estasi a causa del terrore del selvaggio animale e in stato di eccitazione per la sua successiva morte. È stata tale condizione a indurre l’eccitamento sessuale [...]” . E aggiunge: «Dunque Bataille considera la scena nel Pozzo di Lascaux [...] una sorta di scrittura pittografica primitiva» . Il bisonte trafitto assume, nella lettura villiana, una veste più che totemica, emanante energia sovrumana.
L’intero saggio di Gabriella Cinti, molto coinvolgente e suggestivo, sollecita una serie di stimolanti interrogativi sul tema dell’origine, dell’arte e della complessa sacralità primordiale.
Tra i diversi temi trattati, che possiamo leggere dall’Indice, figurano:
CAP. 2. IL PENSIERO “PRIMORDIALE” DELL’ORIGINE. LA NUTRIZIONE SACRA E LA FESTA.
CAP. 3. IL SANGUE MITICO E RITUALE.
CAP. 4. SACRIFICIO SACRO E SCIAMANESIMO PRIMORDIALE.
CAP. 5. L’ALBA AMBIGUA DELL’ARTE E DEL SACRO.
CAP. 6. IL SEGNO-FERITA.
CAP. 7. LITURGIA LITICA.
CAP. 8. L’UNITÀ ORIGINARIA DELL’ESSERE.
CAP. 9. IL FURORE NUMINOSO DEL “PRÓTON”, PRIMA SCATURIGINE DELL’ESPRESSIVITÀ UMANA.
CAP. 10. SEGNI “NUTRIENTI”. PSICOGRAMMI ARCHETIPICI E CRATOFANIE VILLIANE.
CAP. 11. UNA GRANDE DEA LABIRINTICA.
CAP. 12. “NOI E LA PREISTORIA”. L’UNITÀ ENERGETICA DELL’INIZIO.
[…]
Milano, 20/11/2018
Dal Saggio di Gabriella Cinti:
[…] Emilio Villa intese offrire una lettura dell’arte paleolitica che equiparava – su un medesimo piano – le «esecuzioni simboliche di natura simbolica» effigiate nelle caverne della Dordogna, a un
«sacrificio rituale completo» .[…] Secondo lui, i sacrifici raffigurati allegoricamente nelle pitture, sia pure dal significato fortemente enigmatico, sono fondamentalmente di tipo “nutritorio”, di un vitalismo sacral-alimentare.
[…] Villa ha avuto costantemente gli occhi puntati sul Grande Tempo e fu straordinariamente vicino alle manifestazioni di sacra esuberanza di questo mondo primigenio, cogliendo la matrice mitica e rituale dell’arte e della civiltà umana in genere.
La dimensione simbolica quindi costituisce la cerniera tra indagine sulla nascita delle manifestazioni espressive umane e il nucleo concettuale alla base della creazione artistica.
[…] Per i riti sacrificali del Paleolitico […] il pensiero villiano in materia sarebbe quello di un ripristino di una condizione di equilibrio, non esplicitata nell’arte parietale, ma intuibile in base a questi parametri interpretativi delle offerte cruente. D’altro canto, l’offerta animale appartiene a quella categoria delle sostituzioni in progressione metaforica che egli ha ben evidenziato in direzione di una crescente scala astrattiva e, come ci dice Girard, partendo dal primo livello di “scambio”: «Il fenomeno è così prezioso che le comunità arrivano a riprodurlo su delle vittime sostitutive, da cui la nascita del sacrificio rituale» .
[…] Villa mette in risalto quest’identità trasmutante: «L’uomo partecipa del sacrificio, ed è figurato come uguale alla vittima». Per inciso, si noti che le pitture parietali palesano un atteggiamento di identificazione con immagini di totemismo sacro che possiamo definire come vero e proprio misticismo, se questo concetto contiene l’idea di immedesimazione anche materiale con il dio[…] ; l’arte paleolitica sembra rivelare proprio tale sentimento di fusione con il divino o di penetrazione persino fisica nell’arcano , se si pensa ad una ipotetica ma intrigante interpretazione delle mani ancestrali “stampate” (e spesso in ocra rossa) sulle superfici nell’interno delle grotte, come manifestanti l’intento di sondare un possibile varco, oltre una parete-diaframma, verso l’al di là.
[…] Dunque le osservazioni che Villa conduce in questo suo fondamentale saggio antropologico, non soltanto appaiono nodali nel suo pensiero ma si caratterizzano anche come un contributo epistemologico innovativo, se non addirittura rivoluzionario, sull’affascinante questione generale dell’origine dell’espressività umana. Esse mettono dunque in luce come la polarità antinomica sia costitutiva dell’essere umano, e quanto l’arte contemporanea l’abbia particolarmente recepita; nondimeno, questi concetti si collegano non velatamente alla sua ricerca sul LABIRINTO.
[…] La ferita cui si riferisce Villa, appare come un “segno” vitale inciso nello spazio più che su un corpo, per cesellare i propri sogni e il suo patrimonio immaginario, un solco antropologico, con un’accezione “religiosa” (in senso lato), che rinvia a una istanza di permanenza, di fusione con la materia animante e animata, in un sacerdozio “fisiologico” dalla vitalità selvaggia in cui caoticamente tutto fluisce e si riproduce, l’uomo, la sua carne, il suo sangue, i suoi segni.
[…]
E ancora, entrando nel dettaglio analitico-ermeneutico del segno, Villa aggiunge:
Come l’uomo scarnifica animale o uomo e seppellisce la salma interamente scarnificata, e la carne deve essere servita al banchetto funebre, così l’uomo “scarnifica” la pietra: lascia segni forti, che sono solchi profondi o incisioni leggere, incisioni a graffio, quasi invisibili. Fino al momento in cui, perfezionandosi la potenza della azione simbolica, anche il segno inciso diventerà segno dipinto, senza per questo perdere nessuna delle sue doti né dei suoi caratteri [...]. Il processo corre istintivamente di sostituzione in sostituzione, fino al limite sul quale la pittura sostituisce la ritualità sacrificale con un simbolo di superiore efficacia sacramentale, come per tornare su un paragone consueto, il sacramento dell’eucarestia nel culto cattolico sostituisce con un sacramento-simbolo attivo l’azione sacrificale di grado cannibalistico .
[…]
Villa si muoveva su entrambe le lunghezze d’onda dell’espressività umana, sia nel cogliere nei segni paleolitici un vero sistema linguistico, sia nell’intuire in essi una valenza di totalità globale, come forma di manifestazione artistica, che rinvia proprio a quell’intrinseca unità dell’essere di cui sopra si discorreva.
La sua personale ipotesi di “origine dell’arte primordiale” prospetta una parabola di convergenza con quel “LABIRINTO” che è scrittura, prima ancora che immagine, o meglio, è parola della “prima” rappresentazione plastica della vita, sua complessa e infinita significazione; in altri termini, scrittura, oltre che disegno, dell’origine. Questo è l’assunto principale del discorso di Villa e delle mie personali convinzioni, su cui ho intrecciato quindi diversi percorsi di ricerca, trasversali e sincretici.
[…]
In ultima analisi la sua missione intellettuale più umanamente generosa, a dispetto del compresente e imperante suo nichilismo risiede proprio in una visionaria speranza di interezza, oltre la morte e oltre ogni divenire entropico, affidata, appunto, a quell’esigenza ancestrale di sacro e di trasmutazione simbolica e artistica che abita l’uomo dai primordi e fa sì che – in quell’alba di creazione di sempiterno fascino – si possa riconoscere a pieno titolo la progenitura dell’universo espressivo dell’uomo, il germe brulicante di una coscienza antropologica che sembra essere, villianamente, una scheggia lucreziana di vita cosmica inabissata nel cuore della terra.